Monica Scozzafava per il “Corriere della Sera”
In panchina non ha taccuino, né calamaio. Luciano Spalletti non scrive nulla, memorizza. Chiede al suo staff di riprendere questa o l'altra sequenza. Neanche guarda la cartellina dei cambi. Va d'istinto, o almeno così sembra. Eppure quasi tutto quello che fa ha una logica, una conseguenzialità. Una coerenza di fondo. Perché ogni partita è già pronta molto prima del fischio di inizio.
È il naturale resoconto di ore lunghissime - quelle poche che restano al netto dei viaggi e delle gare ogni tre giorni - passate al campo di allenamento a lavorare. Il tasso di intensità e di concentrazione è alto, non esiste altro che la sua squadra, il suo staff, le alchimie tattiche per bruciare gli avversari. Esiste per Spalletti un telo di protezione dello spogliatoio, che deve muoversi in un mondo a parte.
Isolamento? Sì, è anche questo uno dei segreti di Luciano, allenatore dei record in una Napoli che (ri)vive un sogno calcistico e che gli riconosce bravura e concretezza. Dunque niente lavagnetta dei buoni e dei cattivi in panchina, ma quaderni (tanti) custoditi nell'armadietto del suo ufficio di Castel Volturno. Memorie di vita quotidiana (non soltanto napoletana) che aggiorna e custodisce con gelosia.
luciano spalletti foto mezzelani gmt018
O forse riservatezza estrema. Spalletti è uomo attento, annota sensazioni e anche emozioni. Mette nero su bianco la sua idea di comunicazione pubblica, ma anche quei concetti che possono rappresentare una spinta motivazionale per i giocatori. I quaderni segreti di Luciano viaggiano con lui, da una città all'altra. Da una nazione all'altra.
Ci trovi Totti, ci trovi Icardi fino a Insigne, Mertens e ai protagonisti di questi giorni. I capitani coraggiosi con i quali è andato anche allo scontro.
Rapporti interrotti che nell'immaginario collettivo sono stati rapporti di forza che lui ha voluto stravincere. Spalletti tiene l'etichetta e ci marcia: è l'essenza del personaggio, l'egocentrismo al quale cede per dare ulteriore forza alle motivazioni. La benzina dell'uomo in tuta - sì in campo ci va così - per tenere costantemente acceso il motore e far durare più a lungo possibile la stagione più esaltante della sua carriera.
Spalletti è uomo di campagna, si aspetta che un giorno di pioggia possa rovinare la semina di mesi. Non si racconta favole, ma a qualcosa inizia a credere. La squadra è poliedrica, eccentrica. È versatile e anche complicata da affrontare. Il Napoli sa essere uno e trino, si adatta agli avversari che incrocia e ogni volta trova la capacità di esprimersi in maniera differente.
Dodici vittorie, 46 gol fatti tra campionato e Champions League: stravince in questo momento, eppure non è squadra che divide, piuttosto raccoglie consensi e anche simpatie. Proprio come il suo allenatore, che vive un inedito momento di attenzione benevola da parte della critica, pronta fino a ieri a ricordargli i titoli che in Italia non ha vinto e le querelle con i capitani dispettosi.
Spalletti fa la spola tra il campo e il suo ufficio, non molla di un solo centimetro e diffida, diffida moltissimo da chi gli sorride e lo accarezza. L'impegno aumenta in misura proporzionale allo scetticismo che avverte. Ed è in questi momenti che si accende la vena da protagonista ed eccede. Napoli è una città che lo coinvolge, il Napoli una squadra che lo sta rendendo sognatore. Sul quaderno avrà già scritto la parola scudetto?