Angelo Carotenuto per il Venerdì- la Repubblica
Prima di guardare le foto in queste pagine, bisogna leggere i prossimi numeri.
L' età media dei telespettatori statunitensi per le Olimpiadi di Pechino del 2008 era di 47 anni, ai Giochi di Londra del 2012 era salita a 48, ai Giochi di Rio del 2016 eravamo arrivati a 53. Uno studio Nielsen certificò che quattro anni fa, nella fascia d' età 18-34, c' era stato un crollo negli ascolti del 30 per cento e che in questa stessa fascia ormai a guardare le Olimpiadi è rimasto il 28 per cento delle persone.
Bene, ora potete guardare le foto. Così le risposte arriveranno prima di farsi le domande. È chiaro che se collassano i numeri delle tv, le Olimpiadi perdono qualche soldino. Ma se poi sono i giovani a scappare, li perdono oggi e li perderanno domani. Ecco cosa ci fanno a Tokyo l' estate prossima, accanto alla nobile scherma e al glorioso pentathlon moderno inventato dal barone Pierre de Coubertin in persona, quei barbari dello skateboard, del surf e dell' arrampicata sportiva, tutti coerenti con il nuovo imperativo economico e culturale - vai a capire il dosaggio - di Giochi più giovanili, più urbani, più inclusivi, e con una maggiore partecipazione delle ragazze.
Quattro anni fa il divieto di usare le Gif su contenuti olimpici fece capire quanto bassa fosse la consapevolezza nel Comitato internazionale (Cio) della nuova fruizione dello sport da parte degli adolescenti: prendo un frammento di immagine, ne faccio un meme, lo condivido. Puoi tenere un ragazzino davanti al televisore, non puoi costringerlo a fare solo quello.
Specialmente se ha lo smartphone a meno di mezzo metro. I nuovi sport arrivati ai Giochi sono una sterzata, sono il segno di una lezione appresa.
Il penultimo pezzo di questa rivoluzione in corso arriverà a Parigi tra quattro anni, quando nel programma entrerà la breakdance, che assegnerà la sua medaglia d' oro come fanno dal 1896 la maratona e i 100 metri. Cosa c' entri lo sport con una danza di strada nata dalla cultura hip hop degli anni Settanta è la grande obiezione che questo piccolo grande mondo sta affrontando da quando la notizia è diventata ufficiale, un mese fa.
mattarella alessandra cortesia
Giuseppe Di Mauro, 36 anni, palermitano, è il commissario tecnico della Nazionale italiana. «Non possiamo fermarci troppo a pensare alle critiche.
Vengo da un mondo e rappresento una comunità che ha ammirato le Olimpiadi ma non era nato per entrarci. È successo all' improvviso, perché il presidente del Cio Thomas Bach pensa che la break sia una disciplina nella quale spiccano valori come l' inclusione, l' eguaglianza, il rispetto. E ha ragione.
Quando siamo entrati nel programma dei Giochi giovanili di Buenos Aires 2018, era seduto a terra mescolato a noi, guardava le gare come facciamo da sempre. È rimasto affascinato da questo mondo nel quale si entra in un cerchio per sfidarsi e se ne esce abbracciati. Non sono questi i valori dello sport?».
Per il resto - diciamo - non è che manchi l' attività fisica. Certo i breaker si muovono più del sessantottenne Samuel Duvall che nel 1904 vinse l' oro nel tiro con l' arco oppure dei cinquantenni che tirano al piattello. La break altro non è che una battaglia - la gara si chiama proprio battle - a colpi di acrobazie e tecnica. La disciplina classica più vicina è la ginnastica artistica.
I passi in piedi si chiamano toprock.
Le esecuzioni con le mani sul pavimento: downrock. I ganci che portano da su a giù: go-down. Le rotazioni su se stessi: powermove. Pure sulla testa.
Quando si paralizzano come morsi da un bungaro fasciato, quelli sono i freeze, un complicatissimo esercizio di blocco del corpo in equilibrio, magari su un braccio, magari su un gomito. E poi c' è il suicide: la caduta volontaria, sulla schiena, o su una spalla. Non ci provate, non ci provate mai.
