Marco Calabresi per corriere.it
«Questo è uno sport maledetto. Devi provare a chiedere sempre di più a te stesso, altrimenti queste partite non si vincono». Matteo Berrettini è uscito dal campo con l’ovazione del pubblico della Rod Laver Arena, da lunedì sarà numero 6 del mondo. Continua a crescere, continua a trovare consensi in tutto il mondo, vince partite epiche come quelle contro Alcaraz e Monfils. Eppure non basta ancora. Ci sono sempre quelli là davanti, quelle leggende che proprio non vogliono saperne di lasciare spazio ai più giovani.
Capiterà, nell’inevitabile trascorrere del tempo. Ci sarà un giorno, come sta capitando per Federer, in cui Nadal e Djokovic non faranno più parte del circuito; il serbo si è fatto espellere dall’Australia ma tornerà, lo spagnolo aveva saltato metà stagione, aveva avuto il Covid e perso quattro chili di liquidi nel match contro Shapovalov.
Eppure ha avuto la lucidità di capire meglio di Matteo come vincere la partita e andarsi a giocare, domenica, il suo 21° titolo dello Slam, che lo porterebbe a staccare Federer e soprattutto Djokovic, il favorito di tutti per andare in fuga. «Non è giusto nei confronti di Rafa dire che gli abbia regalato i primi due set - le parole di Matteo -. Non sono stato al suo livello di intensità mentale, non ricordo un suo errore gratuito a inizio match. Non è da tutti i giorni giocare con Rafa in uno Slam, ma sento di poter fare di più».
Cosa manca a Berrettini per essere all’altezza di Nadal, come era stato per Djokovic capace di sconfiggerlo negli ultimi tre tornei dello Slam? Prima di tutto l’esperienza, e quella non si migliora con l’allenamento. Nadal era perfettamente consapevole che contro un martello di dieci anni più giovane sarebbe servita l’aggressività sui primi colpi dello scambio e a inizio match, quando sei nel pieno delle energie e te la puoi giocare anche con uno che da bambino ti guardava in tv e sognava di diventare come te. Ed è esattamente quello che ha fatto Nadal.
Contro queste macchine da guerra serve la partita perfetta: ridurre al minimo gli errori gratuiti (Matteo ha chiuso con 39, più del doppio rispetto ai 18 di Nadal, e 24 di questi sono arrivati nei primi due set), sfruttare i minimi cali dell’avversario, che tradotto significa sperare in qualche risposta in meno in campo su una prima devastante come quella di Berrettini, che ha chiuso però con «soli» 14 ace, quattro soli in più rispetto al minimo di questo torneo, i 10 contro Alcaraz.
C’è poi quello squilibrio tra incisività del dritto e del rovescio su cui Matteo lavora da anni, giorno dopo giorno, con Vincenzo Santopadre, con risultati evidentissimi. Nadal, pur avendolo incontrato una sola volta, due anni e mezzo fa in un’altra semifinale Slam a Flushing Meadows, sapeva benissimo dove andare a mettere la palla per avere le maggiori chance di vincere scambi e partita. Con una diagonale diabolica, sul lato sinistro di Matteo, quello del rovescio: quasi mai un rovescio bimane vincente, molto più spesso quello di colpi interlocutori all’interno dello scambio. I colpi da applausi con il rovescio, Matteo li ha messi a segno in back: sorprendentemente belli, efficaci, ma non ancora sufficienti per andare a prendersi la corona dei Re.
MATTEO BERRETTINI COME DAMIANO DEI MANESKIN - MEME BY EMAN RUS berrettini BERRETTINI NADAL