Giulia Zonca per “la Stampa”
Quando Federica Pellegrini si leva dalla testa il tocco di laurea e inizia a leggere, parte un lungo respiro che torna fino al 2016. Olimpiadi di Rio, lei ci entra con la forma migliore, la convinzione dei giorni di gloria e ne esce quarta. Incredula. Scatta un periodo di introspezione che poteva pure portare al ritiro e invece la rilancia. Vincerà altri due Mondiali e sarà la prima a dire in Italia: «Il professionismo deve studiare il ciclo mestruale». Ora il tema è il soggetto della tesi con cui diventa dottoressa in scienze motorie all'Università San Raffaele di Roma, laurea honoris causa consegnata per il merito di aver fatto vibrare l'Italia.
La sua tesi inizia con un'analisi della diversa percezione dello sport maschile e femminile. A che punto siamo?
«La donna atleta si è dovuta muovere in un ambito gestito da uomini, con regole e parametri fissati da uomini. All'inizio non eravamo incluse poi siamo state sopportate, ora i numeri portano verso l'uguaglianza, ma nei primi dieci anni di carriera ho vissuto sulla mia pelle certe evidenti differenze».
Si ricorda degli episodi?
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«Tanti. Non serve rievocarli e non sono qui a far polemiche retroattive, oggi voglio dare il colpo definitivo a un tabù».
Il ciclo mestruale è ancora argomento da evitare?
«Adesso se ne parla, i più giovani soprattutto, ma ho deciso di raccontare la mia storia proprio per dimostrare che serve un approccio sistematico, serve raccogliere dati, andare oltre l'ovvio».
Definisca l'ovvio.
«Il ciclo è una cosa che ricapita ogni mese a tutte le donne e non può essere sta gran cosa. Però qui parliamo di prestazioni di alto livello dove un decimo di secondo fa la differenza quindi tutti i fattori devono essere considerati.
Incluso il ciclo».
Opposizione comune. Ogni singola donna reagisce in modo diverso quindi gli studi sono inutili.
«Non lo sarebbero se si arrivasse ad avere moltissimi dati, peccato sia quasi è impossibile perché la risposta base che si dà alle atlete è: prendete un anticoncenzionale per calmare le oscillazioni. Così facendo però condizioni anche altri fattori e levi pure i benefici che il ciclo, in fase ovulatoria, può dare».
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Questi studi in realtà li hanno fatti ai tempi della Germania dell'Est.
«Per i fini più sbagliati. Per sfruttare le atlete, non per aiutarle a esprimere il proprio potenziale. Si è arrivati a favorire e poi interrompere gravidanze per stimolare la produzione di ormoni maschili. Il punto di vista più sbagliato e quindi pure le analisi più assurde. Via tutto, qui bisogna ripartire dai fondamentali. Quando io ero adolescente è stata mia madre a dire al mio allenatore che non mi sentivo a mio agio nei giorni del ciclo con l'abbigliamento da piscina. Bisogna parlare, confrontarsi. Inserire il fattore mestruazioni negli schemi degli allenamenti, non semplicemente dire prendi la pillola».
Lei lo ha fatto?
«Tre volte in carriera, l'ultima nel 2020 per tenere il ciclo sotto controllo e non ritrovarmi nelle date clou dei Giochi di nuovo come a Rio: hanno spostato le Olimpiadi per il Covid. E sai che c'è? Ho capito che funziono meglio quando il mio corpo risponde a ritmi naturali».
Da quella tabella che ha compilato ogni mese che ha capito?
«Abbiamo capito meglio come funzionavano i cali prestativi, abbiamo calibrato le sessioni di lavoro. molti progressi». Il suo tecnico oggi è suo marito. Non tutte partono da questa confidenza. «Ai tecnici di nuova generazione conviene prendere dimestichezza con l'argomento perché le ragazze ne vogliono parlare.
Poi per i parametri scientifici servono medici, persone competenti che ti aiutino a esaltare ciò che in quelle date funziona come sempre, la resistenza per esempio». La parità passa anche da qui?
«Ne sono sicura. Saremo più complicate, ma vale la pena conoscerci meglio». In Italia la parità tra uomini e donne a che punto è? «Credo si stia uscendo dalla fase quota rosa per arrivare a una concreta partecipazione. Abbiamo la prima astronauta capo di una stazione, la prima ad arbitrare in serie A, probabilmente una Premier e io non parlo mai di politica e non voglio qui valutare i partiti di appartenenza, ma sono tutti passi decisivi di cui essere orgogliose. Ogni nuova frontiera è uno strattone anche se poi bisogna crescere».
Come? Dove?
«Le donne, parlo della maggioranza, devono essere pronte a competere a livello formativo con gli uomini. Allo stesso modo. Non si passa davanti perché a quella casella manca una figura feminile: è stato un approccio a tratti necessario e spero si sia quasi oltre».
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