Estratto dell'articolo di Pasquale Caputi per il “Corriere del Mezzogiorno – Corriere della Sera”
[…] Eziolino Capuano, anni 59, professione allenatore. Ha lasciato il Foggia per il dolore umano non risarcibile della morte di tre tifosi. La fotografia di una vita vissuta sempre con la schiena dritta.
Cosa é il calcio secondo Ezio Capuano?
«Credo sia vendita di emozioni con commozione. E il mio è un calcio divertente e sentimentale, anche se oggi è un pallone diverso, cambiato con l’evoluzione della vita. I social hanno migliorato forse la quotidianità ma il calcio no. Durante la settimana si dà valore a espressioni di massimo egocentrismo. Si bada ai voti che vengono dati dai giornali, all’assegnazione degli assist. Io non ho Facebook o Instagram. Ho solo whatsapp. Basta e avanza».
Emozione e commozione contro business.
«Penso alla morte dei tre ragazzi di Foggia. Non c’è stato minuto di raccoglimento, la gara non è stata rinviata perché era programmata sul canale 201 di Sky. Da qui deriva la scelta di rinunciare a un contratto. Ho visto il padre di uno dei ragazzi morti, che ha portato un mazzo di fiori per il figlio sul campo di Potenza. Era un uomo distrutto dentro e non mi sono arreso, ma mi sono sentito colpevole nell’animo essendo padre di figli. Il giorno dopo, anche alla luce di situazioni che non ho condiviso, sono andato via».
[…] Ci vuole coraggio a essere coerenti, fin quasi a essere reputati ingestibili?
«Cosa significa gestibile? Se vuol dire essere offeso nella dignità di uomo, preferisco essere ingestibile a vita. Al contrario, se essere ingestibili è sinonimo di coerenza, meglio essere così. Nel calcio sono tutti yesman. Ma mi trovi un allenatore che in Europa per 35 anni non è mai stato fermo. Eziolino Capuano non ha mai saltato una stagione».
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Allena da quando era un ragazzino.
«Ho iniziato a Empoli, poi sono diventato campione d’Italia con l’Heraion, ma l’inizio della carriera tra i grandi è avvenuto con l’Ebolitana. Il giorno prima, con la Beretti, avevamo sconfitto il Napoli per 2-0 e, complice l’esonero del tecnico della prima squadra, mi chiamarono sulla panchina dei grandi. Ricordo che per essere ritenuto più credibile, dissi di avere 28 anni e invece ne avevo 24. Ma la verità è che la personalità o ce l’hai o non ce l’hai».
Perché non ha mai allenato in A o in B?
«Perché sono sempre stato considerato ingestibile. In realtà ho allenato in serie A in Belgio, all’Eupen, salvo entrare in rotta con la società perché preferivo schierare Espinal e non un giocatore pagato molto di più. Sono stato vicino ad allenare l’Empoli in B e la Salernitana mi aveva praticamente preso, con tanto di presentazione del presidente Aliberti. Poi il direttore Longo, qualche settimana dopo, ufficializzò Pioli. Ecco, posso dire una cosa: sono sempre stato scelto dai presidenti e non dai direttori sportivi. E questo è tutto dire».
Che rapporto ha avuto e ha con i presidenti?
«Non ho mai avuto grandi scontri con loro in realtà. Ma il presidente deve fare il presidente, l’allenatore è l’allenatore. In compenso con il 90% dei calciatori ho avuto un rapporto meraviglioso. Vado d’accordo con l’uomo, prima che con il giocatore in senso stretto. Con Capuano devi essere una persona seria, degna di rappresentare un popolo».
[…] Cosa è per lei essere allenatore?
«Un allenatore è come un prete, è una vocazione. Mi sento molto vecchio stampo. Oggi si pensa all’orecchino, al tatuaggio. Guai se vedo fare allenamento con gli orecchini. Un calciatore rappresenta una città e un popolo, deve ricordarsi sempre che un operaio mantiene una famiglia con 1800 euro. Dopo l’allenamento, fino a un certo punto, puoi fare quello che vuoi».
Il suo rapporto con i tifosi?
«Sono uno del popolo e vivo per il popolo. Ho un rapporto stupendo con i tifosi e gli ultras. E dico con chiarezza una cosa: gli ultras non sono delinquenti. Quella ultras è una mentalità che nel bene e nel male va rispettata. Davanti a 12mila tifosi ai funerali dei ragazzi foggiani c’era tutto il mondo ultras d’Italia. Questi sono grandi ideali».
[…] Ci sono delle cose che non rifarebbe nel suo percorso professionale?
«Sono stato attanagliato dalla fama di personaggio mediatico senza che ne fossi contento. Girano video di 20-25 anni fa di cose che, per carità, ho fatto. Ma ero diverso, più giovane. Con l’esperienza di oggi non rifarei gli stessi errori. Anche perché ho imparato che il silenzio fa molto più rumore delle grida. E solo chi non vuole capire non capisce». […]
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