Le strade della competizione La breakdance ha vissuto serenamente finora nei circuiti underground, gare internazionali in cui l' Italia è stata rappresentata più volte proprio da Giuseppe Di Mauro aka Kacyo, insieme con la sua crew Deklan, fondata a Roma 11 anni fa con Walrus (Gabriele Seminara), palermitano come lui. «Ci pagavamo la casa con gli street show.
Questo è il mio background, la strada non è mai stata separata dalle competizioni. Ora si apre un altro circuito competitivo, fatto di gare uno contro uno, sotto l' ombrello delle Olimpiadi, dunque del Cio, e del Coni, e mi auguro che il mio mondo colga questa occasione. Penso a un ragazzino di qualche area disagiata del nostro Paese che grazie alla breakdance potrà un giorno passare dalla strada a rappresentare l' Italia, magari appartenendo a un corpo delle forze dell' ordine.
Un messaggio potentissimo. Stiamo vivendo un sogno. Anche tra di noi ci sono i puristi che storcono la bocca, sentono che il movimento perde qualcosa. Sarebbe un errore pensare secondo schemi antichi. Se la break è entrata nei musical, nei film, nei teatri, a noi della vecchia generazione, a noi che veniamo dalla strada, non resta che tramandare ai ragazzi l' idea che non esiste una direzione unica. Esiste solo la break fatta bene e quella fatta male».
allenamento e arte La breakdance italiana fatta bene in campo internazionale ha il volto di Alessandra Cortesia, 19 anni, veneta di Conegliano, tornata da Buenos Aires due anni fa con una medaglia d' argento e con la sua storia da raccontare. «Da ragazzina la break mi ha aiutato a superare i miei traumi. Alle scuole medie ho subito degli episodi di bullismo, ero considerata diversa, mi mettevano da parte, ho subito minacce. La break mi ha spiegato che diverso non significa sbagliato. La break è in fondo un dialogo, un dialogo tra due corpi che si fronteggiano».
Si fa chiamare Lexy, esce dal dilemma e dalle polemiche dicendo che bisogna «allenarsi come un' atleta e ballare come un' artista, me l' ha detto una ragazza belga». Racconta che le Olimpiadi davanti alla tv, da giovane spettatrice, «per me sono sempre state soprattutto la ginnastica e i tuffi, sono i primi ricordi che ho dei Giochi, e non avevo ancora fatto caso alla coincidenza che si tratta di altri due sport dove si vince come nel mio, con il voto di un giudice. Può succedere che il tuo esercizio non venga compreso o non venga giudicato come tu speravi o credevi che fosse giusto. Io mi sono data un metodo. Non reagisco.
Mi faccio filmare tutte le esibizioni. Il giorno dopo mi riguardo. Può capitare di accorgersi, a freddo, che il giudice non avesse poi così torto. Se del resto la break è un linguaggio, fatto di fantasia e di improvvisazione, chi può davvero giudicare alla fine come stai parlando? I miei vengono spesso a vedermi. La mamma si raccomanda ancora: non farti male».
in cerca di campioni Quando il presidente Sergio Mattarella ha conosciuto la sua storia, ha voluto nominarla alfiere della Repubblica per la sua battaglia contro il bullismo.
Nelle sale di danza l' iscrizione a un corso di break è spesso una soluzione al body shaming.
Gli agonisti italiani sono circa un migliaio, di fatto non esiste un censimento del movimento underground.
L' approdo a Parigi 2024 adesso può farlo venire alla luce. Dice il Ct Di Mauro che «in ogni sala, in ogni palestra, si può nascondere un campione. Ora si deve salire di livello».
Resta solo da dire quale sarà l' ultimo pezzo della rivoluzione olimpica.
Quando verrà. A suo tempo. Perché verrà. I giochi elettronici. A quel punto, ai puristi, la break sembrerà quasi l' atletica leggera.