Aldo Cazzullo per corriere.it
Quando Messi danza sulla fascia destra, porta a spasso il povero Gvardiol terrorizzato di procurare un altro rigore, e mette al centro la palla che chiunque di noi — è toccato a Alvarez — avrebbe trasformato nel 3-0, allora si è cominciato a credere che questo possa essere davvero il Mondiale di Messi. Di sicuro, neanche da giovane vi era mai arrivato così in salute. E purtroppo non è il Mondiale di un altro grande, che pure l’avrebbe meritato.
Pagelle Argentina-Croazia: Messi semina bellezza (8,5), Alvarez spietato, Brozovic lento
Due capitani. Due numeri 10. Entrambi sopra i 35 anni, e sotto il metro e 70. Uno cresciuto a Zara sotto le bombe: cinque Champions, un Pallone d’oro. L’altro nato a Rosario in povertà: quattro Champions, sette Palloni d’oro. Due duri. Campetti sterrati, umiliazioni dai più grossi. Falsi buoni: lo slavo e il latino.
Ieri umili nel pressing, rabbiosi nel protestare con l’arbitro. Ma se Luka Modric in Qatar ha mostrato il suo volto umano, ad esempio consolando i compagni madridisti Casemiro, Vinicius, Rodrygo dopo aver eliminato il Brasile ai rigori, Leo Messi ha svelato la sua «cara sucia», la sua faccia sporca, polemica, provocatoria. «Que miras bobo?», cosa guardi cretino, è già la frase culto della Coppa. Messi ce l’aveva con l’olandese Weghorst; a Van Gaal ha detto anche di peggio; ma il suo vero nemico è — o era — se stesso. La propria ansia. Quel timore dell’incompiutezza che è proprio dei geni.
La semifinale era per entrambi l’ultimo appello. Messi aveva perso la finale del 2014, Modric quella del 2018. Questo Mondiale ha già visto la morte calcistica di Cristiano Ronaldo e Suarez&Cavani, ha inferto a Lukaku e a Kane ferite che faranno male a lungo. Ieri sera toccava ai numeri 10: uno avanti, l’altro fuori. Modric è molto amato dal pubblico qatarino; anche se il boato più clamoroso si leva in tribuna all’ingresso di una sua compatriota, Ivana Knoll («Non chiamatemi ex Miss. Non si è mai ex Miss, come non si è mai ex campioni. E comunque il mio preferito è Modric»). Nel frattempo è arrivato in Qatar un altro numero 10, l’unico che i romanisti riconoscano come tale: Totti. Francesco, chi vince il Mondiale? «Il Brasile!» (ovviamente, sta scherzando).
Modric è partito meglio, anche con un tunnel clamoroso. Ma dopo 34 minuti ha fatto una cosa che non fa quasi mai: ha perso palla. E dal contropiede argentino è venuto il penalty che Messi ha trasformato, superando il portiere pararigori Livakovic, quello che nei meme viene raffigurato con otto braccia come la dea Kalì. Le braccia Messi le ha levate al cielo, come sempre per salutare nonna Celia («misi la maglietta sulla bara, la sua morte fu un dolore terribile»).
Modric e Messi sono certo due numeri 10 diversi. Leo ha un cambio di passo che l’altro non ha: corre meno rispetto a quando nel 2008 decise la finale olimpica di Pechino, ma la velocità con cui mulina le sue gambette resta impressionante; come quando alla fine del primo tempo ha attirato su di sé mezza difesa croata, aprendo — di destro — dall’altra parte del campo, alla cieca, come chi vede senza bisogno di guardare. Modric è più uomo-squadra, ha questo legame fortissimo con il resto del gruppo, con Brozovic-Kovacic-Perisic compone un centrocampo tecnico quanto arcigno, ci fosse davanti un Suker o un Boksic sarebbe potuta andare in altro modo.
I tifosi croati sono numerosi ma sovrastati dagli argentini. È inevitabile, e nello stesso tempo impressionante, come per loro Maradona sia vivo. Ovunque il suo volto, il suo nome. È l’ombra di un altro numero 10 che grava su Messi, di cui Diego fu pure c.t. in Sudafrica (il Maradona allenatore è un mito nel mito). Esordì con un discorso sobrio: «Avete di fronte uno che è tornato dall’inferno». Portò la squadra a giocare ai 3 mila metri di La Paz direttamente dal livello del mare: 6-1 per la Bolivia. Per un’amichevole con la Giamaica arrivò a convocare cinque infortunati. In due anni chiamò un centinaio di calciatori. Allenamenti sempre il pomeriggio e la sera: la mattina dormiva. Invitò i giornalisti critici a praticargli un rapporto orale: «Que la chupen!». Poi mise sotto un cameraman (con la macchina). Totti è qui con il figlio Cristian, di cui dicono sia già fortissimo a centrocampo. «Confermo, è fortissimo, ma a bocce» sorride Francesco (ovviamente, sta scherzando: orgoglioso come ogni papà, se lo mangia con gli occhi).
ivana knoll mangia sushi per festeggiare la vittoria della croazia sul giappone 2
Nel secondo tempo Messi dà i ritmi, per evitare rimonte come quella sfiorata dall’Australia e riuscita all’Olanda. Ora rallenta, ora strappa. Lascia pure che entri Dybala, con cui non si trova benissimo: anche la Joya è un numero 10; la sua sfortuna è stata nascere al tempo di Messi. Modric viene malinconicamente sostituito. Il c.t. Scaloni abbraccia Leo e si commuove. Ora l’Argentina tifa Marocco e si prepara alla Francia. La notte è fresca, la Miss per sempre Ivana Knoll mette finalmente un pullover e torna a casa. Totti, sul serio, chi vince il Mondiale? «La squadra più forte è la Francia. Ma il bello del calcio è che non sempre vince il più forte». E stavolta non sta scherzando.
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