TESTO DI Mathieu Aeschmann per “Lena” pubblicato da la Repubblica
Roger Federer ci ha ricevuti in una libreria di Dubai per una chiacchierata a tutto tondo, in totale relax, e ha parlato anche dell' addio al tennis che si avvicina e sembra infondergli energie nuove.
Festeggerà il Natale sotto il sole di Dubai?
«Lo festeggerò in famiglia. Abbiamo decorato l' albero e preparato i biscotti natalizi. Quest' anno verranno a trovarci i miei genitori, e quindi sarà un Natale ancora più speciale. Adoro il periodo delle feste di fine anno. Certo, preferirei trascorrerle in Svizzera piuttosto che a Dubai, perché in Svizzera ho tutti i miei ricordi d' infanzia. Avevamo l' abitudine di andare a Berneck (vicino a San Gallo), a casa dei miei nonni».
A quando risale il suo ultimo Natale sulla neve?
«Sei o sette anni fa siamo saliti allo chalet di Lenzerheide. Però non c' era neve: era tutto verde e solo il 25 dicembre è arrivata una spruzzatina di bianco. È un' eternità che non trascorro un Natale sulla neve».
Visto che lei si può permettere tutto, cosa le fa davvero piacere?
«Provo un grande piacere a vedere gli altri aprire i doni. Quanto a me, non ho bisogno di grandi cose. Anzi, di nulla. Mi piace moltissimo quando con mia moglie Mirka possiamo rendere felici le persone che ci sono care: i bambini, i nostri amici, i miei genitori, il mio team».
I suoi figli che cosa chiedono a Babbo Natale?
«Scrivono le lettere e ogni tanto troviamo richieste davvero strane. La richiesta più problematica è quella di animali domestici. Non siamo abbastanza stanziali per poterceli permettere, regalarglieli non avrebbe senso».
Nei momenti di vacanza, le capita mai di pensare: vivo una vita folle?
«In effetti sì, mi capita. Ci sono periodi in cui tutto mi sembra normale: le trasferte, l' eccitazione costante attorno a me, il tifo, le vittorie, le sconfitte. E poi ci sono momenti in cui prendo coscienza di quanto sia folle essere sempre al centro dell' attenzione, giocare in campi strapieni, continuare a vincere. È un effetto simile a una doccia fredda. Per fortuna, si tratta di una sensazione rara».
Dopo la sconfitta in semifinale al Masters, è ripartito di corsa per una tournée in America Latina. Senza nemmeno il tempo di smaltire la delusione. Come fa?
«È il tennis ad avermelo insegnato. Ho imparato che dopo una sconfitta, anche la più cocente, c' è sempre un' altra opportunità. Ne abbiamo avuto la riprova estrema a Bogotà: eravamo pronti a entrare in campo quando la partita è stata cancellata a causa del coprifuoco in città. Ho detto a Sascha (Zverev): ti rendi conto che tra sole 24 ore abbiamo appuntamento in uno stadio di Città del Messico per battere il record del numero degli spettatori presenti a una partita di tennis (42.517, ndr ) ».
Dopo lo Swiss Indoors, lei ha provato nostalgia per la sua carriera che scorre così velocemente. Questo pensiero le viene in mente spesso?
«Quasi unicamente quando mi chiedono per quanto tempo intendo ancora giocare. In questi casi, rispondo che non lo so. Del resto, questa domanda mi incuriosisce, vorrei saperlo io per primo. Questi ultimi 20-25 anni sono passati in un soffio. Ventiquattro anni fa giocavo l' Orange Bowl, il campionato di tennis del mondo Under 14.
L' edizione 2019 inizia questa settimana e ci gioca il figlio di Tony Godsick, il mio agente. È chiaro che questo mi fa ripensare a quei tempi, a quando avevo 14 anni. E invece eccomi qui: ho 38 anni e mi chiedo: sta per finire tutto? Se fosse vero, il tempo sarebbe volato via davvero velocemente. Ma in questo c' è anche qualcosa di bello e rassicurante: non si dice forse che quando ci si diverte e si fa qualcosa che piace il tempo scorre più rapidamente?
Ebbene, deve essere questo il mio caso. Ho trascorso anni meravigliosi nel mondo del tennis. E so che dopo mi aspettano molte altre belle cose. Premesso ciò, so fin d' ora che questa vita e il mondo del tennis mi mancheranno.
Per questo ho intenzione di approfittarne e di vivere ancora tutto con la stessa intensità».
Cerca di scacciare dalla sua mente questo pensiero della fine che si avvicina?
«Non voglio scacciarlo. Questo pensiero è parte integrante del processo, della mia vita di oggi. È qualcosa di reale. E ha anche la funzione di suscitare altre sensazioni. È grazie a questo pensiero che per esempio provo una gratitudine enorme per tutto ciò che ho potuto vivere. Questo pensiero mi serve da motivazione, mi spinge a immaginare come risparmiare le forze o reinventarmi per restare più a lungo in campo. E poi, mi è utile fare passi avanti rispetto alle mie paure».
Ha preso impegni a Hangzhou per esibirsi fino al 2023. Alcuni hanno dedotto che lei intende giocare fino a quella data. È così?
«Certo che no ( ride). Da un lato so che sarò ancora in grado di evolvere a un livello sufficiente nel 2023 per piacere al pubblico. Nessuno dimentica come si gioca a tennis quando decide di ritirarsi. Dopo, chissà Sarò ancora nel giro del tennis fra quattro anni? Non si sa.
