Flavio Vanetti per il “Corriere della Sera”
Piero Gros non le manda mai a dire. Come non le mandava a dire ai rivali che affrontava nelle gare di sci in quegli anni '70 tanto complicati quanto affascinanti. «Ero un predestinato? Diciamo che avevo talento. Sono stato scomodo? Lo divento sempre, se mi attaccano». A noi Pierino è sempre piaciuto: mai banale, sincero, diretto.
Nella Valanga Azzurra non era il «casinaro» Erwin Stricker, ma era alternativo: capelli lunghi e spettinati, la sua sciata era uno spruzzo di rock. Poi è stato sindaco (ma non politico), telecronista (lo è ancora), capo dei volontari di Sestriere ai Giochi 2006. Ed è, più che mai, «figlio della montagna e della vocazione contadina».
Cominciamo dall'8 dicembre 1972?
«Val d'Isère, gigante della Coppa del Mondo. Mario Cotelli, d.t. dell'Italia, mi aveva spedito in Australia a fare gare e accumulare punti. Poi ero andato bene in Coppa Europa, quindi aveva deciso di farmi esordire sulla ribalta maggiore».
Un debutto con un pettorale impossibile, il 45. Eppure...
«Vinsi uscendo dalle buche. Pochi giorni dopo mi ripetei nello slalom di Madonna di Campiglio: avevo il 42. Due su due all'esordio: sono ancora il più giovane "deb" vittorioso nella Coppa del Mondo, trofeo che avrei conquistato nel 1974 a 19 anni e una manciata di mesi, pure questo un record».
Questi primati resteranno per sempre.
«Mi aspetto che siano superati: un limite è fatto per essere cancellato».
Lo sci si è pure evoluto.
«Ho visto come si allenava il Marcel Hirscher giovane: io non ce l'avrei fatta, all'inizio ero scarso di fisico. Però ero atleta: mi ero formato aiutando a tirare funi nel bosco e a levare il letame dalle stalle. Poi vincevo sbagliando di meno e tenendo duro. Però vado più forte oggi, a quasi 70 anni, che all'epoca».
Perché si è parlato più di Thoeni che di lei?
«Perché Gustavo come risultati è stato superiore, la sua luce ha illuminato pure me. Ma io e lui ci siamo sempre rispettati».
Mondiale 1974 a St. Moritz: Gros leader a metà gara, Thoeni ottavo a 1''42. Ma Gustavo azzeccò la rimonta e vinse, lei sbagliò. Quell'episodio non le è rimasto sul gozzo?
«È l'unica volta in cui ho pianto. Quell'anno ero più forte, non a caso vinsi la Coppa del Mondo. Furono scritte tante fesserie: avevo David Zwilling a un centesimo e dopo il bronzo in gigante volevo l'oro.
Ho rischiato, sono caduto: ho perso da favorito. Per me Gustavo non esisteva, ma comunque chapeau a lui. Piuttosto, una gran rimonta l'ho fatta pure io l'anno dopo ai Giochi. Stessa situazione: ottavo dopo la prima manche, poi oro. Però quella discesa non è mai stata mitizzata come quella di Thoeni».
Si sente trascurato?
«Non vorrei fare la vittima, i dimenticati sono altri: ad esempio i vari personaggi di un'Italia che non sa fare sistema. E nello sport abbiamo più degli altri, ma offriamo di meno a prezzi più cari. Nello sci club di Salice d'Ulzio, il mio paese, ho abolito le coppe, che non servono e costano, destinando i soldi alla formazione».
Sport, pragmatismo ed etica.
«Mi allenavo dietro casa, risalendo la collina con gli sci in spalla: duro, ma fattibile. Non avevo niente, i ragazzi oggi hanno tutto ma vanno salvati dalle comodità, dando loro una visione».
Quale, ad esempio?
«Non ne esiste una in assoluto. Io arrivai quando Thoeni trascinava: aggiunsi le parole, che lui usava poco. Miscelare la mia spigliatezza e la sua riservatezza: quella fu una visione».
Berchtesgaden, 7 gennaio 1974: Gros, Thoeni, Stricker, Schmalzl, Pietrogiovanna. Una cinquina creò la Valanga Azzurra.
«C'era l'austerity, c'era la crisi come oggi. Ma adesso la percepiamo di più, c'è chi stenta ad arrivare al 27 del mese. All'epoca vivevamo la nostra passione: famosi, acclamati, benestanti. Restituimmo tutto con i risultati: creammo un gruppo vincente di 10-12 atleti, diventammo un fenomeno sociale».
Perché questa definizione?
«Perché eravamo il modello per 5 milioni di praticanti. Le squadre, un tempo ospitate, oggi pagano per allenarsi: è tramontato il concetto che il campione fa pubblicità gratis. Lo sci vale il 3% del Pil, è uno scandalo come è trattato».
Thoeni e Gros come Beatles e Rolling Stones. Lei chi sceglie?
«I Beatles, ho tutti i dischi. Mi piacevano i Rolling Stones, ma non ho mai sbavato per il rock».
Alberto Tomba sarebbe stato da Valanga Azzurra?
«Avrebbe dovuto cambiare approccio. La Federazione l'ha tolto dal concetto di squadra. Magari sbaglio, ma Tomba non ha vissuto il clima che abbiamo avuto noi: sport vero, rispetto, unità facendo chiasso la sera, soprattutto con Stricker, un tipo da Zelig. Alberto si è isolato: credo che ai compagni non fregasse nulla di lui perché faceva quello che voleva».
