Giancarlo Dotto per il “Corriere dello Sport”
Entrare nella testa di Balotelli è come andare a mani nude a caccia di uno strano animale che, per via di un misterioso innesto, è allo stesso tempo un tenero cerbiatto e una belva furiosa. Bambi e Godzilla nella stessa persona e, spesso, nello stesso istante.
L’ultimo episodio sconforta anche i suoi fan mai arresi all’evidenza. Cosa spinge un tipo mite come Fabio Grosso, qualcuno dice troppo mite per fare un mestiere così carogna, ad allontanare dal campo il figliol prodigo, tornato a Brescia, la sua terra, nel segno dell’orgoglio e della redenzione? E cosa soprattutto spinge questo ragazzone, tutte le sante volte che trascina su in alto il macigno del suo pessimo carattere, e tutti lì che applaudono il miracolo, a rotolare ogni volta a valle, con effetti sempre più rovinosi?
A domanda sul tema, Roberto Mancini, l’ultimo mohicano al suo fianco, risponde: “Mancano sei mesi per le convocazioni, c’è tanto tempo per decidere”. In realtà, il tempo è finito. Balotelli lo ha sprecato con scientifico puntiglio, da manuale dell’autolesionismo. A 29 anni si ha ancora il diritto di sbagliare, se tu non hai troppe volte mostrato che “sbagliare” è una voluttà incontrollabile oltre che malsana. A Brescia la delusione si tocca con mano. Si dice che Cellino sia sull’orlo e forse anche oltre del dichiararsi pentito. Di sicuro, s’interroga. Ma come? Torni dopo tre anni in Italia, nella città in cui sei cresciuto, dove tutti ti amano, accolto come una divinità, ti faccio tre anni di contratto a tre milioni netti l’anno, mi aspetto da te che ti prendi da leader i ragazzi sulle spalle, molti di loro al debutto nel calcio che conta, e l’unica cosa che mi mostri è il tuo patologico mal di pancia? La tua offensiva svogliatezza? Il tuo ribadire che nessuna tribù al mondo è degna di leccare le tue ataviche ferite?
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Non so se Mario Balotelli sia una battaglia persa. Non so se sia un’anima dannata. So, però, qual è la sua dannazione. L’essere incastrato nella sua storia. Che, come tutte le storie, è la storia di come uno se la racconta. E lui se la racconta maledettamente male. Ci si è messo anche il mondo di fuori. Chiamarlo “Super Mario” è stata una crudeltà. Mario è un ragazzo fragile che di super ha solo la sua ossessione del Nemico. Come tutte le persone fragili copre le falle della sua esistenza dichiarandosi vittima. Di nemici ogni volta diversi. Allenatori ostili, compagni infedeli, giornalisti fetenti, tifosi bastardi e razzisti. Il punto è che i nemici, come gli amici, sono solo immaginari. L’unico nemico vero è quello che ti vuole trafiggere le carni con la baionetta e l’unico amico vero è quello che si mette tra te e la baionetta. Il resto è farina della mente.
Ma il guaio peggiore di Balo è un altro. Nel momento in cui la vita non si allinea ai tuoi sogni, ad esempio quello di strappare il Pallone d’Oro a Messi e a Ronaldo, scatta micidiale il cupio dissolvi. La smania di accumulare sconfitte, passaggi a vuoto, delusioni, per confermare a te stesso la feroce persecuzione del mondo. Il “nemico” da ossessione diventa citazione. L’alibi pronto per l’uso. La voluttà, se così’ si può chiamare e così si chiama, è deludere soprattutto chi ha la sfrontatezza di credere ancora in te. Il massimo della goduria non sapendo di godere. Volete che io vi mostri i miei successi? E invece io vi mostro le mie sconfitte.
Cominciano in tanti a pensarlo: portarlo a Brescia è stato un granchio colossale. Mario ha trovato un po’ di pace ed è stato all’altezza del suo discreto talento solo quando le attese del mondo erano minime. Quando non doveva dimostrare niente a nessuno. A Nizza e nella prima parte di Marsiglia. Quando il mondo si dimentica di lui, lui dà il meglio di sé. Nella normalità si ritrova. Ma solo per poco. Perché poi, presto, non regge, smania che il mondo torni a occuparsi di lui. Non gli basta essere un padre felice, un buon calciatore, benvoluto da allenatore, compagni e tifosi. Vuole, fortissimamente vuole, tornare là dove il fuoco gli brucia le ali, nel cuore del suo trauma. Il serpente che si morde la coda? Esattamente. È il serpente della coazione a ripetere. Andare nell’unico vero campo dove la sua esistenza si gioca. Quasi sempre a perdere.
E dunque? Dunque prendere a pallonate quattro miserabili che neanche possono mettere il loro inutile culo almeno su una Porsche, dunque mostrarsi svogliato, distratto, lontano da tutti e troppo preso da sé. L’unico vero nemico di Balotelli è Balotelli. Gli unici “buu” che possono fargli davvero male sono quelli che fa a se stesso. Come uscirne? Una donna grandiosa al suo fianco o una settimana con Ruud Gullit. Che una volta disse, quando lo interrogarono sul razzismo: “Dio mi chiese, prima di mettermi al mondo: vuoi nascere bianco con un piccolo coso o negro con un grandissimo coso? Io non ho avuto dubbi. E tutti quelli che hanno vissuto lo spogliatoio con me sanno che ho fatto la scelta giusta”.
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