Giorgio Gandola per La Verità
«Le rovine del Chelsea a Roma». «Incubo di Halloween per Conte». I giornali inglesi vanno giù di facile metafora, ma gli undici legionari che hanno distrutto i britanni in Champions League trasformandoli in macchiette da albo di Asterix sono stati scatenati da un uomo apparentemente timido, che parla poco e studia molto, con un gigantesco nome di battesimo da indossare: Eusebio Di Francesco, l' allenatore sul quale nessuno avrebbe scommesso un sesterzio bucato.
C' è un secchione a Trigoria, che studia i dettagli, trascorre i pomeriggi sui videotape, psicanalizza i suoi e sa tutto degli avversari. Un nerd gentile con gli occhialini da spaesato, che si è ritrovato un giorno a dover allenare una squadra senza imperatore (Francesco Totti in cravatta, forse la sua massima fortuna), senza paracadute e senza corifei a fargli aria con le foglie di palma.
Umano Gli hanno messo sulle spalle l' eredità di uno scienziato della panchina come Luciano Spalletti, gli hanno venduto Mohamed Salah e Antonio Rudiger, gli stavano vendendo Konstantinos Manolas, gli hanno comprato solo il tostissimo Aleksander Kolarov (più Patrik Schick ma nessuno sa quando potrà giocare). E poi gli hanno detto: vai avanti tu che il Fair Play finanziario ci impedisce altri colpi. Lui ha appannato le lenti con l' alito, ha ripassato il prediletto 4-3-3 finto (con Edin Dzeko unica vera punta), ha convinto Lorenzo Pellegrini a tornare a Roma da Sassuolo, ha rimesso il guerriero Radja Nainggolan a fare il mediano e martedì sera ha schiantato Antonio Conte sul suo terreno preferito, la cattiveria e la velocità.
«Non sono stupito, siamo stati perfetti, è solo l' inizio», ha sussurrato in conferenza stampa con la serenità di chi ha tutto sotto controllo nella Città Eterna dove nulla è prevedibile.
Di Francesco non ha il carisma di Allegri, non ha la veemenza di Conte, non ha il fascino di Mourinho, non ha le medaglie di Ancelotti, non è postmoderno come Klopp, né geniale come Guardiola o pitagorico come Sarri. È solo un uomo con le idee chiare e la schiena dritta, un «Normal One» che doveva chiamarsi Luca ma il padre (fanatico del fenomeno portoghese degli anni Sessanta) lo iscrisse all' anagrafe come Eusebio di nascosto dalla moglie.
Ha 48 anni, un passato da onesto gregario del pallone e una gavetta completa: portò il Sassuolo in serie A, fu esonerato e richiamato dopo cinque sconfitte consecutive di Alberto Malesani, raggiunse l' Europa con la squadra confindustriale di Giorgio Squinzi giocando un calcio ruggente, offensivo, che somigliava a quello di Zdenek Zeman, ma con più prudenza. «È l' allenatore che mi ha lasciato di più, era 10 anni avanti», spiega lui quando gli chiedono di raccontarsi. «Con lui mi divertivo in campo e fuori: è l' unico allenatore che mi abbia fatto ridere.
La preparazione atletica però non l' ho presa da lui.
Facevamo dieci volte i mille metri per quattro giorni di seguito, poi i sacchi sulle spalle, i gradoni. No, voglio troppo bene ai miei ragazzi».
giulio cesare Il suo motto è «La parola conduce ma l' esempio trascina», una frase di Giulio Cesare perfetta per rinverdire gli allori dalle parti del Colosseo. È un preciso, non sopporta le giustificazioni e la furbizia propria dei calciatori indolenti. Chiede innanzitutto ai suoi puntualità ed educazione, e se vede un calciatore rifiutare un autografo a un ragazzino lo riprende. «Devi essere disponibile perché verrà il giorno in cui rimpiangerai tutta quella gente e quei bambini che adesso ti chiedono una firma su un foglio perché ti vedono come loro punto di riferimento. Se non sei capace di dire buongiorno e buonasera al vicino di casa non sarai mai un uomo vero, tantomeno un campione».
Dopo il ruggito contro Conte vivrà qualche giorno da statua marmorea, almeno fino alla partita di domenica contro la Fiorentina. Ora il ponentino spira dolce alle sue spalle e i parlamentari romanisti lo ritengono l' ideale anche per riunire la sinistra. Ma i primi due mesi nella capitale sono stati micidiali.
Riparato dagli occhialini e dall' aria distratta, Di Francesco li ha superati indenne solo grazie alle sue certezze, alla sua abitudine all' incedere solitario. Non aveva ancora arredato la casa che un tifoso perfido come Massimo D' Alema già lo aveva criticato (e poi smentito la critica). L' unico Eusebio a non amare il dribbling gli replicò con un' entrata a piedi uniti: «Ha detto che la Roma non ha gioco e lotterà per la salvezza? Lui è un grande esperto di vittorie, magari quando lo vedo gli chiedo un consiglio».
gli inglesiTre gol al Chelsea all' Olimpico dieci giorni dopo il sontuoso pareggio di Londra significano rispetto e silenzio, esattamente ciò che chiede Di Francesco per continuare a lavorare sul campo e a studiare calcio.
Nelle settimane difficili la sua difesa era educata e gentile come lui. «Trovo prematuro il negativismo su di me, io sono perbene e corretto, solo il campo mi giudicherà. Il presidente ci ha fatto i complimenti dopo l' Atletico Madrid, è stato montato un caso sul nulla. Si creano polveroni insensati, ma io sono resiliente». Disse proprio resiliente, per la capacità di far fronte ad eventi negativi con spirito positivo. La parola preferita da un altro Francesco senza particella prima del nome, abituato a consolare gli infelici senza potersi permettere un micidiale contropiede mascherato. Un signore vestito di bianco che nella stessa città prova ad allenare più di un miliardo di cattolici.
di francesco di francesco padre e figlio