Antonio Di Francesco per “la Verità”
Sipario. La terza Coppa del mondo alzata al cielo dall'Argentina è l'ultima istantanea del mondiale di calcio più insolito e discusso della storia. «Non è stato il torneo più bello di sempre, come sostiene il presidente della Fifa Infantino, ma la finale più emozionante forse sì», commenta con La Verità Sandro Piccinini, per tanti anni la voce del calcio di Mediaset e oggi telecronista per Amazon prime video.
Piccinini, finalmente Messi?
«La vittoria in Qatar toglie argomenti a quelli che finora non lo hanno considerato un super campione perché non poteva vantare un Mondiale nel suo personale palmares. È una grande soddisfazione per lui, la merita per quello che ci ha regalato negli ultimi 15 anni. Del resto, la sorte gli doveva qualcosa dopo la sconfitta con la Germania nel 2014. Rimarrà il suo mondiale: ci ha fatto vedere cose straordinarie, vincere dopo aver provato la paura di perdere è un'emozione ancora più forte».
Si chiude la rincorsa a Maradona?
«Credo che questi paragoni siano impossibili, non c'è la controprova.
Non si possono fare confronti tra i centometristi, le cui prestazioni si valutano al millesimo di secondo, figuriamoci tra due campioni straordinari che hanno trasformato il calcio in arte, in poesia. E le poesie non si possono misurare, si possono solo apprezzare».
Ci sarà un suo preferito.
«Ho seguito tutta la carriera di Messi da telecronista. Nella finale di Champions League del 2009, a Roma, l'ho definito "il Dio del calcio". Pur essendo molto legato a Maradona, dico che siamo sullo stesso livello. Non ci sono i presupposti per azzardare una classifica».
L'altro grande numero 10 in campo, Kylian Mbappé, ha tenuto in piedi una nazionale intera. Da solo, a 23 anni.
«I mondiali di calcio si vincono con la squadra e per 80 minuti la Francia ha sbagliato troppo, a cominciare dall'approccio. Tuttavia, è fuori discussione che Mbappé equivalga a Messi, come peso specifico. Anche lui è un giocatore che fa la differenza, è il presente e il futuro fuoriclasse del calcio mondiale. Ha sfiorato il suo secondo mondiale a 23 anni. Parliamo di un giocatore unico, che non è scandaloso avvicinare a Ronaldo il Fenomeno. Tutti i paragoni che sono stati fatti in passato con Ronaldo erano piuttosto blasfemi, Mbappé merita di essere avvicinato a quel tipo di calciatore perché è pazzesco».
Anche in finale, i campioni hanno fatto la differenza. Rispetto ai mondiali del passato, in cui a brillare era il valore delle squadre, in Qatar le individualità hanno pesato di più?
«Ci sono state squadre che hanno segnato un'era, come la famosa Olanda. In Qatar non si sono viste cose particolari perché non c'è stato il tempo di preparare la manifestazione: le squadre sono andate in ritiro una settimana prima, pretendere di vedere un gioco di squadra in un torneo in cui spesso prevale il tatticismo era difficile. Si sono viste partite spettacolari per il pathos e per i risultati in bilico, ma nessuna grande novità né idee di gioco eccezionali. In un contesto del genere, il colpo individuale fa la differenza».
Deluso dal Brasile?
«Per me il Brasile era la squadra più forte del mondiale, eppure è andata fuori. Sono deluso dall'ingenuità, addebitabile all'allenatore, con cui hanno gestito i tempi supplementari nel quarto di finale perso con la Croazia. Non sono riusciti a conservare un lampo di classe di Neymar, a proposito di individualità».
Quale squadra l'ha sorpresa di più?
«Il Marocco, senza dubbio».
Mai una squadra africana si era spinta tanto in là in un torneo.
«Pur avendo giocatori che tutti conosciamo, perché impegnati nei campionati europei, onestamente non mi aspettavo l'impatto che hanno avuto. Quello del Marocco è l'unico caso in cui ho visto la mano di un allenatore: ha preso consapevolezza dei limiti della propria squadra e ha saputo giocare sulle caratteristiche degli avversari».
Che prospettive ha il movimento africano?
«Dopo la prima partita che il Camerun vinse ai mondiali del '90, si è detto che l'Africa avrebbe dominato il mondo del calcio. E invece non è successo nulla. Sarei cauto a trarre delle conclusioni dai risultati cui abbiamo assistito in Qatar. La squadra ha mostrato delle cose molto interessanti, con tanti giocatori che si sono messi in vetrina. Tuttavia, credo che il movimento europeo, quantomeno dal punto di vista tattico, sia ancora il migliore».
Tra quelle viste al mondiale, quale nazionale ha il futuro più promettente?