Ricordo però che nel 2007 Pete Sampras mi ha sconfitto a Macao in un torneo, pur essendo uscito dal giro da cinque anni. E io ero il numero uno al mondo. Con questo, intendo dire che tu puoi anche darti una scadenza, mettere fine alla tua carriera perché non sei più in grado di giocare una settimana dietro l' altra, ma questo non vuol dire niente: sei sempre capace, una volta ogni tanto, di giocare una partita splendida».
Le sue figlie hanno dieci anni e i maschietti cinque. In fin dei conti sono soltanto loro a farle prendere coscienza della sua età?
«È vero, sono cresciuti tanto. E poi con loro ho già fatto tante cose, possiamo parlare di tantissimi argomenti. Mi prendo sempre più tempo da trascorrere con loro, senza correre troppo e partecipare a tutti i tornei. Insieme a Mirka, i miei figli sono la mia priorità assoluta».
Passiamo al tennis e a questa stagione dal bilancio paradossale.
Lei ha giocato un tennis straordinario nel periodo migliore (contro Nadal in semifinale a Wimbledon, contro Djokovic ai Masters) senza riuscire però a conquistare un titolo importante.
Qual è la sua analisi?
«Diciamo che ogni tanto le cose devono andare così. Se si vuole cercare una spiegazione concreta, ricordiamoci che a Wimbledon mi è mancato un solo punto che avrebbe cambiato ogni cosa in termini di percezione. Poi mi pongo la domanda: come superare la cosa? Devo cambiare qualcosa? Questa è l' analisi che farò insieme ai miei coach Ivan Ljubicic e Seve Lüthi.
Chiederò loro in tutta sincerità se pensano che io debba cambiare qualcosa in fase di allenamento, o qualcosa durante la partita. Se c' è qualche aspetto da aggiustare sul piano mentale, anche fisico, forse, o una tattica. Ecco, la mia sfida fino a metà gennaio sarà proprio questa: comprendere con esattezza le loro indicazioni tattiche».
La finale di Wimbledon, come quella di Melbourne 2017, ha lasciato alcune tracce nella mente dei suoi tifosi. È consapevole di come la gente viva e senta sulla propria pelle la sua carriera?
«In Australia l' ho sentita con grande intensità. Perché era una vittoria e tutti me ne parlavano. La gente, però, evita sempre di parlarmi di sconfitte.
Indubbiamente, non vuole risvegliare cattivi ricordi. Ho intuito subito che la finale di Wimbledon era incredibile, che il susseguirsi di match ball le avrebbe conferito una dimensione che sarebbe andata al di là del tennis. Me ne sono reso conto all' istante, come per Melbourne 2017 o per la finale di Wimbledon 2008 contro Rafa».
Nella prima fase della sua carriera, il rovescio sembrava la variabile più grande del suo modo di giocare. Nel giro di pochi anni questa variabile sembra essersi spostata al dritto.
«Ci sono due spiegazioni. Prima di tutto il cambio di racchetta (nel 2014) mi ha aiutato sul rovescio. Al tempo stesso, però, ero consapevole che quel cambiamento di attrezzo avrebbe avuto un impatto negativo sul mio dritto. Poi, nell' estate del 2018, ho avuto un problema alla mano che mi ha destabilizzato molto da quella parte. Per fortuna, mi rendo conto che le cose ormai vanno nettamente meglio».
Quando per le attività della sua fondazione deve incontrare famiglie che lottano perché qualcosa nella loro vita non è andata per il verso giusto, le capita mai di pensare che ha avuto anche lei dei momenti nella sua vita in cui le cose avrebbero potuto cambiare radicalmente?
«Sì, assolutamente. Nei giorni scorsi ho conosciuto una signora che soffre della malattia di Charcot, una neuropatia motorio-sensitiva ereditaria: non può muoversi, scrive grazie a un computer spostando lo sguardo. È ovvio che in momenti come quelli, uno valuta appieno tutta la propria fortuna. Del resto, se guardo al mio passato non sono stato mai né molto rigoroso né molto prudente.
Anzi, all' inizio - direi tra i miei 16 e i 22 anni - in qualche occasione ho fatto di tutto e di più oltre al tennis. Ricordo quando sono andato a sciare con Marc Rosset al ritorno da un Open in Australia nel 2000. Gli ho detto, ora salto quella cunetta e sono volato per dieci metri e mi sono ritrovato cento metri più in basso. Marc rideva, ma poi ha avuto molta paura. Sono caduto molte volte anche in bicicletta. Una volta a Écublens, un' altra a Basilea e ho temuto che un camion mi sarebbe passato sopra».
Lei ama circondarsi di familiari, amici, pubblico: qual è il segreto dell' animale sociale Federer?
«E pensare che all' inizio ero anche un po' timido. Diciamo che non ho mai rivolto facilmente la parola alla gente. Ero come mio padre, ho preso da lui questa forma di timidezza.
Certo, se mi confronto a Sampras che faceva davvero fatica a parlare con persone appena conosciute, io entro subito in confidenza. Se poi esagero, se mi rendo conto che non avrei dovuto farlo, allora mi dico: amen, ho commesso un errore. E, sinceramente, mi piace proprio conoscere gente nuova, perché tutti hanno una loro storia da raccontare, tutti hanno una loro battaglia da combattere».
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