Estratto dell'articolo di Maurizio Crosetti per “La Repubblica”
Nella conca di cemento bianco dell'Ariake Urban Sport Park, rovente città in miniatura dove il paesaggio è composto solo di ostacoli urbani, gli olimpionici ragazzini volano come dentro un cartone animato. Zompano su corrimano e ringhiere, piroettano su e giù dalle scalinate, saltano muretti, scivolano sulle balaustre come Mary Poppins, che neppure i loro genitori hanno peraltro mai sentito nominare.
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Le bimbe da podio si chiamano Momiji Nishiya, Rayssa Leal detta Fatina e Funa Nakayama, giapponesi la prima e la terza, brasiliana la seconda, mentre il figlio del tassista è Yuto Horigome, prima storica medaglia dello skateboard di De Coubertin (l'importante non è vincere ma pattinare).
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Surfano sulle loro tavole nella tazza che simula una piscina vuota con le sponde, specialità "street" (ostacoli da saltare) oppure "park" (figure acrobatiche), in estrema sintesi e ci perdonino i puristi.
Tutti figli di un vento che in America soffiava già alla fine dei Settanta, anche se diventò tornado solo ai tempi di Ritorno al futuro (1985), quando il protagonista viaggia fino al 1955 e "inventa", appunto, lo skateboard, per la gioia dei ragazzini di quel tempo ritrovato. In Italia lo abbiamo conosciuto dopo un servizio televisivo del programma Odeon (1977), quando la tavola era la Saturnus arancione e costava 70 mila lire.
Oggi da noi esistono 900 società con 35 mila tesserati alla Fisr, la Federazione Italiana Sport Rotellistici, anche se i praticanti si aggirano sui 3 milioni. Quasi tutti fuorilegge, visto che lo skate è vietato in strada e sui marciapiede. (...)