Giulia Zonca per “la Stampa”
Non c'è nessun grado di separazione tra Francia e Marocco: troppe battute, pacche sulle spalle, anni di elementari insieme. Fino a una decina di anni fa sarebbe stato difficile capire chi stava da quale parte e qualcuno non lo aveva ancora proprio deciso. Anche oggi che le maglie sono assegnate, la semifinale inedita è incredibilmente familiare. E si gioca pure fuori dallo stadio Al Bayt, lontano dal Qatar, in un cortile nel retro di casa, nell'intervallo di scuola, sulla terra del club amatoriale. Mescolati.
Ci sono due foto che raccontano legami profondi e sembrano uscite più dall'album dei ricordi che dagli archivi. In una, un giovane Giroud, attaccante da 53 gol per i Bleus, senza barba e senza cera in testa, è in campo con l'attuale tecnico del Marocco Walid Regragui, il primo allenatore arabo-africano ad arrivare così tanto in alto in un Mondiale. Siamo nel 2008, è estate e i due sono in ritiro a Vittel, con il Grenoble, però in quella stagione non giocheranno insieme, non lo faranno mai e continueranno a incrociarsi: la partita di dopodomani è l'ennesimo appuntamento e pure un esempio dell'intricatissima tela di relazioni che c'è tra le due pretendenti alla finale.
La seconda foto è ancora più definita perché è contemporanea. Hakimi e Mbappé, stelle delle rispettive nazionali, compagni nel Psg, amici, di quelli che fanno le vacanze insieme (a Siviglia l'ultima) posano insieme davanti a un poster del Maghreb. In questi giorni si sono riscambiati la cartolina via social, entrambi con una serie di emoji e la corona come segno di rispetto e appartenenza a una élite di campioni.
Diversi giocatori della rosa dei Leoni di Atlas sono cresciuti nelle giovanili di Francia, almeno due avrebbero potuto scegliere i loro attuali avversari, due sono proprio nati lì, oltre al tecnico. I numeri raccontano meglio se l'immagine si allarga e dal ritiro di un Marocco che non vuole festeggiare perché sente di avere altra strada, si passa a un Paese incredulo che non riesce nemmeno più ad andare a dormire, a un'Europa percorsa dalla stessa passione.
Il Marocco conta poco meno di 37 milioni di abitanti e 5 milioni di residenti all'estero: la Francia è la meta di adozione (1, 2 milioni) e soprattutto è una partner. O almeno lo è stata per decenni.
Mentre le relazioni con l'Algeria si sono fatte spesso tese e i rapporti tra origini e casa per molti nordafricani restano complessi, i marocchini hanno sempre trovato il modo di fare avanti e indietro e coltivare connessioni senza dover dimostrare di aver aderito a un'altra cultura.
Ci sono 45 mila persone con passaporto marocchino nelle università di Francia e 46. 500 aule con sistemi di insegnamento francese negli istituti superiori del Marocco. È una delle comunità più inserite ai piani alti della cultura e della diplomazia parigina: politiche come Rachida Dati, Najat Vallaud-Belkacem, scrittori consolidati come Tahar Ben Jelloun o Leïla Slimani, comici come Gad, canadese che ha fatto successo in Francia, attori come Jamel Debbouze, che ha recitato nel «Favoloso mondo di Amelie» e in «Asterix», la quinta essenza della madeline, pasta di Francia.
Il presidente Macron si presenta per la semifinale e il suo è un viaggio d'affari e un'occasione di contatto con il Marocco che sotto il suo incarico si è allontanato. Questioni di visti e di spie, gli hanno chiamati «gli anni del raffreddamento» eppure la partita parla la stessa lingua anche se porta religioni differenti, abiti diversi e sogni ben distanti. I campioni del mondo contro chi si affaccia per la prima volta a una sfida di questo il livello.
Il Marocco si è dovuto prendere dei rischi per fare la storia e non è più al massimo della forma, non ha tutti gli uomini migliori a disposizione però gioca in casa perché ne ha una ovunque. La diaspora li ha obbligati ad aspettare a lungo per godersi i Mondiali, ma ha trasformato ogni città europea in una enorme piazza dove tifare. E la Francia è il campo centrale.