Pietro Senaldi per ''Libero Quotidiano''
«Risentiamoci il 5 dicembre, quel giorno lì si capirà tutto». Ma così è troppo facile… «Allora te lo dico subito che succede il 5 dicembre, all' indomani del referendum. Berlusconi farà un congresso hegeliano, uno di quelli che si poteva inventare solo lui, in cui reciterà ogni ruolo della commedia. Farà la tesi, ascoltando qualcuno elaborerà l' antitesi, e poi, naturalmente da solo, estrarrà la sintesi».
E fino ad allora?
«Si va avanti con la fiaba del gatto e del topo».
Berlusconi e Renzi?
«Esatto. Silvio è il gatto. Si è accorto che il topo Renzi è in difficoltà e ci gioca, pensando che prima o poi avrà bisogno di lui».
Veramente quello in difficoltà sembra Berlusconi…
«E perché? Il partito sa che senza di lui è morto e in pochi, ad esempio, Toti o Santanché, hanno il coraggio di dirgli cosa ne pensano. Berlusconi il potere ce l' ha tutto, quindi sta benone, si è pure rimesso in salute».
In politica però non contano i numeri?
«Ma gatto Silvio i suoi gattini li ha ancora. Con tutto quello che gli è successo Forza Italia vale un 10%. È un po' come l' ago della bilancia di Craxi».
Dici?
«O come Harry Potter. Ti ricordi quando Cossiga chiamava così Follini, che con il 3% teneva in scacco tutti?».
Ma congresso hegeliano a parte, come finisce la favola del gatto e del topo il 5 dicembre?
«E che ne so? Qualcuno è in grado di prevedere come si muove un gatto? Anche perché poi, diciamocelo, non hai tutti i torti: ogni tanto i due si scambiano i ruoli e Renzi fa il gatto e gioca con il topo Silvio, allude, illude, promette…».
Se Silvio gioca troppo con Renzi, Salvini e Meloni si scocciano, fondano una destra nazionalista alla Le Pen e il centrodestra va a ramengo…
«Ci andrei piano. La Meloni a Roma ha fatto un miracolo ma ha perso. Anche Salvini risollevando la Lega ha fatto un miracolo ma al Centro e al Sud non penetra. Sono individualità molto forti ma non hanno i numeri per mollare Silvio e quindi finché non lo vedo io non ci credo. Anche se ambedue non ne possono più di rimandi e vorrebbero, giustamente, sfruttare le difficoltà di Renzi per lanciare un nuovo centrodestra».
Berlusconi ha detto che Mediaset è orientata al Sì perché sotto ricatto del governo…
«Macché sotto ricatto, non è neppure sotto ricotta. Berlusconi ieri ha parlato a Mediaset sul referendum, e allora che vuole? L' azienda è ancora sua o è già di Bolloré?».
Ma ci ha parlato anche Renzi…
«E pari sono, giusto così. Poi il presidente Mediaset, Confalonieri, avrà diritto di dire e votare chi gli pare…».
E il referendum chi lo vince?
«Non ho la sfera di cristallo. Posso però dirti che ritengo molto relativi i sondaggi che danno in testa il No. E che il voto non sarà sul quesito referendario, di cui la gente sa pochissimo».
Se vince il No ci sarà il governo tecnico?
«Renzi lo esclude ma io lo ritengo possibile e sarebbe un vero e proprio disastro. Un governo tecnico che metta la patrimoniale, introduca pesanti tasse di successione e tagli qualche spesa assistenzialistica sarebbe il miglior spot elettorale per la campagna di Renzi alle Politiche del 2018».
In base a cosa decideranno allora gli italiani?
«Ciascuno in base alla propria situazione personale economica e morale, a come si sentirà quel giorno».
Allora Renzi ha poche speranze di vincere?
«In Italia ci sono 4,5 milioni di persone che vivono sotto la soglia di povertà, il che significa che non hanno le condizioni economiche e sociali che consentono il pieno sviluppo della personalità umana garantito dall' articolo 3 della Costituzione. I parrucconi se lo vadano a rileggere. E poi ci sono più di dieci milioni di individui al limite».
Tutta gente che gli presenterà il conto?
«Bisogna vedere se hanno voglia di farlo. Parliamo di gente sfinita, andata oltre, senza più la minima velleità, neppure quella di rivolta. Potrebbe non avere neppure la forza e l' intenzione di dare una pedata al governo. Voglio anche dirti che considerato tutto ciò, Renzi non va sottovalutato. Molti di questi poveri vedono ancora in lui una speranza».
Siamo al cupio dissolvi?
«Direi al pecunia dissolvi. Sono come quei creditori che non hanno più speranza e ormai si sono stancati perfino di chiedere, un po' come i vecchi negozi di alimentari verso i clienti più squinternati e approfittatori».
L' economia è il problema numero uno dell' Italia?
«Certo, perché riguarda la soddisfazione dei bisogni fondamentali. E questi otto anni di crisi hanno colpito soprattutto i poveri e le piccole e medie imprese, che non di rado coincidono».
Poi ci sono i problemi sicurezza e immigrazione?
«Che sono molto legati tra loro e il cui teatro principale sono le periferie, argomento in cui mi esercito da quattro anni».
Perché i politici se ne fregano delle periferie, malgrado la maggioranza degli elettori stia lì?