Perché allora Tomba ha avuto successo?
«Perché oltre ai risultati è stato un personaggio: la gente vuole la stravaganza e non il Thoeni che parla poco».
Però Gustavo ha affiancato Fabio Fazio a Sanremo. Lei sarebbe andato al Festival?
«No, anche perché mai mi hanno invitato. Gustavo è stato pure ospite di Amanda Lear ed è entrato, in vestaglia, nel suo letto a parlare non ricordo più di che cosa: io non avrei accettato».
Il taciturno Thoeni s' è sbloccato.
«Mi ha sorpreso per certe cose che ha fatto, perfino al cinema. Pure a me chiesero di fare un film. Ma per rimediare la stroncatura che ebbero Gustavo in "Un centesimo di secondo" e anni dopo Alberto in "Alex l'ariete", ecco, anche no».
Spuntò Ingemar Stenmark e la Valanga finì.
«Ingo, un fuoriclasse. Un atleta che si è affermato dal nulla, senza tante balle. Ha vinto 86 gare, io 12; ma in Svezia sono ancora popolare grazie alla nostra rivalità. È stato un vantaggio correre contro Stenmark, ma se guardo a come siamo finiti come squadra, entro nella polemica».
Ovvero?
«Non fummo capaci di innovare, la base era ancora ottima perché lo stesso Stenmark ammise che ci copiava. Serviva solo un'evoluzione, invece cambiavamo allenatori e la situazione era la stessa».
Così lei si ribellò.
«Nel 1976 Cotelli chiamò Alfons Thoma: ci litigai dal primo giorno. Il suo modo di fare disgregò la Valanga. Me la presi anche con Cotelli, quando sul Corriere scrisse che a Innsbruck avevo vinto perché Stenmark era caduto».
Cotelli, appunto: senza di lui ci sarebbe stata la Valanga Azzurra?
«Non ci sarebbe stata senza Oreste Peccedi: aveva un debole per Thoeni, ma era un tecnico tanto bravo che glielo perdonavi».
Sull'epilogo della Valanga calò la tragedia di Leonardo David.
«Ho vissuto il suo dramma fin dalla caduta di Cortina, in azzurro eravamo compagni di stanza. Ci sono state troppe leggerezze, prima di tutto da lui e dalla famiglia: al processo l'ho detto. Leo ha sottovalutato la situazione e i mal di testa che aveva».
Piero Gros ha smesso a 28 anni: uno sbaglio?
«Nel 1982 arrivai sesto ai Mondiali senza skiman e allenatori ufficiali. E con sci rimediati. Mi sentivo scartato, proseguire così non aveva senso. Dissi al presidente Gattai che volevo 50 milioni di lire: avevo una famiglia, non ero più un allocco di 18 anni e i soldi servono a un atleta. Certe cose una federazione non può scordarle: la Fisi invece l'ha fatto».
Le hanno fatto soffrire pure la nomina a maestro di sci.
«In quanto oro olimpico lo sono diventato "ad honorem". Ma volevano farmi superare un esame, dopo un corso. Spiegai che non avevo nemmeno aperto il libro della teoria. Dovevo dimostrare qualcosa? Mi diedero ragione».
Sindaco di Salice d'Ulzio, dal 1985 al 1990, ma anche coordinatore dei volontari del villaggio di Sestriere a Torino 2006.
«Quattro anni prima mi telefonò Yukari, una giapponese di 18 anni: voleva fare la volontaria. Le risposi: "Sei la prima candidata: se non trovi sistemazione, dormi da me". Infatti la ospitai».
Perché ha mollato la politica?
«Perché un politico o scende a compromessi o lotta contro i mulini a vento: entrambe le cose non mi vanno».
Che cosa avrebbe fatto senza lo sci?
«Il carpentiere o il falegname. Sono contadino e montanaro, presiedo un consorzio agricolo e mi occupo di alpeggi e pascoli per mantenere la tradizione della transumanza. Non voglio che vadano in rovina i luoghi dove il nonno e papà si spezzavano la schiena a falciare l'erba».
Come vede il nostro sci oggi?
«Le ragazze sono forti, ma Goggia e Brignone devono smussare la rivalità. E Bassino dovrebbe piantarla di sprecare energie nella velocità. Dietro di loro non vedo molto. Però il problema del ricambio è più serio tra i maschi: si lega anche ai costi alti, lo sci sta diventando sport per ricchi».
Piero Gros, telecronista per la TSI.
«Dopo tre anni con la Rai ho avuto l'offerta degli svizzeri: sono ancora con loro dopo 26 anni. Mi piace e mi diverte».
Lei è della Val di Susa: è pro-Tav o no-Tav?
«Non so giudicare se l'alta velocità serva. Ma sotto il Gottardo gli svizzeri hanno creato un tunnel di 56 km e nessuno ha detto nulla. Certe polemiche mi ricordano il no al nucleare: non lo vogliamo, però già a Grenoble trovi le centrali e a noi fanno pagare l'energia il 40% in più».
È vero che a volte usa gli sci al contrario?
«Solo per cazzeggiare: io li metto così, vediamo se mi battete».
L'Intelligenza Artificiale avanza: un giorno un robot batterà un umano sugli sci? «Impossibile. Potrebbe accadere in discesa, ma non in gigante o nello slalom, dove conta la reazione istintiva. Qui l'uomo vincerà sempre».