DAGOREPORT
Il 24 gennaio del 1999, Moacir Barbosa Tuta, attaccante del Venezia, si alzò dalla panchina per fare il suo lavoro. Entrò a un ciuffo di minuti dalla fine della gara casalinga con il Bari al posto di Alvaro Recoba e nella stagnante laguna di un pareggio accomodato, provocò un maremoto. Segnò al novantesimo minuto, Tuta. E dopo il gol, al posto dei festeggiamenti, ricevette freddezza, sguardi increduli dai compagni di squadra e molti vaffanculo accompagnati da qualche tentativo di linciaggio dagli avversari pugliesi: «Che cazzo hai fatto? Stronzo!» nel sottopassaggio. Cose che accadono quando la stagione volge al termine (In Italia purtroppo i calcoli iniziano fin dall’inverno) e che - le ultime giornate della serie A sono lì a dimostrarlo - sono sempre accadute.
Meglio due feriti che un morto
«Meglio due feriti che un morto» teorizzava Gigi Buffon «Se qualcuno fa qualche conto è giustificato» rincarava sulla porta di Coverciano e da allora, non ci si è mossi di un passo. Piccole e grandi vergogne che ogni tanto, per un tacito accordo saltato all’ultimo istante, degenerano in risse, cacce all’uomo, scene invereconde sotto l’occhio delle telecamere o dei commissari di campo.
GERMAN DENIS E LORENZO TONELLI
L’ultima della serie, la strana, stranissima gara di pugilato tra Denis e Tonelli nel post Atalanta-Empoli, al di là dei figli tirati in ballo, delle accuse di reciproca vigliaccheria e delle conferenze stampa, ha proprio l’aria antica degli accordi di buon vicinato che sono stati a un passo dal saltare.
Per evitare scene poco edificanti, meglio spostarsi. Farsi da parte. Prestarsi al ruolo di vittime sacrificali perché presto o tardi, i beneficiati di oggi sapranno come restituire il favore domani. Il calciomercato è vicino. Le vacanze anche. E dirigenti e calciatori, si sa, si ritrovano anche sul lungomare.
La solita domenica di fine stagione
Nella domenica appena messa in archivio, come da copione, qualcuno si è inchinato alla più aurea tra le regole non scritte dimenticando il ritegno. Il Palermo ha lasciato passeggiare l’Atalanta in Sicilia mandando definitivamente in B Cesena e (manca solo la matematica) Cagliari. Il celebrato Empoli dell’onesto, integerrimo Sarri - la squadra sulla carta più in forma del campionato - ha concesso alla Fiorentina di prendere tre punti vitali per evitare il completo fallimento dell’annata tra le mura amiche del Castellani.
L’Udinese che con la Sampdoria ha ottimi rapporti - avendole appena ceduto a un congruo prezzo Muriel nel mrcato di gennaio - ha calato le braghe come da copione fin dal primo tempo. In modo anche troppo smaccato, se è vero che la partita del Friuli, conclusasi sul quattro a uno per i genovesi che inseguivano l’Europa e che in trasferta non vincevano da più di un mese, sarebbe potuta finire con un punteggio tennistico. E meno male (per la decenza si intende) che nell’Udinese gioca il bravo Karnezis, un portiere greco che come accadde al brasiliano Tuta («Non capisce bene l’italiano» si disse per minimizzare il disastro mediatico di Venezia-Bari) della svagatezza e dei piani dei compagni non aveva avuto forse l’adeguato sentore.
Torte, pastette e dolci estivi
Certe torte non c’è neanche bisogno di infornarle. Se ne sente il profumo nell’aria. A volte gli accordi si fanno direttamente in campo e come raccontò Fabian O’ Neill, ex centrocampista uruguaiano di Cagliari e Juventus dal tocco fatato pari solo all’incostanza, per liberare l’alfabeto Morse del pallone corrotto, bastava alzare entrambe le braccia in campo. Chi doveva capire, capiva.
