Patrizio Bati per “La Stampa – Specchio” - Estratti
Negli ultimi vent'anni ogni volta che Carlo Mazzone passava di fronte alla sede dell'Ascoli Calcio, Corso Vittorio Emanuele 21, toccava la targa di travertino della società affissa sul muro del palazzo. Era il suo modo per mostrare affetto e riconoscenza verso la squadra con cui - grazie a una geniale intuizione del Presidente Costantino Rozzi - aveva esordito, nel 1968, come allenatore in Serie C.
Affetto e riconoscenza anche verso la città che l'aveva amorevolmente accolto e che lui, romano, aveva scelto di rendere sua dimora stabile dove far crescere i figli e ritirarsi a fine carriera: l'anno scorso il Consiglio Comunale di Ascoli Piceno aveva perfino deliberato - all'unanimità - il conferimento della cittadinanza onoraria. Cerimonia. Emozione. Sindaco. Pergamena. Applausi.
Lacrime. Palmo di mano su targa di travertino. Era un gesto che faceva sempre, anche quando la sua andatura era diventata più lenta, ormai solo lontano ricordo della liberatoria corsa dalla panchina del Brescia (di cui, anche, era stato allenatore) alla curva dell'Atalanta, dopo il 3 a 3 di Baggio a siglare una insperata rimonta.
A un'altra corsa di Carlo Mazzone ho, però, assistito personalmente. Una corsa di cui solo io, alcuni miei amici e, forse, qualche raro automobilista di passaggio siamo stati testimoni.
Anni Novanta, Carletto allenatore della Roma. La squadra, prima delle partite casalinghe, alloggia sempre all'Hotel Cicerone (quartiere Prati), a pochi minuti dallo stadio. Passando davanti all'albergo una di quelle notti in cui, da ragazzini, vagavamo per la città senza obiettivi (e ormai quasi rassegnati a tornarcene a casa), lo riconosciamo - sigaretta in bocca - fuori dalla porta girevole dell'Hotel Cicerone.
Siamo in otto: cinque in una Lancia Delta e tre in una Opel Corsa. Galvanizzati dall'occasione di interagire con il Mister ci fermiamo cento metri più avanti e, affiancate le auto, cominciamo a elaborare un piano. Tra di noi: romanisti, laziali e non interessati al calcio. Marco, laziale, terzo anno di sociologia, dice che sarebbe un'ottima occasione per verificare - in condizioni sfavorevoli e lontano dalle telecamere - il vero attaccamento di Mazzone alla maglia giallorossa. I laziali ridacchiano. I romanisti accettano l'esperimento.
I disinteressati al calcio diventano interessati alla sfida. Bisogna agire in fretta, prima della fine della sua pausa sigaretta.
La Opel Corsa torna verso l'hotel, dove Carlo si sta godendo gli ultimi tiri in compagnia di un quarantenne con la tuta della squadra, probabile membro dello staff tecnico.
Io e gli altri due occupanti scendiamo dall'auto, proclamandoci accaniti romanisti.
Pacche sulle spalle. Complimenti. Sorrisi. Raccomandazioni. In quel momento passa la seconda macchina, con dentro i nostri complici. Affacciati ai finestrini urlano forza Lazio suscitando l'ira nostra e di Mazzone.
L'uomo in tuta, conoscendo l'irruenza del Mister, gli propone di rientrare in albergo per ragionare insieme sul piano di recupero di due infortunati. Mazzone risponde sbrigativo che preferisce stare ancora qualche minuto fuori a chiacchierare con i suoi tifosi. Altre pacche sulle spalle. Altri complimenti. Altri sorrisi. Altre raccomandazioni. All'improvviso, ancora quella Lancia Delta.
Stavolta, però, i nostri amici insultano in modo pesante la Roma e i romanisti. Un paio di noi provano ad inseguirli ma la luce dei fari si fa sempre più piccola, fino a sparire nel buio.
Sbollita la rabbia, Carlo sta per congedarsi. Cerchiamo di trattenerlo ancora, con qualche domanda-esca, sapendo che i primi due passaggi sono stati preparatori e che al terzo, ormai imminente, scatterà la trappola. Quaranta secondi, trenta, venti: il profilo della Lancia di nuovo all'orizzonte. Nessuna parola, questa volta. Nessun insulto. Nessuna provocazione seguita da fuga.
Accostano. Cinte alla mano, scendono tutti e cinque. Si dirigono compatti verso una stradina secondaria da dove, ricominciando ad insultarci, ci invitano allo scontro. Noi tre "romanisti" partiamo alla carica. Fino a che punto il Mister sarà disposto a difendere l'onore della squadra di cui è attualmente allenatore e di cui - da sempre - si dichiara accanito tifoso?
Una frazione di secondo dopo, scatta anche lui. Sfuggendo alla presa dell'uomo in tuta che - senza riuscirci - cerca di trattenerlo. Scatta, non si sa se con l'intento di sedare la rissa o di prendervi parte. Comunque schierato in prima fila. L'arco della pancia che anticipa la giacca, i mocassini che pattinano sul marciapiede. In una corsa che preconizza quella di quindici anni dopo verso la curva atalantina. Ci prepariamo allo scontro, un gruppo di fronte all'altro.
CARLETTO MAZZONE FRANCESCO TOTTI
Un calcio da parte dei presunti nemici vibra, a vuoto, per intimorirci. Nessuno di noi, Mister compreso, indietreggia di un passo! Dalle finestre ci urlano di aver chiamato i carabinieri, ottimo pretesto per dileguarci a esperimento già concluso e a rissa non ancora iniziata. Mazzone ha confermato pure ai laziali che, per difendere l'onore della Roma, è pronto ad affrontare anche provocatori di trent'anni più giovani
carlo mazzone CARLETTO MAZZONE AMEDEO CARBONI carlo mazzone
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