«L'Inghilterra può contare su molti giovani di assoluto valore, che in Qatar si sono consacrati. In genere, alle manifestazioni internazionali gli inglesi arrivano bolliti; questa volta, invece, sono arrivati più freschi e si è visto: con la Francia sono stati sfortunati, la partita si è decisa sugli episodi».
Veniamo ai nodi meno sportivi della manifestazione: questo mondiale è stato accompagnato da sospetti e polemiche fin dal giorno dell'assegnazione, nel 2010.
«È stato un azzardo».
A volte gli azzardi possono anche riuscire. In questo caso, assecondare i desideri degli emiri ha avuto senso?
«Uno degli obiettivi della Fifa è lo sviluppo del calcio nelle aree dove è meno presente. È stato così nel 1994, quando si è deciso di assegnare l'organizzazione dei Mondiali agli Stati Uniti. Quella è stata una grandissima operazione, non a caso il calcio in America è esploso negli ultimi 20 anni. Che sviluppo potrà esserci in Qatar? È chiaro che è stata semplicemente un'operazione economica e i mondiali non possono diventare un'asta. Si è trattato di un gigantesco affare per gli emiri, ma solo per il turismo e per il mercato immobiliare del Qatar. Non ci sarà alcuna eredità sul piano sportivo».
Lo sport-washing dorato, cioè il tentativo di ripulirsi la coscienza con i mondiali più costosi di sempre, è fallito?
«Lo sport non può cambiare la situazione di un Paese in 30 trenta giorni.Un regime che non riconosce i diritti umani resterà tale anche domani, quando i riflettori della manifestazione calcistica si spegneranno. Dei paletti sono fondamentali, ma non è compito dello sport esportare la democrazia in un Paese illiberale».
valentino tocco sandro piccinini
Per il capo della Fifa, Gianni Infantino, la coppa del mondo in Qatar è stata «un successo incredibile su tutti i fronti», con buona pace delle migliaia di operai che in questi anni hanno perso la vita per costruire gli stadi.
«Le scarse condizioni di sicurezza in cui sono stati lasciati i lavoratori in Qatar sono certamente un problema, ma attenzione a fare le classifiche dei buoni e dei cattivi: in Italia abbiamo circa 1.000 morti sul lavoro all'anno, degli operai morti in Russia nel 2018 non si è parlato così diffusamente e di quelli che hanno perso la vita per mettere in piedi le Olimpiadi di Pechino del 2008 sappiamo poco o nulla. È un terreno molto scivoloso, sul quale tuttavia trovo molta ipocrisia».
Per quale motivo?
«Credo che il tema dei lavoratori sia una sorta di specchietto per le allodole, per chiudere gli occhi di fronte al vero dramma in Qatar: la negazione dei diritti civili elementari delle donne. Senza l'approvazione di un uomo - padre, fratello o marito che sia - non possono fare praticamente nulla. È il "sistema di tutela maschile" che rende il Qatar un Paese retrogrado e incivile. È questo che ci riporta indietro di secoli. Nei palchi reali che sono stati allestiti per i mondiali, non s' è vista una donna neanche per sbaglio. Di questo, purtroppo, si è parlato poco o nulla».
«Allo stadio si viene per rilassarsi, senza dover pensare ad altro», ha spiegato Infantino. Può il capo di un'istituzione mondiale come la Fifa liquidare così una questione tanto complessa?
«Organizzazioni come la Fifa, o il Cio per le Olimpiadi, dovrebbero stabilire un criterio in futuro: possiamo esportare queste manifestazioni ovunque in cambio di soldi o ci sono dei livelli minimi al di sotto dei quali non è possibile andare? È chiaro che non possiamo pensare di giocare in paradiso, ma oggi sarebbe difficile anche solo immaginare di concedere certe manifestazioni a paesi come Iran o Russia».
Una posizione meno accomodante sarebbe quantomeno auspicabile da parte della Fifa
«In certe "zone grigie" si deve mostrare più coraggio, certamente: si può pensare, per esempio, di assegnare le manifestazioni sportive a chi dimostri di voler cambiare certe cose. Questi eventi servono per denunciare quel che non va, visto l'enorme seguito che hanno. In Qatar, la Fifa si è lasciata sfuggire un'occasione».
C'è stata scarsa fermezza anche da parte delle singole federazioni?
«Nel 1980, gli Stati Uniti si sono presi la responsabilità di non andare alle Olimpiadi di Mosca; il Bayern Monaco non volle andare in Argentina, per la coppa Intercontinentale del 1974, in protesta contro il regime militare. Che senso ha prendere parte alle manifestazioni e limitarsi a piccole proteste, come quelle che abbiamo visto fare a qualche nazionale europea?».