Giulia Zonca per “la Stampa”
Gli occhi di Arrigo Sacchi diventano lucidi in un attimo.
Parla di Sinisa Mihajlovic e non nel modo in cui è più semplice immaginarlo.
Parla dell'uomo che ha conosciuto sul campo, «una persona umile» e non ha paura a mischiarlo al calcio di una finale mondiale perché quello è il loro mondo e lo resta.
Chi era per lei Mihajlovic?
«Un grande giocatore, un signore generoso, l'anno scorso gli ho detto "ricorda che tu hai una squadra, ma hai anche e soprattutto una famiglia". Eravamo al telefono, quando ho riattaccato, ho pensato: questa malattia non ti fa star male, ti porta via. Ci sono passato, un mio caro amico, un fratello, è morto dello stesso male quattro anni fa e si comportava proprio come Sinisa, pensava che continuare a fare finta di nulla lo avrebbe tenuto sulla terra più a lungo. Non è stato così».
Crede che Mihajlovic fosse consapevole di avere poco tempo?
«Per niente. Lo chiamavo e gli ripetevo "non devi prendere neanche un colpo d'aria".
Lui amava troppo il calcio per immaginarsi senza e poi si sentiva un uomo forte. Indistruttibile».
È diventato l'icona del combattente. Forse troppo.
«Non è il modo in cui lo definirei. Era una brava persona e un grande giocatore, più di quanto gli sia stato riconosciuto. Aveva un piede... al mio Milan fece gol su punizione: porta nostra - sposta i bicchieri per disegnarla sul tavolo - , linea di fondo, tre metri.
Lui tira in porta, gol. E che vuoi dire? Che vuoi insegnare? Era modesto, quando ero responsabile delle nazionali giovanili, dal 2010 al 2014, veniva spesso a Coverciano a studiare il mio lavoro».
Era sacchiano?
«Era umile e voleva imparare. È stato tre giorni a vedere l'Empoli di Sarri quando lui allenava già in serie A. Non era presuntuoso».
Che allenatore che era?
«Più bravo come giocatore, ma un tecnico coraggioso e il suo calcio mi piaceva. La vedeva giusta, seguiva un pensiero controcorrente in un Paese che ha paura, lui non ne aveva. Il dramma dell'Italia è che non c'è più audacia e si è persa l'innovazione».
Non sta parlando di calcio.
«Parlo di tutto. Il calcio è lo specchio della cultura e della storia di una nazione, noi ci difendiamo perché dopo i romani le abbiamo sempre prese».
Vista come specchio sociale Francia-Argentina che sfida è?
«Ho paura sia tattica e quindi non divertente, a meno che qualcuno segni subito. I tattici mi annoiano, mi interessano gli strateghi e in questo Mondiale ne ho visti pochi.
Le piccole hanno osato e si sono avvicinate al meglio, le grandi hanno conservato e usato l'estro dei singoli. Certe, come l'Olanda, hanno tradito, giocavano un calcio italiano. Senza spettacolo non c'è vittoria, il successo si merita, non si conquista».
Messi contro Mbappé non è spettacolo?
«No. Il calcio non è uno sport individuale, è stato inventato come offensivo e di squadra e noi lo abbiamo trasformato in difensivo e basato sui singoli. Se fai così metti subito il bilancio in rosso perché devi andare a prendere i più bravi e quelli vogliono tanti soldi. Annichiliamo la creatività per cercare nomi».
Per questo l'Italia non è ai Mondiali, zero creatività e rari nomi?
«Non vogliamo essere strateghi, serve un obiettivo e un mezzo per arrivarci, intendo un'idea precisa del cosa e del come. Io la avevo chiara. Nel 1994 stavamo perdendo 1-0 contro la Nigeria, a tre minuti dalla fine, ai Mondiali Usa, e avevamo Zola espulso, Mussi stirato e Baggio con il ginocchio dolorante, senza cambi: 8 contro 11. Quando Baresi e Carmignani, il mio vice, dalla panchina urlano "tira la palla su" io mi sono infuriato. Da lì hanno parlato del "culo di Sacchi", ma io non credo nella fortuna, non esiste, ci sono opportunità chiamate dal talento. Oggi non sarei fortunato perché non sono determinato, nel 1994 preferivo perdere che tradire un'idea. Le mie squadre emozionavano, per questo la gente ancora chiede autografi».
Il Mondiale del Qatar non ha emozionato?
«Con le piccole, con la sorpresa Marocco che se la gioca con la Francia e tiene il dominio del campo nonostante dall'altra parte ci siano tutte le stelle. Non va bene, così perdiamo interesse. Che la Juve lasci l'iniziativa alla Salernitana con una rosa che costa meno di un giocatore bianconero non è tollerabile. Ero in bici a Milano Marittima, mi sono fermato a vedere quella partita davanti a un bar e poi mi sono pure rimesso a pedalare. Incredulo».
Ha visto anche lei Messi maradoniano?
«Lasciamo stare Maradona. Messi è un grande campione, una delle sue prime partite notevoli l'ha fatta contro il mio Real Madrid, lo conosco bene. Straordinario, mai un gesto fuori posto, ma difetta di personalità».
Qui si è preso l'Argentina sulle spalle.
«La prima partita, con l'Arabia Saudita, la hanno persa in sua assenza: lo vedevi soffrire. Maradona così non se la giocava mai. Diego mi voleva al Napoli, "con me e Careca si parte da 1-0 tutte le volte". Era vero, però ho risposto "E se ti infortuni? ". Nel mio primo Milan si è fatto male Van Basten, su 30 partite ne ha fatte 3 intere, abbiamo vinto il campionato».
Allora, ha davvero detto o me o Van Basten?
«Mai» .
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