Estratto dell'articolo di Maurizio Crosetti per repubblica.it
Dicono sia stato il difensore più duro e crudele della storia del calcio italiano, uno stopper assetato di sangue. Pasquale Bruno, ‘O animale, come lo battezzò un suo compagno di squadra alla Juventus. Ma è stato anche tra i più forti marcatori in un’epoca fenomenale per il nostro football, gli anni Novanta. Oggi è un sessantunenne “malato” di mountain bike, ed è una persona mitissima.
Pasquale, ma lei era davvero così tremendo?
“Dottor Jekyll e Mister Hyde. Fuori dal campo ero un tipo tranquillo, ma già nel tunnel degli spogliatoi mi partiva l’embolo. Mi sarebbe servito uno psichiatra, ero un caso grave”.
Ma perché?
“La sconfitta, un dolore insopportabile. A volte piangevo sotto la doccia. Due anni fa, mia figlia Sandra mi ha confessato che da piccolina, diciamo verso i sei/sette anni, dal passo che avevo entrando in casa lei capiva se avessi vinto o perso. Non ci potevo credere. Pensate come ero messo! Peggio di Shining”.
Cosa ricorda di quei momenti?
Non avevo amici tra i calciatori, ero troppo orgoglioso per chiedere la maglia a un Maradona o a un Van Basten. E poi, visto come li menavo, non me l’avrebbero neanche data. Ero come accecato”.
Cento ammonizioni, cinquanta giornate di squalifica: con lei, gli arbitri non potevano sbagliarsi.
“I cartellini rossi o gialli erano automatici, ma non sempre meritati. Diciamo che con Pasquale Bruno si andava sul sicuro. Però, io non ero solo questo. Ero proprio forte. Mai sbagliato una partita importante o una finale. Annullai lo spagnolo Butragueño, stella del Real Madrid, marcandolo a uomo a tutto campo: vorrei vederne uno di adesso, giocare così”.
Lei odiava Roberto Baggio?
“È stato il più grande giocatore italiano di tutti i tempi però mi pativa, mi insultava. E più lui parlava, più io lo menavo. Ma che gol mi fece in un derby! Con una finta mi mandò a rotolare in curva Maratona. Fenomeno”.
Un’altra volta, sempre in un derby contro la Juve, lei si prese otto giornate di squalifica: come andò?
“Il bianconero Casiraghi, fortissimo, l’avversario più cattivo che io abbia mai affrontato, simulò di avere subìto un fallo da parte mia. Ed eravamo già ammoniti tutti e due dopo neanche un quarto d’ora. L’arbitro Ceccarini, guarda caso quello di Iuliano e Ronaldo, estrasse un altro giallo e mi cacciò. Mi prese una crisi isterica, stavo vivendo una clamorosa ingiustizia, i compagni provarono a tenermi, Lentini mi stringeva, mi faceva male e io mi infuriavo ancora di più”.
Come finì?
“Otto turni di stop. Il martedì, Moggi venne negli spogliatoi e annunciò: ‘Pasquale, sono quaranta milioni di multa’, ovviamente in lire. Risposi: ‘Direttore, se devo pagare quaranta milioni, smetto di giocare’. E Moggi: ‘Allora puoi pure smettere’. Me li tolsero dallo stipendio fino all’ultimo centesimo”.
Cosa voleva dire, essere un difensore in quegli anni?
“Dover affrontare ogni settimana Maradona, Van Basten, Roberto Baggio, Vialli, Careca, Batistuta. Se non eri un fenomeno non giocavi in serie A, e anch’io modestamente lo ero. Rispetto ai marcatori di oggi, Pasquale Bruno era un fuoriclasse. Tra i miei colleghi attuali, neppure uno sarebbe titolare in quel Milan, in quella Juve, in quel Torino. Oggi Gullit segnerebbe 150 gol”.
Il più grande?
“Beh, Maradona. Lo menavi e non cadeva mai, con quel baricentro basso che aveva. Se facevi spalla a spalla con lui, che era tostissimo, finivi a terra tu. Non lo abbatteva nemmeno Vierchowod, cioè il più forte marcatore di quell’epoca”.
Una volta Van Basten si mise a ballare sopra di lei, a terra. Perché?
“Avevo appena fatto autogol, e non mi rendevo conto della sua presa in giro. Quando mi rialzai e tornai in me, dissi all’olandese: ‘Resta in campo, ti prego resta in campo’. Purtroppo, e per fortuna per lui, Capello lo sostituì”.
Lei se la prese anche con Ancelotti.
“Un gigante, Carletto, forte forte, mica un fighetta. Gli dicevo: ‘Oggi ti faccio finire la carriera’. E lui, sempre a battersi senza scappare. Un altro che non scappava mai era Vialli. Lo menavo di brutto e Luca, imperterrito, mi guardava e mi diceva: ‘Pasquale, stai tranquillo’. Così mi disarmava”.
L’ avversario più indisponente?
“Forse Paolo Di Canio, grande giocatore e gran cacacazzi. Appena lo sfioravi, si buttava a terra e piagnucolava”.
(…)
Pasquale, ci dica: che fine ha fatto ‘O animale?
“Un giorno il mio compagno Roberto Tricella, dopo un allenamento alla Juve, si rivolse ai giornalisti: ‘Adesso accompagno a casa Pasquale Bruno detto ‘O animale’. Io sorrisi ma non capivo. Poi, feci delle ricerche e scoprii che Tricella si riferiva a Pasquale Barra, un celebre sicario della camorra che era soprannominato così. La presi male: non potevo essere chiamato come un assassino. Poi, si sa come sono i giornalisti, e da quel momento fui ‘O animale per sempre. Dovetti sopportarlo”.
È vero che Dino Zoff è stato il suo maestro?
“Mi convocò nell’Olimpica quand’ero al Como. Mi ripeteva: ‘Pasquale, tu potresti giocare benissimo a calcio ma ti piace menare la gente. Io non capisco, ma fa’ come vuoi’”.
Come spiegherebbe il vostro calcio a un ragazzo di oggi?
“Gli direi che dopo una sconfitta io ero ferito, soffrivo, piangevo e mi disperavo, mentre i giocatori di adesso perdono una finale e vanno in discoteca o al ristorante. A un ragazzo di oggi, direi: non sapete cosa vi siete persi”.
PASQUALE BRUNO pasquale bruno, l'animale pasquale bruno pasquale bruno 4 PASQUALE BRUNO