Mario Ajello per ilmessaggero.it
Di Maio è per Draghi (ma ha anche alcune seconde scelte), Conte non sopporta il premier che gli ha preso il posto. Luigi a Giuseppi: “Guarda che così ci isoliamo”. Conte lo sa ma il rancore è rancore.
L’avvocato Ghedini, amico della Casellati, è al lavoro per chiedere a Berlusconi un grande endorsement per Queen Elizabeth. Ma Silvio, dentro di se, non rinuncia a se stesso.
casellati nardella renzi con la moglie
Esce di casa Renzi e si avvia a piedi a Montecitorio, molto di buon umore: “Mi danno la presidenza del Senato se voto la Casellati? Non la voglio, preferisco la Casa Bianca”.
Il governatore campano De Luca: che perdita di tempo tutte queste votazioni. Roma è una città di sfaticati
Colazione al Pantheon tra leghisti: “Letta dice di chiuderci dentro una stanza e buttiamo via la chiave. Ma che cos’è un film porno? La riedizione de La Chiave di Tinto Brass.”
PALAZZO & LOCALI I TAVOLINI DEL POTERE
Tommaso Labate per il "Corriere della Sera"
NICCOLO' GHEDINI SILVIO BERLUSCONI
«Dal Marchese è bruciato. Nutrita delegazione di Fratelli d'Italia con Lollobrigida al capotavola, cambiamo posto!». Elezioni del presidente della Repubblica, giorno uno, nel senso che è la notte della prima votazione, ieri l'altro. La piccola vedetta forzista, mandata in avanscoperta tra i locali del centro storico alla ricerca di un ristorante dove poter apparecchiare una delegazione di berlusconiani arrabbiati per il ritiro del Cavaliere e vogliosi di vendicarsi presto nel segreto dell'urna, avverte via WhatsApp che una delle soluzioni più comode, per l'appunto dal Marchese in via di Ripetta, è da scartare.
Il ristorante, salito agli onori della recente cronaca internazionale per l'improvvisato pit-stop con tanto di tè e pasticcini di Jill Biden e Brigitte Macron, mentre i rispettivi consorti erano impegnati in una delle sessioni del G-20 capitolino dello scorso ottobre, è una delle tappe fisse della nouvelle cuisine politica che sta tentando di soppiantare - nel centro di Roma - i grandi nomi della ristorazione della Prima Repubblica.
La vedetta viene spedita a trecento metri in linea d'aria, da Laganà, a due passi dal palazzo dell'avvocatura di Stato, quartier generale di Base riformista, la corrente più corposa del Pd, e locale prediletto di Luca Lotti. Ma niente, è l'amaro report, «qua è pieno di leghisti, spostiamoci fuori dal centro».
Perché «dove» mangi, soprattutto se poco prima o poco dopo aver riposto nell'urna segreta la scheda per l'indicazione del prossimo presidente della Repubblica, è decisamente più importante del «che cosa» e del «come». Nell'anno in cui i meeting tra leader oscillano tra appuntamenti al buio in oscuri corridoi di Montecitorio e connessioni protette su Zoom o Skype, manovratori e grandi elettori mettono in pratica i disegni del «capo» rigorosamente a tavola.
Sulla tovaglia che ospitava in bella vista cannolicchi croccanti di ricotta di pecora romana e medaglioni di baccalà e patate con crema di ceci, da Clemente in piazza della Maddalena, il capogruppo leghista Molinari ha ricevuto direttamente da Matteo Salvini gli input sulle mosse che verranno. PaStation, in piazza Campo Marzio, di cui è socio Tommaso Verdini figlio di Denis, è diventata invece la cattedrale del nuovo salvinismo, nel senso che non è difficile incontrarvi il leader della Lega che fa una sortita nei locali del cognato.
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I forzisti ortodossi, fedeli alla linea del coordinatore Antonio Tajani, si spostano sempre più di frequente dal perimetro del centro storico e trovano riparo da Lola, in via Flaminia, di cui pare abbia delle quote il capogruppo di Forza Italia alla Camera Paolo Barelli. Resiste, tra gli azzurri della prima e della seconda ora, che hanno vissuto il mito del berlusconismo di governo, la predilezione per il Bolognese di piazza del Popolo.
«Allora, da Zuma? Dai, da Zuma!», s' è lasciato scappare l'altro ieri nel bel mezzo di Montecitorio il braccio operativo del renzismo Francesco Bonifazi, amante della ristorazione nipponico-chic che da qualche anno ha trovato casa a Palazzo Fendi; venti minuti dopo, e comunque in tempo per rispondere alla prima chiama, era già armato di bacchette pronte a infilzare il pezzo di sushi sfuggito alla prima presa, assieme a una delegazione di Italia viva di cui faceva parte anche Maria Elena Boschi. Zuma, carissimo, è l'oggetto proibito del desiderio di tanti pentastellati, anche se una vecchia prescrizione dei vertici del Movimento vietava di farvi ricorso se non come «extrema ratio».
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Di fronte alla tagliata di fassona di Maxelâ, in via delle Coppelle, un grande elettore di Coraggio Italia solleva in alto i calici per l'sms appena ricevuto da un collega di partito, avente per oggetto il nome di un quirinabile. Il testo: «Giovanni Toti sta incontrando Franco Frattini al de Russie», hotel celebre ospitato dalla storica sede di Radio Rai. La spuntasse Mario Draghi, nella corsa per il Colle, l'obbligato pellegrinaggio culinario del presidente del Consiglio dovrebbe far tappa alla succursale romana della napoletanissima pizzeria Da Michele, luogo della celebre cena a due tra le punte di diamante del draghismo quirinalizio, Luigi Di Maio e Giancarlo Giorgetti.
Curiosità: quand'era ministro dello Sviluppo economico, Di Maio optava spesso per una cena yankee da T-Bone station di via Francesco Crispi, vicino a piazza di Spagna. «Mangio un hamburger, depisto tutti e vi raggiungo», disse una notte di settembre del 2019 a Vincenzo Spadafora e Nicola Zingaretti. Che stavano ordinando, assieme a Giuseppe Conte, la pizza bianca che avrebbe sancito la nascita del governo giallorosso.