Leonardo Iannacci per “Libero quotidiano”
MARIO SCONCERTI E ALESSANDRO DEL PIERO
Di Mario Sconcerti si narrano aneddoti succosi e divertenti nel variegato e polveroso mondo degli inviati del calcio. Per esempio che avesse affrontato, mostrando il petto, un'intera curva di ultrà al grido di «Venite qui, vi aspetto, non ho paura di nessuno!». Che abbia litigato con un azzurro di lì a poco campione del mondo mostrando un'inaspettata grinta da boxeur. E ancora, che abbia chiuso un lungo e fortunato rapporto di lavoro con un editore per il quale stava lavorando con successo, sollevandone la scrivania e urlandogli in faccia: «Caro, non sono certo io che ho bisogno di lei! È lei che ha bisogno di me per mandare avanti il suo giornale per il quale lavoro! Tanti saluti».
Tutto vero, come era tutto vero quello che scriveva nei suoi articoli e negli editoriali sempre arguti, precisi, informati e personalissimi nello stile, perfetto e unico. Come personalissimo era il suo modo di fare giornalismo che l'aveva portato ad essere accostato a un grande mito del nostro mondo: Gianni Brera, fuoriclasse con il quale aveva condiviso una lunga esperienza nella redazione sportiva de La Repubblica di Eugenio Scalfari, giornale per il quale Sconcerti aveva seguito il Mondiale di Spagna 1982.
Questo era Mario, penna davvero egregia del giornalismo sportivo, espressivo e analitico come pochi, sanguigno e toscanaccio come soltanto l'accezione più nobile di questo termine può descrivere. Il grande giornalista è volato in cielo ieri, bella delle beffe, appena 24 ore prima alla vigilia della finale mondiale qatariota fra Argentina e Francia. E, altro colpo del destino, 24 ore dopo la scomparsa di Sinisa Mihajlovic, uno dei giocatori da lui più amati, forse perché un carattere forte e una forza d'animo unica li accomunava inesorabilmente.
ARRESTO CARDIACO Sconcerti è stato tradito dal cuore. Un arresto cardiaco lo ha stroncato mentre era ricoverato in ospedale, al Policlinico di Tor Vergata, chiudendo improvvisamente la storia umana e professionale di questo campione della penna, attualmente prima firma sportiva al Corriere della Sera ma con precedenti di notevole spessore professionale.
Sconcerti aveva iniziato la sua brillante carriera giovanissimo a Firenze, al Corriere dello Sport, per poi trasferirsi nella redazione milanese e, in seguito, a vestire i panni singolari dell'inviato al seguito della nazionale di Fulvio Bernardini. Correvano i ruggenti anni '70 e il successivo trasferimento a Roma lo portò a seguire il ciclismo, in particole le gesta di Francesco Moser, campione sanguigno (toh.)...
Si ricorda, a proposito, il bel libro Con Moser, da Parigi a Roubaix nel quale Mario narrò con stile le imprese sul pavé del campione di Palù di Giovo. In seguito, la sua storia professionale lo portò alla Gazzetta dello Sport, al Secolo XIX di Genova e, di nuovo, al Corriere dello Sport, in questi ultimi due quotidiani nelle vesti di direttore. E fu subito boom di copie vendute per il quotidiano sportivo romano.
mario sconcerti brinda all osteria il 9
Molti lo ricordano anche opinionista televisivo per Sky, per la Rai e poi su Mediaset, e persino amministratore delegato della sua amatissima Fiorentina, all'inizio del nuovo millennio, sotto la presidenza focosa della famiglia Cecchi Gori.
RAPPORTO INTENSO Un rapporto lavorativo intenso ma decisamente turbolento, chiuso dopo un litigio feroce con Giancarlo Antognoni, all'epoca bandiera e anche lui dirigente del club viola. Sconcerti era nato a Firenze il 24 ottobre del 1948, anno in cui il suo conterraneo Gino Bartali vinse il Tour de France, secondo taluni storici soffocando un possibile moto rivoluzionario della sinistra in seguito all'attentato a Palmiro Togliatti, segretario del Pci.
Al terzo bicchiere di vino rosso, questo e altri episodi amava raccontare Sconcerti ai giovani colleghi durante le cene che seguivano puntualmente una partita serale, a pezzo già spedito al giornale. E, magari, anche titolato perché Mario era un professionista a tutto tondo: in qualunque angolo del mondo si trovasse amava suggerire a chi stava in redazione come vergare il titolo da apporre in pagina all'articolo appena dettato.
Il carattere focoso di questo peso massimo del giornalismo aveva segrete radici familiari: papà Adriano, difatti, era stato un noto procuratore nel mondo romantico del pugilato italiano degli anni '50 quando aveva lanciato nel firmamento dello sport nobile Sandro Mazzinghi e altri campioni del ring. Forse per questo Sconcerti ha sempre affrontato il giornalismo a muso duro e a guardia alzata perché soltanto la notizia o l'editoriale mai banale, scritto in perfetto italiano come ci si trovasse su un quadrato di pugilato, potevano colpire il lettore. Anche duramente, se quello messo nero su bianco rappresentava la verità, la preziosa pietra filosofale che questo talento del nostro mestiere ha sempre inseguito.
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