Carlo Petrini Nel fango del Dio Pallone
Tra il pareggio accomodato per reciproca esigenza e il calcioscommesse che genera profitto e che in Italia ciclicamente ritorna come un morbo (1980, 1986, 2006, in ultimo l’inchiesta di Cremona) c’è una notevole differenza, ma a volte gli universi collimano. Ai tempi delle puntate raccolte tra i banchi degli ortomercati romani da Cruciani e Trinca, a svelare la truffa al Paese, fu proprio un pareggio accomodato che non si verificò.
carlo petrini ipallonari cover
Bologna-Avellino si disputò l’undici febbraio 1980. Sarebbe dovuta finire con la posta divisa a metà, ma il Bologna segnò inopinatamente e gli irpini non riuscirono a recuperare perché non tutti i bolognesi, a iniziare dai difensori, erano stati avvertiti della combine.
“Quando si concordavano i pareggi»- scriveva Carlo Petrini, un esperto del genere- «si puntava allo 0 a 0 per evitare che il controllo del risultato potesse sfuggire di mano». In altre occasioni, la rabbia per l’accordo saltato esondò e provocò ulteriori problemi ai diretti interessati.
Non si fanno certe cose a cinque minuti dalla fine
Il 27 marzo 1983, arbitro Pairetto, con Genoa e Inter avviate sul 2-2, di far saltare il banco a 5’ dal fischio finale disi occupò Salvatore Bagni. Bagni - esattamente come il brasiliano Tuta - non venne festeggiato dai suoi compagni e nello spogliatoio, mentre Giorgio Vitali, il direttore sportivo del Genoa, sbraitava: «I dirigenti dell'Inter devono sapere che merde sono i loro giocatori sul piano umano», prese anche qualche schiaffo.
Un giornalista de Il Giorno, Paolo Ziliani, oggi al Fatto Quotidiano, scrisse della vicenda (anni dopo uscirà un suo libro dal titolo emblematico: “Non si fanno queste cose a cinque minuti dalla fine”) e cercò di scavare con il collega Claudio Pea. Prese insulti in serie da Gianni Brera: «Odiano l’Inter perché non sono lombardi» e procurò l’apertura di due inchieste (una penale e una federale) finite dopo cento giorni in un nulla di fatto per insufficienza di prove perché il clima (susseguente alla grande amnistia di Spagna ’82) non era per così dire “propizio”.
Il cerchio che si chiude
Una procura federale che archivia, comunque, si trova sempre. Dopo il Perugia-Milan 1-2 della stagione ’98-’99 che regalò al Milan di Zaccheroni lo scudetto, scoppiò il caso Melli. Quando Boskov, l’allenatore degli umbri gli chiese di entrare a mezz’ora dalla fine, ricevette un secco rifiuto.
«Il Perugia sa il perché», disse lui. Qualcuno scrisse che il diniego era legato alla partita non proprio regolare. Vent’anni dopo o poco meno, Melli è a Parma dove domenica, tra una denuncia di Donadoni e una mancata rissa tra un attaccante che vuole segnare e un portiere che non vuole saperne di lasciare spazio a un risultato già scritto, il cerchio dell’eterno scandalo si chiude.
Philippe Mexes strozza Mauri il portiere greco orestis karnezis guarda il gol di pablo armero della colombia che entra nella rete
Donadoni ha perfettamente ragione, ma come sanno a Napoli, non potrà mai provarlo. Anni fa un anonimo calciatore confessò le proprie colpe a “Famiglia Cristiana”. «Ho lavorato per danneggiare la mia squadra in serie A, allettato dalla prospettiva di un ottimo contratto». Ebbe l’assoluzione, terrena o divina non fa differenza, esattamente come la ottenne il Milan di Capello che nel ’94 perse a San Siro contro la Reggiana condannando il Piacenza di Gigi Cagni alla serie B o la Lazio di Reja che nel 2010 fece comodamente passare l’Inter di Mourinho a Roma con tanto di esultanza della curva Nord. Anche in quell’occasione, solo illazioni, ipotesi, muri di gomma. Tuoni senza pioggia, fino al prossimo temporale.