Daniele Dallera per il “Corriere della Sera”
Mario Sconcerti sapeva, conosceva, insegnava. E qui nasce il guaio: era inimitabile, uno stile che scorreva veloce, sempre ricco di immagini originali, coraggiose, personali, dove tutta la cultura di Mario emergeva elegante, mai prepotente.
La tentazione di copiare è forte, anche nel giornalismo, un errore grave farlo con i fuoriclasse. E quanto a giornalismo, materia complessa, lui era un numero 10, alla Rivera, alla Platini, nel caso di Mario forse è più appropriato citare Giancarlo Antognoni, fiorentino come il «Navarro», così Gianni Brera, il più grande di tutti, aveva battezzato il giovane Mario Sconcerti.
Brera aveva capito subito il talento di Sconcerti, capace nella sua generosa carriera di andare oltre calcio e sport, chiamato da Scalfari per guidare le pagine sportive di Repubblica, ha diretto il Corriere dello Sport, il Secolo XIX, vicedirettore alla Gazzetta dello Sport, opinionista televisivo a Sky, alla Rai e a Mediaset, dal 2006 editorialista al Corriere della Sera, dove è stato amico, maestro, compagno di avventura, regista dall'assist facile, fare gol con lui era un gioco da ragazzi.
mario sconcerti brinda all osteria il 9
Gli ultimi giorni sono stati faticosi senza la sua firma, noi tutti, al Corriere e nella redazione sportiva, eravamo un po' in ansia perché a inizio Mondiale lo avevamo sentito stanco, con una voce flebile, sottile, facile capire che non fosse in forma, e il suo ricovero ospedaliero non ci aveva colto di sorpresa.
Ma sapevamo che sarebbe stata una tappa di pianura, per sistemare un po' di cose, in particolare quel rene che faceva i capricci. E con sollievo giovedì mattina lo avevamo sentito, confortato, la sua voce era tornata quella di prima, forte e chiara: «Daniele mi spiace stare lontano dal giornale e dal Mondiale, guarda che domani mi portano il computer e ho un'idea, per un pezzo...».
L'idea era vincente e il pezzo sarebbe stato come sempre importante. Lo attendevamo felici quel pezzo, convinti che il direttore ormai si stesse rimettendo. La convinzione diventa sicurezza quando venerdì sera, una donna fantastica, Rosalba, moglie, compagna, assistente, telefonista, amica nostra, ci ha chiamato e, rassicurata dal miglioramento del suo Mario, ci diceva: «Sai Daniele che le cose stanno andando bene, gli esami sono a posto, i parametri sono tornati alla normalità, tra pochi giorni, martedì-mercoledì, Mario sarà dimesso...».
Ieri l'irreparabile, quel cuore che si ferma, che non riparte più, i soccorsi inutili, medici e assistenti che scuotono la testa, la disperazione di mamma Rosalba e Martina, la loro figliola.
Mario Sconcerti era cresciuto a bordo ring, seguendo papà Adriano, procuratore di campioni come Sandro Mazzinghi, amava lo sport, lo studiava da sempre, innamorato della Fiorentina, ne era diventato addirittura amministratore delegato, erano i tormentati tempi di Cecchi Gori, ma la sua forza era quella di saper raccontare. Con delicatezza, con garbo, mai col veleno.
Naturalmente non temeva la polemica, se era necessaria usava anche quell'arma tattica, era stimato da molti tecnici, con lui si confidavano. Un sottile piacere leggerlo e titolarlo, non accadrà più maledizione, ma la lezione di Sconcerti, umana e professionale, resterà per sempre. Che fortuna aver lavorato con lui.
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