Antonio Giuliano per “Avvenire”
È passato alla storia come il detentore di un regno così grande che su di esso, così si diceva, «non tramontava mai il sole». Un sovrano di nome Carlo anche lui ma in un tempo in cui il calcio non era ancora stato inventato. Siamo nel XVI secolo e lui è Carlo V d'Asburgo.
Da quando però il pallone ha fatto irruzione tra gli uomini "re Carlo" può essere soltanto sua altezza Ancelotti da Reggiolo, mister che ha vinto in ogni Paese in cui ha allenato. A 62 anni la sua panchina è ancora un trono glorioso a dispetto di quei detrattori che lo vedevano già in esilio o sul viale del tramonto.
Perché "bollito" o quasi l'hanno ritenuto i dirigenti di Bayern Monaco, Napoli ed Everton e oggi forse si mangiano le mani dinanzi all'ultima conquista del mister reggiano alla guida del Real Madrid. L'approdo tra le prime quattro d'Europa (l'ottava volta per lui, record toccato solo da Guardiola e Mourinho) ne fa il primo allenatore nella storia della Champions League a raggiungere le semifinali in quattro decenni diversi: Juventus (nel 1999), Milan (2003, 2005, 2006 e 2007) e Real Madrid (2014, 2015 e 2022).
Lui che ha già vinto la massima competizione europea due volte da calciatore (con il Milan) e tre volte da tecnico (due con il Milan e una con il Real Madrid), insegue il quarto trionfo in panchina, traguardo mai raggiunto da nessuno nella storia della Coppa dei Campioni. Trofei e primati, finali vinte all'ultimo corner o perse dopo essere andato all'intervallo in vantaggio di 3-0: ne ha viste troppe Ancelotti per scomporsi anche dinanzi alla pirotecnica sfida del Bernabeu contro il Chelsea nella gara di ritorno dei quarti di finale.
Sull'orlo di un clamoroso fallimento sul 3-0 per gli inglesi (dopo il 3-1 a Stamford Bridge) i madrileni l'hanno spuntata ai supplementari (pur perdendo 3-2). Chi ancora non riconosce la sua "sovranità illuminata" dirà che la grandezza di questo Real dipende dai suoi magnifici solisti. Eppure Benzema nelle sue 13 stagioni a Madrid non aveva mai segnato così tanto (ora è già alla quota record di 38 reti).
Lo stesso Modric, autore dell'assist bello e "impossibile" contro il Chelsea, era considerato da pensionare dai madrilisti più critici. E invece continua a dipingere meraviglie a dispetto dei suoi 36 anni. Che dire poi di Vinicius o Militao...
L'unico comun denominatore può essere solo e soltanto l'uomo che siede in panchina. Come riconosciuto dagli stessi protagonisti in campo: «È spettacolare, sia come persona che come allenatore» ha detto Modric. E così mentre l'Everton quest' anno lotta per non retrocedere, il Bayern Monaco si fa buttar fuori dalla Champions dai sempre più sorprendenti spagnoli del Villarreal (già giustizieri della Juve).
Per Ancelotti invece non ci sono più aggettivi. Chiamatelo pure "Carlo Magno", tanto per scomodare un altro illustre sovrano. Da lui non sentirete mai un'autoproclamazione, avanti a tutto metterà sempre il gruppo e il suo pensiero elementare: «Il calcio è semplice, alla fine. Le statistiche rilevanti sono solamente due: i gol fatti e i gol subiti...
Il calcio non è così complicato. Il campo è sempre lo stesso, gli avversari sono sempre 11, la palla è la stessa, la porta non si muove...». Una filosofia "pane e salame" di nome e di fatto. Come confidò Galliani quando andò a casa sua per riportarlo al Milan nel 2001: «Solo le nove di mattina. Ma ad accoglierci non ci sono cappuccio e brioches, bensì pane, salame e lambrusco. Perché Ancelotti - scherzava Galliani - è uno dei più grandi allenatori della storia. Ma quanto a food and beverage, è senza dubbio il migliore ».
Philipp Lahm, campione del mondo con la Germania e bandiera del Bayern, ha spiegato perché Ancelotti riesce a imporsi ovunque e ogni giocatore lo vorrebbe come allenatore: «Ha l'umiltà del contadino come retaggio familiare e l'aura del top manager allo stesso tempo». Eppure Lahm ha aggiunto: «Se facessimo un sondaggio su chi sia il miglior allenatore del mondo, pochi risponderebbero Ancelotti, anche in Italia». Da noi in effetti ha collezionato anche esperienze amare: l'esonero a Napoli ma anche un rapporto mai sbocciato con i tifosi della Juve.
È andato avanti per la sua strada, rifacendosi con gli interessi in campo internazionale. Non è un caso che abbia vinto con Milan e Real Madrid, le due squadre europee che hanno più Champions in bacheca (ben venti).
Se poi gli date del "bollito" lo farete felice perché la butterà sicuramente in cucina. Paolo Maldini compagno di tante vittorie confidò: «Riesce a far battute anche prima di una finale di Champions. Ci parla di bollito, alza il sopracciglio, e noi andiamo a vincere, perché siamo sereni... Il segreto delle nostre vittorie sta nella sua normalità: non serve essere Special One, Two, Three per trionfare, è sufficiente avere equilibrio e restare giù dal podio di chi fa i fuochi d'artificio davanti alle telecamere».
Umiltà, semplicità, capacità di non prendersi troppo sul serio sono questi i pilastri del Sacro Romano Impero di Ancelotti. Un regno senza tempo e senza confini, con l'unico italiano a rappresentarci in Champions pronto a mettere la bandierina di campione nazionale anche in Spagna (il Real conduce la Liga con 12 punti di vantaggio a 7 giornate dal termine). Sarebbe l'ultimo grande campionato d'Europa ancora non conquistato dopo Italia (Milan), Inghilterra (Chelsea), Francia (Psg) e Germania (Bayern Monaco). Lunga vita a re Carlo.
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