«Maggioranza? L' 85% di chi vive nelle città sta in periferia. Il motivo è semplice. Perché nessuno ha idee e il problema è complesso. Ogni tanto sganciano dei soldi e fanno fare al Comune qualche bando ma non c' è una programmazione come quella di Richard Rogers a Birmingham: negozi, verde, illuminazione, punti d' incontro, case popolari di lusso. La riqualificazione delle periferie non si fa a concorso, deve arrivare da una visione politica, estetica e sociale».
Ah già che sei un populista…
«Cosa vuol dire populista? Ci sono due populismi. Il primo è quello dei problemi, che è poi quello della gente che te li dice: "Ho fame, ho paura, non ho lavoro"; se uno dà voce a questi problemi non fa del populismo ma fa una cosa buona».
palazzoni nelle periferie romane
E il secondo?
«È quello degli anti-populisti, ma è meglio definirli palazzisti, che non risolvono i problemi ma attaccano chi ne parla».
E tu quindi sei un populista del primo tipo?
«Io mi chiamo Paolo Del Debbio e sono il fondatore e l' unico iscritto del mio partito personale, il Pdd, Partito dei Diritti».
Un iscritto ma quanti potenziali elettori?
«Ci sono almeno 25 milioni di italiani pronti a votare un partito i cui contenuti coincidano con le loro esigenze, attualmente poco rappresentate dall' arco costituzionale».
Adesso quei 25 milioni votano Grillo, Lega e Meloni?
«Molti non votano, altri votano Grillo e continueranno a votarlo malgrado gli scandali recenti perché è ancora avvertito come non Casta. Altri votano Salvini e Meloni perché propongono contenuti chiari, semplici e coerenti».
Seriamente, mai pensato di fare politica?
«No, perché mi piace il mio mestiere e non voglio rinunciare allo studio e all' Università. A me poi non interessa il potere, tengo di più alla mia libertà che al potere».
Ma non ti preoccupa la situazione dell' Italia?
«Più che preoccuparmi mi innervosisce. Come forza economica pura siamo sempre fra i primi 10-12 Paesi al mondo, poi se vai a vedere il contesto entro cui si sviluppa l' economia - burocrazia, giustizia, infrastrutture, tasse - scivoliamo verso il quarantesimo posto. Pensa cosa saremmo senza questi handicap: l' Italia è un Paese che corre con le mani legate».
Questo lo sanno tutti, ma davvero non c' è rimedio?
«Anzitutto, non tutti lo sanno. Non c' è rimedio perché anche qui molti politici se ne fregano. Hanno capito che questo è un Paese da soma e non da corsa e ne approfittano, lo strangolano di balzelli e tasse, abbandonano il Sud tanto sanno che ci pensa il Nord, conservano i propri privilegi. D' altronde, se tu avessi dipendenti che accettano di lavorare sottopagati gli aumenteresti lo stipendio? Bisogna essere troppo illuminati per farlo».
È il fallimento del sogno berlusconiano, la famosa rivoluzione liberale che il Cavaliere ci aveva tanto promesso…
«Non aveva a disposizione il personale politico sufficiente per realizzarlo».
All' inizio forse sì?
«Erano partiti bene ma più di testa che di gambe. Un po' come il personaggio di Walt Disney, Eta Beta, una grande testa a lampadina piantata su uno scheletro fragile. Le idee c' erano ma credimi, anche ai vertici, mancavano figure di livello adeguato».
Non è un giudizio troppo severo verso i vari Urbani, Colletti, Martino, eccetera?
«Non mi riferisco a loro, ovviamente. Certo è che se devi costruire una capanna, possono bastare gli amici dello zio Tom ma se devi fare una cattedrale, anche Gaudì ha le sue difficoltà. E costruire il liberalismo in Italia è un' impresa che neppure la fabbrica del Duomo…».
Renzi ti pare attrezzato?
«La Thatcher, Mitterrand, anche Reagan, si erano circondati di gente che elaborava, intellettuali, fondazioni, centri studi. Renzi ha qualche buona individualità nella sua squadra».
Dicono dia retta solo a pochi intimi: provincialismo, paura di perdere, diffidenza?
«No, è che è dotato di grande energia e talento ma sottovaluta la cultura come strumento di potere. Sarebbe consigliabile che rileggesse un po' di Antonio Gramsci. I politici spesso si convincono che le idee e la cultura non siano necessarie per il potere ma sbagliano, perché invece sono fondamentali. Tu puoi sollevare un masso gigantesco con una piccola leva ma per farlo devi aver studiato, la forza da sola non basta».
Gli rimproverano di fare solo una politica del consenso. Tu concordi?
«Tutti hanno imbonito gli italiani per governare. Solo Quintino Sella non lo fece, con il suo famoso "conti all' osso". E infatti ce lo ricordiamo a più di cent' anni di distanza».
Anche l' Europa non fa politica del consenso…
«L' Europa non esiste. L' unico risolutore di problemi dell' Europa, sia nell' immaginario collettivo che nei fatti è Mario Draghi, ma si occupa solo di finanza, non di immigrazione, infrastrutture e povertà, quindi le sue azioni hanno effetti limitati».
Ti aspettavi la Brexit?
«Sì, perché in Inghilterra è diffusa la sensazione che l' Europa sia un problema o, nella migliore delle ipotesi, una cosa inutile».
Bruxelles sostiene che Londra pagherà cara la Brexit…
«Vediamo, io credo che l' Europa andrà con il cappello in mano a chiedere un accordo commerciale alla Gran Bretagna. Non dimentichiamoci che loro nella storia non raramente stati in ginocchio per questioni economiche e commerciali e hanno rapporti migliori dell' Europa con Usa, India, Australia».