Paolo Condò per repubblica.it
Nelle ultime tre stagioni i club italiani hanno vinto due coppe e conquistato altre quattro finali — una di Champions — avvalorando la conquista della quinta squadra (temporanea, ma replicabile) nel torneo più importante. È il bilancio di un movimento che ha recuperato competitività almeno fino al penultimo piolo della scala, ma che nella serata giusta può anche salire in cima per spingere giù il Real Madrid, come ha fatto martedì il Milan.
Dopo quattro giornate la previsione estiva di un 1-3-1 in Champions (una agli ottavi, tre ai playoff, una fuori) potrebbe essere stata perfino prudente, mentre lo straripante primato della Lazio in Europa League annuncia una primavera molto ambiziosa. Se il k.o.della Fiorentina a Nicosia è stato un incidente di percorso come sembra, abbiamo prospettive in tutte e tre le coppe.
La finale di Champions ha dato consapevolezza all’Inter della propria forza spingendola a uno scudetto travolgente, e la somma dei due risultati ha alzato il livello delle aspettative.
L’Inter corre per entrambi i traguardi, e Inzaghi ha accettato di pagare il prezzo connesso in termini di bellezza e funzionalità. Ragionando come se la stagione fosse un torneo unico di 50-55 giornate (il Mondiale per club non fa parte della programmazione), la cura maniacale del turnover — ben 16 giocatori di movimento nel range 1000/500 minuti — preserva la freschezza atletica prima del costume tattico. Il che espone l’Inter ad alcuni paradossi, come l’inedita fragilità in campionato (13 gol subiti) a fronte dell’impermeabilità in Champions (zero), dove pure ha affrontato Manchester City e Arsenal, e quest’ultimo in assetto difensivo da rotazioni spinte.
Una discrepanza che ha molto a che fare con la concentrazione, ma che all’alba di novembre vede comunque l’Inter in traiettoria ideale per arrivare fra le prime 8 guadagnando la qualificazione diretta agli ottavi e di conseguenza due settimane di “riposo”, bene inestimabile di questi tempi. Si è parlato tanto della difesa permeabile in campionato, a noi sembra più dannosa la svagatezza offensiva, ovvero la difficoltà a chiudere le partite attraverso un 5-2 alla Juve o un 2-0 al Venezia malgrado mille palle-gol.
La Juventus procede a scatti — e alcuni sono impetuosi — come un guidatore dotato, ma alle prime armi: segno che la profonda esperienza da grande club che Thiago Motta aveva da giocatore (Barcellona, Inter, Psg) si sta ancora trasformando in analoga cultura da allenatore, necessaria per gestire gli spogliatoi ricchi. Nelle ultime due gare, Udine e Lille, si è rivisto un equilibrio garantito dall’applicazione difensiva di Locatelli. Il gol subito da David è stato un errore individuale, non il frutto di un sistema in panne come col Parma. La Juve in Champions non aveva un buon calendario in assoluto, e le prossime quattro rivali (subito due inglesi) saranno peggiori delle precedenti, ma aggiungere i 3/4 punti necessari per il playoff non dovrebbe costituire un problema. È in campionato che la Juve deve salire di colpi, e la chiave sarà l’evoluzione della connessione Koopmeiners-Vlahovic da problema a soluzione.
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Paulo Fonseca ha centrato con questo Milan d’autunno due prestazioni strepitose — derby e Real — preziose per guadagnare tempo al proprio lavoro in un clima che le altre gare hanno reso a più riprese difficile. Sarebbe ingenuo pensare di poter attaccare a tutto volume al Bernabeu: l’idea di difendere a cinque con un centrocampista come Musah in fascia ha tolto a Vinicius l’acqua nella quale nuotare, finendo di far detonare le troppe contraddizioni del Real.
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Il resto è stato interpretazione sopraffina, da Maignan a Theo, da Reijnders a Leao, e Cagliari domani ci dirà se questo Leao è per sempre, o almeno per spesso, che in campionato basterebbe. La Champions “impossibile” è finita con 6 punti, ottimo bilancio a patto di non distrarsi nelle prossime quattro gare, quelle meno dure. Ma sull’orizzonte del Bernabeu è comparso il sole della qualificazione diretta.
Young Boys e Sturm Graz nel calendario danno all’Atalanta la ragionevole prospettiva di aggiungere sei punti agli 8 già intascati, perché la vittoria di Stoccarda ha fatto tutta la differenza del mondo, depotenziando gli altri due impegni — terribili — col Real Madrid sanguinante e il Barcellona debordante.
Anche Gasperini, come Inzaghi, corre verso due obiettivi appaiati: la lotta per lo scudetto da una parte, la navigazione in mari europei sempre più profondi dall’altra. Il dubbio è che fino al rientro di Scalvini (vicino) e Scamacca (distante) giochi quasi sempre la stessa formazione e il turnover scatti semmai durante la gara. Il gol di Zaniolo a Stoccarda potrebbe essere la scintilla per allargare la platea dei titolari.
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La sconfitta col Monaco ha tolto al Bologna l’illusione di poter sfuggire alla tagliola degli ultimi 12 posti: per evitarla avrebbe ora bisogno di tre vittorie, ed è l’unica delle 36 partecipanti a non aver ancora segnato un gol. Servirebbe un miracolo, ma l’avventura popolare a Liverpool valeva il prezzo (salato) di questo biglietto Champions. La missione di Italiano resta intatta: confermare l’Europa dopo l’anno eccezionale del quinto posto, pagato con la perdita di Zirkzee e Calafiori.
(…) va sempre meglio la Lazio, che procede nelle zone alte in A e altissime in Europa. Il Porto era un test di livello Champions e superarlo ha richiesto fatica, ma adesso siamo a nove vittorie nelle ultime dieci gare. Un ritmo da fantascienza.
Dopo sette vittorie di fila la Fiorentina ha perso un po’ a sorpresa in casa dell’Apoel, verosimilmente frenata da un eccesso di sicurezza, leggi turnover. Un lusso che Palladino si concede perché la classifica di Conference resta positiva, mentre quella di Serie A è letteralmente un sogno. Da preservare col riposo dei titolari.
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