Mario Sconcerti per il Corriere della Sera
È stata una buona Juve, con tanti vecchi problemi ma molta concentrazione in più e soprattutto un Vlahovic diverso, decisivo nei movimenti e nel gol.
Abituati come siamo a giudicare tutto attraverso slogan (mercato, allenatore, competenza generale, tutte cose su cui i tifosi si possono sentire alla pari con i protagonisti), si è dato poca importanza all'intervento di Andrea Agnelli dopo la partita con l'Haifa. La svolta è stata lì, i giocatori rispettano la rabbia e la diversità di chi li paga. Agnelli ha usato parole dure, ha parlato di vergogna e di responsabilità, della necessità di uscire insieme dal momento. Ha tolto alibi a giocatori e tecnico assumendosi i rischi del futuro.
Questo è un comportamento da antica grande società. È coerenza nell'epoca dei social, una contraddizione in termini che da qualche parte andava comunque ripresa. Sono parole dovute, non nuove, che oggi non si dicono più.
ultrà juve striscione contro andrea agnelli
Non le ha mai dette Zhang, le ha fatte dire nel suo modo felpato e inutile a Marotta. Non le ha mai dette Friedkin, che le lascia dire a Mourinho confondendo i ruoli. Non hanno mai parlato né Elliott né Cardinale. Commisso quando parla non lo fa mai sui problemi della squadra, ma su quelli con la stampa.
Nessun presidente si prende colpe, per questo quando uno lo fa porta rumore e conseguenze. La Juve ha ancora problemi, probabilmente uscirà dalla Champions e vedrà altri vincere il campionato. Perché è protagonista e vittima di un'anomalia storica. Non si può vincere per nove anni e rimanere se stessi. Ogni impero universale è caduto, da quello di Ciro a quello di Alessandro, da Roma, a quello prussiano. Se vinci molto, perderai quasi altrettanto. Perché non sarai più lo stesso, cambi con le vittorie.
Agnelli ha ricordato questo con in più una punta di orgoglio: la Juve siamo noi, i nostri cento anni di società, investimenti e scelte, nessun altro. Chi vuol giocare con noi lo ricordi. Chi vuol tifare per noi, lo ricordi anche di più. Non ci sono vie di mezzo. Il Torino è capitato così quasi in un ambiente non suo. Non è riuscito a spaventare la Juve con il solito agonismo. Quando Vlahovic è entrato in partita, il Torino ne è uscito quasi naturalmente. Tracce di vecchia Atalanta a Bergamo. Sta tornando anche bella, Gasperini sta rinnovando ricominciando dall'antico: il contropiede.