1. BERLUSCONI NE HA COMBINATE IN VENT’ANNI DI TUTTI I COLORI E DOLORI: DAGLI AFFARI SEDUTO SULLA PRIMA POLTRONA DI PALAZZO CHIGI AL BUNGA BUNGA DI PALAZZO GRAZIOLI, DALLE “CENE ELEGANTI” DI ARCORE ALLE MINISTRE-SHOWGIRL FINO ALLE DEPUTATE-VALLETTE
2. NON BASTA AVER PEGGIORATO IL LINGUAGGIO DELLA POLITICA MA AVREBBE PURE INFLUENZATO LA CREATIVITÀ DELLE ARTI-STAR DE’ NOANTRI (CATTELAN, BEECROFT E VEZZOLI)
2. TESI TEORIZZATA DA UN LIBRO DEL CRITICO D’ARTE LUCA BEATRICE CHE RICONOSCE BERLUSCONI’ COME “EVENTO VISIVO”, IL RUOLO DI INNOVATORE NEL LINGUAGGIO ESTETICO

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LUCA BEATRICE - NATI SOTTO IL BISCIONE LUCA BEATRICE - NATI SOTTO IL BISCIONE

S'intitola Nati sotto il Biscione, sottotitolo: «L'arte ai tempi di Silvio Berlusconi» (Rizzoli, pagg. 168, euro 18,50; in libreria da giovedì) di Luca Beatrice. Fra politica, sociologia e arte, il libro dimostra come il Cavaliere sia diventato oggetto di rappresentazione e riflessione nell'arte contemporanea, in particolare nell'opera di arti-star internazionali come Maurizio Cattelan, Vanessa Beecroft e Francesco Vezzoli. Qui anticipiamo una parte del «Prologo».

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Luca Beatrice per “il Giornale”

 

Questo libro non è un saggio di politica, bensì di critica d'arte, che si regge su una domanda per certi versi inedita: si può riconoscere a Silvio Berlusconi lo stesso ruolo di innovatore nel linguaggio estetico, come lo è senza dubbio stato in quello politico? È possibile parlare di un «secondo ventennio» italiano, dove anche la cultura, oltre alla società, è stata infuenzata da un modello inedito e rivoluzionario?

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Berlusconi crede fortemente nel potere dell'immagine più che in quello della parola, infatti più dei suoi discorsi ricordiamo le sue foto. Diversi frames, a partire da quello famoso della discesa in campo nel 1994, identificano pienamente un'epoca proprio come le riproduzioni di opere d'arte prodotte nello stesso periodo. Mai nessun leader politico in Italia, a eccezione del solo Mussolini, aveva fatto uso così ampio delle immagini e non soltanto della propria icona personale. Berlusconi è anche capace di servirsi di oggetti che definiscano un perimetro di appartenenza, alla maniera della cultura pop.

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All'atto di fondazione di Forza Italia fa distribuire ai propri rappresentanti il “kit del presidente”, che consiste in una serie di gadget utili a distinguersi dal linguaggio ormai obsoleto degli altri partiti. In questa magica valigetta dominano il tricolore e l'azzurro, il colore usato dall'Italia negli sport: una cravatta regimental, occhiali da sole, un distintivo per la giacca, il gagliardetto e la bandiera, un orologio con cinghietto in pelle, un foulard per le signore e le parole dei due inni da cantare in coro durante le convention: Forza Italia e Azzurra libertà.

 

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Per la campagna elettorale del 2001 il Cavaliere pubblica invece un rotocalco, molto simile alla rivista Chi, distribuito in milioni di copie e recapitato per posta alle famiglie italiane, ricchissimo di immagini commentate da brevi didascalie. Berlusconi fornisce così una versione pubblica della propria intimità, anticipando di oltre un decennio i social network più diffusi, Instagram in particolare.

 

C'è in lui l'esagerata volontà di essere ritratto, di posare, di essere presente sia negli album di famiglia sia nella grande Storia, mira insomma a parlare tanto alle famiglie (cioè a tutti i noi) quanto ai potenti del pianeta con il medesimo affabile e rassicurante linguaggio.

