Gaia Piccardi per il “Corriere della Sera”
Lo stesso nome leggermente declinato, Marco/Gianmarco ma, soprattutto, la proiezione del sogno di ragazzo realizzata per interposta persona grazie all'oro dell'erede nel salto in alto ai Giochi di Tokyo dell'anno scorso non riescono nel delicato equilibrismo di tenere insieme padre e figlio.
A 11 giorni dal Mondiale di Eugene, evento clou dell'atletica nella stagione che deve confermare i valori della magica Olimpiade italiana, Gimbo Tamberi licenzia papà Marco rinunciando alla guida tecnica che l'aveva portato in pedana («Gianmarco preferiva il basket. Gli dissi che al massimo avrebbe giocato nelle serie minori; nell'alto, invece, gli bastavano due allenamenti per gareggiare con i migliori d'Italia. Lo aiutai a scegliere» ha raccontato Marco) e, tra gli alti e bassi di un rapporto mai facile, sul trono di Olimpia. «Sono stati anni di grandi risultati e divergenze - spiega Tamberi junior in un comunicato -, separarci è una scelta, presa con doverose cautele e un pizzico di coraggio, che nasce dall'analisi della stagione fin qui disputata».
GIANMARCO TAMBERI CON IL PADRE MARCO
Deludente, cioè, a parte il picco di Ostrava con un salto di 2,30 metri all'altezza della storia di Gimbo, avvilita da quel 2,23 di Rieti, ai Campionati italiani di domenica scorsa, condito da una brutta lite plateale con il collega Marco Fassinotti che era costata al fuoriclasse un'ammonizione per comportamento antisportivo (una storia di antipatia reciproca e provocazioni). «Siamo ben al di sotto delle aspettative - prosegue l'atleta -, c'è stato uno scambio di opinioni su cosa non stesse funzionando nella preparazione ed è emersa una diversità di vedute. Non voglio compromettere la gara iridata insistendo su una strada che non ritengo giusta e mangiarmi le mani dopo per non essere intervenuto».
Bye bye papà, ci eravamo tanto amati. Nella tradizione dei figli allenati dai padri (al Mondiale di Eugene la Nazionale italiana presenterà due coppie di parenti stretti: Filippo Tortu e coach Salvino, Larissa Iapichino e coach Gianni) i Tamberi non sono certo i primi che si dividono, già a Tokyo, travolto dalle emozioni dell'oro di Gimbo (condiviso con il qatariota Barshim), Marco aveva pronunciato a mezza voce una frase oggi premonitrice: «È la prima volta che mi succede di allenare un campione olimpico. E in futuro chissà se mi risuccederà». Incomprensioni, autorità parentale contestata, dolore; sì, anche dolore.
La simbiosi tra Marco e Gianmarco d'altronde nasce da un fatto che fa soffrire tutti in famiglia: la separazione tra Tamberi senior e la moglie Sabrina, ex saltatrice anche lei, anche lei allenata da Marco. Gimbo rimane ad Ancona a vivere con il padre; il fratello Gianluca, promessa del giavellotto, si trasferisce a Roma con la madre. È primatista italiano ma si è scontrato con il suo allenatore: Marco Tamberi. Sono dinamiche delicate, quelle tra consanguinei.
Figuriamoci tra padre e figlio. Nell'appartamento di Ancona, nel 2012, la pentola a pressione che sobbolle a fuoco lento sui fornelli di casa Tamberi esplode. «Io tendo a impormi, lui non è arrendevole» riassume Marco la coppia che scoppia. Gimbo si ribella facendosi del male: esce fino a tardi la sera, si presenta in ritardo agli allenamenti, rischia di buttare via tutto il suo talento. Il primo parricidio avviene lì. Per sfuggire alla convivenza, il saltatore va a vivere da solo contro la volontà del padre che forse teme - inconsciamente - di perderne il controllo e, poi, l'amore.
La carriera di Gimbo decolla. Continuare insieme era diventato troppo complicato. Già alla vigilia di Tokyo avevano sfiorato la rottura: «Troppe tensioni, troppi insulti: mi sono reso conto di aver quasi superato il limite» ha ammesso Marco in Giappone. Gianmarco va avanti da solo. Domani vola a Monaco di Baviera per risolvere un problema allo psoas (secondo le discipline orientali, non a caso, il muscolo dell'anima), da lì in Oregon. Al Mondiale si autogestirà sotto la supervisione della Federatletica. Una sfida inedita, un nuovo inizio.
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