TENNIS DOTTO - NON GUARDERÒ PIÙ UNA PARTITA DI FEDERER. ALIAS, NON GUARDERÒ PIÙ UNA PARTITA DI TENNIS. PERCHÉ DOVREI SPENDERE UN MINUTO DI QUEL CHE RESTA DELLA MIA VITA PER GUARDARE QUEL’ANDROIDE DI DJOKOVIC?

Non è più nemmeno una sfida romantica, è una sfida ridicola. Il serbo s’allungava, si slombava, s’inarcava, si raddoppiava, si quadruplicava, si spaccava, sanguinava, ma non si rompeva. Il sistema nervoso di Roger va in tilt quando qualcosa di enorme oltraggia il suo genio...

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di Giancarlo Dotto (Rabdoman) per Dagospia

 

DJOKOVIC FEDERER DJOKOVIC FEDERER giancarlo dotto e giorgia surina giancarlo dotto e giorgia surina

Ho deciso. Smetto. Roger può continuare quanto vuole, fino al tremila e scodellare decine di gemelli con la sua Mirka. Io smetto. Non guarderò più una partita di Federer. Alias, non guarderò più una partita di tennis. Perché dovrei spendere un minuto di quel che resta della mia vita per guardare quel che resta di Nadal o quanto avanza, troppo, di Djokovic.

 

Preferisco passare le ore a fissare l’oblò di una lavatrice o uno scimpanzé che si gratta. Preferisco fissare le formiche che si fanno un mazzo così per portare a casa una crosta di pane e poi, quando sta lì, sull’orlo della fessura, a un millimetro dall’impresa, arriva uno stronzo che pesta entrambe, la formica e la crosta, e magari nemmeno lo sa che ha ammazzato un sogno.

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Dopo averlo atteso per due giorni e mezzo, potrei dire spasmodicamente alla lettera, due Buscopan, ma forse era latte avariato, ho visto tre games, il primo break di Nole e ho spento. Schifato, Nauseato. Roger più di me. Sbagliava innaturale. Dritti e rovesci. Contro quell’odioso muro di gomma fabbricato in laboratorio, la sua valigia d’illusionista non serviva. Come fare il solletico al cavallo di Marco Aurelio.

 

Non è più nemmeno una sfida romantica, è una sfida ridicola. Il serbo s’allungava, si slombava, s’inarcava, si raddoppiava, si quadruplicava, si spaccava, sanguinava, ma non si rompeva. Il sistema nervoso di Roger è migliorato, ma resta fragile, e va in tilt quando qualcosa di enorme oltraggia il suo genio.

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Gli androidi del tennis sono questo qualcosa di enorme. Lui, forse, non lo sa quanto, ma non sopporta di dentro la formidabile ottusità di questi apparati con sembianze umane.

 

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Tipico del genio, lui non sa di esserlo. Una vaga percezione. O meglio se ne fotte, per quanto gli viene naturale esserlo e preferisce allora umiliarsi e raccattare ancora qualche miliardozzo tra i picchiatori dalla spalla bionica del tennis post-umanesimo, un po’ come Totti nel calcio, che però non ha più nemmeno la valigia magica ma solo una busta della Coop.

 

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Il bel gesto di smettere lo fa invece la Pennetta, proprio ora che avrebbe potuto capitalizzare, forse anche sapendo che il suo addio non lascerà eserciti di vedove inconsolabili. Non è il mio caso. Per me Roger Federer è finito quando sono cominciati loro.   

 

 

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