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Secondo Belpoliti quella di Silvio Berlusconi è una strategia d'immagine; è produttore di beni immateriali, di segni, che sono la merce più importante nella nostra epoca postmoderna. Rincara la dose il critico d'arte e filosofo Marco Senaldi che parla del Cav come di un vero evento visuale.

 

Egli persegue nel suo look un'iconografia precisa, il cui riferimento non va cercato nella politica ma al di fuori di essa, piuttosto nel mondo delle aziende e del lavoro, sottolineando continuamente il fatto di non essere un politico ma un imprenditore prestato alla politica «e vista la sfiducia radicale degli italiani nella loro classe politica, è come se continuasse a ripetere: potete fidarvi di me, perché sono qui contro la mia volontà, ecco cosa mi tocca fare».

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Come Andy Warhol, Berlusconi ama travestirsi e presentarsi con abiti sempre differenti, non solo in doppio petto blu d'ordinanza scelto tra modelli deliberatamente démodé, proprio perché la politica è un mestiere antiquato. Lo abbiamo visto in completo bianco da jogging, in vacanza sul panfilo in Sardegna, con il colbacco in Russia da Putin e con il cappellino sportivo da Bush, in bianco d'estate con la famigerata bandana per proteggere l'operazione di infoltimento dei capelli.

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Si tratta, scrive Senaldi, «dell'inimitabile lezione dei presidenti USA che – a partire da Kennedy – hanno perfettamente capito il valore di un'immagine plurale, a tutto tondo, del leader. Se quest'ultimo vuole convincere, deve esporsi al pubblico calandosi nel contesto, non standone fuori... non è importante cosa pensa il leader, è importante come si veste e, ancor di più che vesta come noi». In età più avanzata ci è apparso con la maglia girocollo blu sotto la giacca, e indossato un paio d'occhiali scuri a causa di un disturbo alla vista. Fregoli e consumato performer, è in grado di arrivare, attraverso l'abito, al miglior risultato possibile.

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Ha ragione Federico Boni nel Superleader. Fenomenologia mediatica di Silvio Berlusconi (2008) quando parla di un corpo plurale di Berlusconi, «diventato paradigmatico delle più recenti trasformazioni dello scenario politico e mediatico italiano.

 

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Lo abbiamo visto e lo vediamo dappertutto: sullo schermo televisivo nelle nostre case, mentre mangiamo seduti a tavola o mentre ci riposiamo in salotto; sui cartelloni per le strade, in gigantografe che rendono le nostre città una sorta di grande corpo politico, Leviatano redivivo col volto ritoccato dal bisturi e i capelli trapiantati; nelle fotografie dei giornali e delle riviste, mentre fa le corna ai leader stranieri o impegnato in avances con star e veline della tv. Berlusconi è dovunque, forse perché, tutto è Berlusconi.

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E forse, potremmo aggiungere, perché Berlusconi è tutto. Caleidoscopico. Seriale. Come una fiction televisiva, come un reality show, come l'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica. Come le video-installazioni di Vezzoli, che hanno dentro tutto».

 

Eccoci dunque al punto. Si verifica, a partire dagli anni Novanta, un livello più sottile, di vera e propria infiltrazione estetica del berlusconismo nell'opera degli artisti italiani di maggior successo, Maurizio Cattelan, Vanessa Beecroft e Francesco Vezzoli, che hanno avuto un gran riscontro internazionale oltre che in patria.

 

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Senza l'esplosione del «fenomeno Berlusconi» probabilmente non sarebbero stati capaci di intercettare quegli spunti che li hanno resi ricchi e famosi nel mondo. E sono stati, peraltro, gli ultimi a varcare la soglia del consenso, tra gli addetti ai lavori e anche del pubblico. Già da un po' di tempo l'arte italiana attende i loro eredi, ma all'orizzonte si vede ancora poco. Se per il dopo Silvio si sta parlando di Matteo Renzi, ancora nessuno sembra in grado di sostituire i magnifici tre: Maurizio, Vanessa e Francesco.

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