Giancarlo Dotto (Rabdoman) per Dagospia
giancarlo dotto e giorgia surina
Cinque ore e mezza di calcio, si fa per dire, giocato, dieci rigori, quattro gol, uno ogni ottantadue minuti, di cui l’ultimo a fine supplementari, sei squadre e una sola protagonista, la noia. Un mattone enorme. Padrone assoluto il principio di realtà, la paura, primo non prenderle.
Da salvare, il gol a forbice di Shaquiri, invenzione cinematografica di un elfo. Magnifico tutto il resto, l’extracalcio, i tifosi allo stadio e gli inni nazionali a inizio partita. Polonia, Galles e Portogallo vanno oltre, per le prime due è festa grande, per l’altra l’immancabile percezione di una squadra monca, eternamente incompiuta, brava a ruminare palloni, come se masticare l’erba fosse tutto in un campo di calcio.
La Polonia e il Portogallo ci riescono nonostante la perdurante e occasionale latitanza dei loro uomini copertina, Lewandoski e Cristiano Ronaldo, a differenza del Galles, trascinata dal suo, Gareth Bale. Deludente la Croazia, che poteva e doveva essere la sorpresa di questo Europeo. A casa la squadra e a casa i suoi tifosi, con i loro maledetti razzi nascosti nel culo.
Se la noia è una virtù, Portogallo e Croazia, la più attesa, è stata la partita perfetta. Centoventi minuti di nulla, se escludi gli ultimi cinque, il palo di Perisic, il cranio patriotticamente verniciato a scacchi bianchi e rossi, e il gol di Quaresma.
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Potevi lasciare il televisore acceso con il volume al minimo e fare di tutto durante, sesso con la tua donna, annaffiare il prato, dare il secondo strato di vernice alla parete di casa o lo sciroppo alla nonna. Con la certezza che non ti saresti perso nulla.
L’imperante logica markettara mira ormai al gigantismo e all’inclusione. Questo Europeo gonfiato a ventiquattro squadre con l’uso massiccio dii anabolizzanti mediatici, un esercito di soldatini, tra Sky e Rai, sguinzagliati a pompare il poco o nulla, ha imbarcato una gigantesca dose d’inevitabile mediocrità, come accade al cibo per le grandi mense. Tra calcio non giocato e calcio straparlato, tra deserto e logorrea, sai con certezza qual è il tuo destino di pollo da batteria.
Un mondo artificiosamente dilatato dove tutto si somiglia, quelli che calciano e quelli che parlano, dove il tanto celebrato equilibrio è quello ammorbante della pochezza e dei linguaggi condivisi, al punto di aspirare e farsi aspirare dall’unico brivido possibile, i calci di rigore. Tre palle e un soldo. La spugna di tanta noia. Meglio allora sarebbe rispolverare la ferocia del vecchio sorteggio. Una punizione esemplare affidata al caso, per tanti noiosoni che rinunciano alla responsabilità di agire a costo di sbagliare.
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Qua e là rare eccezioni. Su tutte, in tutti i sensi fuori campo, l’esemplare “I giorni di Parigi”, tutte le sere alle 20 e 10 su Raitre, curatore Enrico Testa. Il vero cigno nero in questo circo, niente inutili pappagalli e cocorite da studio, ma solo narrazione, suggestione e occasione. L’occasione di non sentirti un coglione estorto a pagare il canone Rai.
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