Da corriere.it
L'epurazione anti-russa del Chelsea — seguita all'invasione dell'Ucraina da parte delle truppe di Mosca — non ha chiuso soltanto l'era di Roman Abramovich al timone del Blues, dove è subentrato Todd Boehly, presidente e amministratore delegato di Eldridge, e Clearlake Capital Group, per 5 miliardi, ma anche quella del direttore esecutivo Marina Granovskaia, cui subentrerà proprio lo stesso Boehly ad interim.
Granovskaia era fondamentalmente l'alter ego del magnate russo, e prendeva le sue decisioni da sola. Classe 1975, top manager sportiva emersa come outsider anni fa dal milieu imprenditoriale dello zar Roman, fu assunta nel 1997 per collaborare Sibneft, la compagnia petrolifera (poi ceduta alla galassia-Gazprom per 13 miliardi di dollari).
Nel 2003, al momento dell'acquisto del Chelsea, venne confermata a sorpresa. E, solo nelle ultime 10 stagioni, ha gestito qualcosa come 2,4 miliardi di euro in trasferimenti, il più caro il ritorno di Romelu Lukaku per 115 milioni —. In totale, ha vinto cinque Premier League, cinque FA Cup, due Europa League, tre Coppe di Lega e un Mondiale per club. Quindici anni dopo la rivista Forbes la inseriva al quinto posto tra le 100 donne più potenti nel dello sport; prima nel calcio.
Un’origine canadese, una preparazione variegata e raffinata come il suo aspetto curato, ma acqua e sapone. Laureata in lingue straniere a Mosca, una carriera nella danza abbandonata per una delle scrivanie più prestigiose, è stata definita (semplificando troppo) Zarina del Chelsea. Ma, al netto delle banalità, è sempre stata una donna che decide (bene), parla (poco; non concede mai interviste) e agisce – austera e silenziosa- col fare di chi non cede alla vanità del potere, ma lo gestisce. Non twitta, non fa post Instagram e nemmeno su Facebook.
Uno fra i tanti a dover riconoscerne la capacità è stato l’ex capitano John Terry. Al suo ultimo rinnovo: «O firmi questo o ti levi dalle...» gli fece Marina, mentre il difensore già scriveva. Una donna decisa, che non ha bisogno di tante telefonate o decine di mail per dire qualcosa. «Va dritta al punto», raccontò l’agente del difensore Kourt Zouma.
Uno dei suoi exploit fu il munifico contratto di sponsorizzazione con Nike 66 milioni l’anno dal 2016 fino al 2032. Soldi importanti; mattoni per una stabilità economica e una credibilità sportivo-gestionale, appoggiata su trend significativi. Solo nel 2018 – penultima annata ante-pandemia – l’esercizio del Chelsea fu chiuso alla voce ricavi con un +27% (rispetto all’anno precedente). Da 360 a più di 442 milioni di sterline.
Poi le sue scelte, per esempio quelle degli allenatori: sì al ritorno di Mourinho (dal 2013 al 2015; vinta una Premier e una Fa Cup); no a Luis Enrique, definito arrogante; «ni» ad Antonio Conte, con cui ri-vince la Premier nel 2016-17 ma poi litiga sul trattamento di fine rapporto (ha vinto l'allenatore). Quindi la preferenza (discussa) a Sarri, che non porta il gioco-champagne sperato, ma un’Europa League, una finale di Fa Cup ed un terzo posto in Premier (nell’unica stagione 2018-19). Spietata infine con l’ex bandiera Frank Lampard, quando prende Thomas Tuchel in panchina.
Col brivido di chi a volte ritorna sugli stessi (prestigiosi) obiettivi: nel 2012 quando la banda Di Matteo arrivò sul tetto d’Europa – manco a dirlo – lei c’era già. Adesso, per i prossimi trofei, i Blues non conteranno su di lei, che solo lo scorso 13 dicembre aveva vinto il «Best Club Director» del calcio europeo.