Gigi Garanzini per "la Stampa"
Uno alla volta, uno alla volta, uno alla volta per carità. Eccolo l' errore da non commettere, dare per superata la Spagna e cominciare a pensare alla finale con l' Inghilterra.
Se non bastano la prudenza, il rispetto, la scaramanzia, facciamocelo raccomandare dalla musica immortale del Barbiere di Siviglia di Rossini: che, volendo, era pure conterraneo di Mancini.
Uno alla volta significa che gli stessi inglesi faranno bene a badare per il momento alla Danimarca, anche se il loro ha tutta l' aria del crescendo (rossiniano?). Ma l' importante è che da qui a domani sera l' Italia abbia in testa solo e soltanto la Spagna e a nessuno venga in mente di tirare conclusioni affrettate sull' unico avversario in comune affrontato sin qui.
Che sarebbe poi la Svizzera, asfaltata dagli azzurri nel girone e poi battuta soltanto ai rigori dalla Spagna, nonostante il doppio bonus di un grottesco autogol iniziale e poi di un' espulsione severa proprio quando gli svizzeri, dopo aver pareggiato, stavano seriamente provando a completare la rimonta.
Nel calcio la proprietà transitiva non esiste. Sono altri i parametri di raffronto, anche se alcuni sono indicativi solo entro certi limiti. Il possesso palla, per esempio. La percentuale spagnola è del 67,2, la nostra del 55,8. Differenza non da poco, che discende più o meno direttamente dal guardiolismo e si traduce in un superiore controllo del gioco.
Ma il possesso spagnolo è più sterile di quello azzurro e non di rado fine a se stesso. La palla che passa e ripassa per i piedi di Koke, per dirne uno, non è la stessa che transita per quelli di Verratti: la prima serve spesso a tenerla lontana dalla propria difesa; la seconda è sempre o quasi sempre pensata per inguaiare la difesa altrui.
Poi è vero che se si parla di conclusioni verso la porta i numeri dicono 101 a 95, cioè sostanziale parità. Così come non c' è differenza sul numero di gol, 12 per la Spagna e 11 per l' Italia, semmai in quelli subiti, 5 contro 2. Però c' è eccome nelle modalità.
Perché mentre Locatelli, Immobile e Insigne hanno colpito da fuori area, tre gol su undici, la Spagna ha sempre segnato dall' interno dei sedici metri. Altro retaggio di un' epoca, d' oro, in cui il palleggio, il dialogo, il ricamo erano le sole risorse contemplate per far gol.
Ancora due differenze numeriche. La Spagna ha percorso 36 chilometri più dell' Italia, 623 a 587. Ha anche giocato un supplementare in più e questo spiega in buona misura la differenza: ma certo, se c' è da correre non si tira indietro. Mentre la vera differenza di gioco si misura sul numero di traversoni: la Spagna ha crossato 140 volte, esattamente il doppio dell' Italia. Significa che non avendo grandi colpitori da fuori, si affida in larga misura al gioco aereo. A differenza degli azzurri che il pallone dall' esterno lo alzano quasi soltanto sui calci piazzati.
Se poi dai numeri passiamo alle sensazioni, il pronostico è per l' Italia. La Spagna è partita piano, è andata in crescendo ma con la Svizzera si è smarrita e ha rischiato. Gli azzurri sono partiti forte, poi hanno a loro volta rischiato nel secondo tempo con l' Austria ma con il Belgio si sono ritrovati quasi in pieno.
E la sofferenza finale è valsa a dimostrare che pur avendo cambiato pelle, pur avendo stupito il resto d' Europa - pubblico e critica- con un calcio brillante e coraggioso, nei momenti migliori persino sfrontato, non hanno smarrito l' antico dna difensivo cui aggrapparsi nei momenti difficili. Donnarumma è più forte di Unai, la coppia centrale pure.
Da metà campo in su tutte e due sono ricche di soluzioni, ma le nostre sono più fluide, più immediate, meno macchinose. Busquets resta la loro architrave, ma Jorginho non è meno determinante nello scacchiere di Mancini. Pedri è molto più di una promessa, non pochi altri vanno presi con le molle. Ma, per l' appunto, si possono prendere.
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