“PERCHÉ LAURA MATTIOLI ‘AMBASCIATRICE DELLA PITTURA ITALIANA A NEW YORK’, HA VENDUTO NEL 2015 IL ‘NUDO ROSA’ DI MODIGLIANI DA CHRISTIE’S PER 170 MILIONI DI DOLLARI?” – LA POLEMICA DELLO SCRITTORE E GIORNALISTA ALESSANDRO FEROLDI, NIPOTE DELL’AVVOCATO PIETRO, CONTRO FEDERICO RAMPINI CHE, SUL “CORRIERE”, HA VERGATO UN RITRATTO AL MIELE DELLA COLLEZIONISTA D'ARTE LAURA MATTIOLI – “LA COLLEZIONE DI MIO NONNO È STATA SMEMBRATA E LUCROSAMENTE VENDUTA ALL’ESTERO DALLA MATTIOLI” – QUANDO VITTORIO SGARBI SPIEGÒ I MOTIVI PER CUI IL NUDO DI MODIGLIANI DOVEVA RESTARE IN ITALIA...

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1 – Mail di Alessandro Feroldi a Federico Rampini, 12 marzo 2023

 

alessandro feroldi alessandro feroldi

Caro Collega Rampini, 

una precisazione e una domanda da cronista: perché Laura Mattioli "ambasciatrice della pittura italiana a New York" ha venduto nel 2015 il Nudo Rosa di Modigliani da Christie’s per 170 milioni di dollari?

 

Leggo con interesse la tua intervista a Laura Mattioli a pag.23 del Corriere della Sera di oggi domenica 12 marzo 2015, ma mi sfugge il concetto di chi mercanteggia in dipinti e si auto-elegge a collezionista o esperto d'arte.

 

I Mattioli commercianti di stoffe tali erano, e la composizione della collezione più completa antologicamente del mondo era dell’avvocato Pietro Feroldi. La collezione è stata smembrata e lucrosamente venduta all’estero, contravvenendo alle due principali clausole del contratto di vendita di Feroldi a Mattioli. Il resto è narcisismo da social attuali, fuffa degli incompetenti neo-collezionisti (di cosa?).

il nudorosa di modigliani battuto all asta per 170 milioni di euro il nudorosa di modigliani battuto all asta per 170 milioni di euro

 

Allego articolo di Sgarbi di Sette del Corriere e una nota esplicativa del mistero di come un quadro di quel significato per la cultura Italia abbia  potuto tranquillamente lasciare l’Italia ed essere venduto all’estero. In barba alle leggi.

Un caro saluto

Alessandro Feroldi 

 

2  – LAURA MATTIOLI, LA «REGINA» DELL’ARTE ITALIANA A NEW YORK

Estratto dell'articolo di Federico Rampini per il “Corriere della Sera”

laura mattioli laura mattioli

«Per gli italiani resto la figlia di Mattioli. Molti nel mio paese danno più importanza a quello che possiedo anziché a cosa sono. E spesso si sbagliano di Mattioli. Pensano al banchiere, Raffaele, più appassionato di libri che di arte. Nessuna parentela. A facilitare la confusione contribuisce il fatto che mio padre, Gianni, visse in via Manzoni vicino alla sede storica della Banca Commerciale Italiana guidata dal suo omonimo. Quando morì il banchiere, molti mandarono condoglianze a casa di mio padre. Il quale rispose».

 

La conversazione con Laura Mattioli è ricca di sorprese. E non poche tragedie. Dopo anni di pendolarismo tra le sponde dell’Atlantico, si è stabilita a New York e ha conquistato un’attenzione enorme, è diventata una delle italiane più influenti della Grande Mela con la creazione nel 2013 del suo Center for Italian Modern Art (CIMA).

 

FEDERICO RAMPINI FEDERICO RAMPINI

Il New York Times le ha dedicato un ritratto ammirato definendola «la Peggy Guggenheim di Soho». L’articolo ricama sulle analogie fra le due donne. Peggy, ricca ereditiera americana appassionata d’arte che mette radici a Venezia, è lo specchio rovesciato di Laura che eredita una vasta collezione di arte contemporanea italiana e si trapianta a New York. Le storie s’incrociano: la Mattioli nel 1997 presta alla Guggenheim Collection di Venezia una parte della collezione paterna, facendone il museo più ricco di futurismo italiano. Come ambasciatrice della nostra arte in America, Laura ha al suo attivo dei successi formidabili.

 

ALESSANDRO FEROLDI ALESSANDRO FEROLDI

[…] Il papà di Laura lascia gli studi per fare il fattorino di un mercante di cotone e mantenere la madre caduta in miseria. Gianni Mattioli incrocia l’arte d’avanguardia negli anni Venti, in Galleria Vittorio Emanuele conosce Marinetti, diventa amico di Fortunato Depero. Fa carriera nel business del cotone, finché nel 1940 il trader di cotone grezzo Arturo Boneschi gli dà in sposa sua figlia. È un matrimonio combinato a scopo terapeutico. Angela Maria Boneschi soffre di patologie psichiche, il ricco mercante s’illude che un marito possa risolverle. […]

 

Il padre muore nel 1977, i rapporti tra Laura e la madre peggiorano, lei viene di fatto diseredata, la collezione è promessa in donazione allo Stato italiano se realizza il progetto della Grande Brera. Ma lo Stato non mantiene la promessa. Quando muore la madre nel 1983, a sorpresa decide che Laura riceverà tutto. Fino ad allora, nulla lasciava presagire che avrebbe amministrato un simile patrimonio. «Tuttora — dice lei — non mi considero una collezionista bensì una storica dell’arte». È quella la sua formazione accademica, e il suo primo mestiere. Il marito Giovani Rossi, da cui è divorziata, è esperto d’arte e restauratore.

 

laura mattioli laura mattioli

L’origine del CIMA è nell’ideale del padre. «La socialità dell’arte — spiega Laura — non significa che debba essere gestita dalla burocrazia statale». […]

 

La ragion d’essere del CIMA è questa: avvicinare il pubblico americano alla nostra arte moderna; e allevare giovani studiosi. Il museo offre borse di studio, i giovani selezionati hanno l’opportunità di fare ricerche sulle mostre in corso. Non è un luogo riservato a esperti o a un pubblico colto: una recente esposizione dedicata all’opera di Bruno Munari ha attirato molte scolaresche.

 

Il CIMA è anche... casa sua, letteralmente. Situato in un gioiello di palazzina ex-industriale a Broome Street nel quartiere di Soho, ospita anche l’appartamento di Laura. Quando si sveglia, ha davanti alcuni quadri di Morandi. In cucina ha messo acquisizioni recenti, magnifici esemplari di arte africana. Le piace cucinare per gli ospiti, anche quando dà ricevimenti per l’inaugurazione di nuove esposizioni. La rifornisce un macellaio italo-americano che vuol essere pagato solo in contanti. L’Italia la insegue nei modi più strani... [..]

 

3 – IL GRANDE QUADRO VENDUTO ALL’ASTA PER 170 MILIONI DI DOLLARI

Estratto dell'articolo di Vittorio Sgarbi per “Sette - Corriere della Sera” del 27 novembre 2015

Nudo rosa di Modigliani Nudo rosa di Modigliani

[…] Ho aspettato una decina di giorni per vedere se qualche autorevole autorità ( carabinieri, magistratura, ministero, universitari, giornalisti di settore) si fosse preoccupata di controllare storia e provenienza del grande Nudo disteso di Modigliani, passato all’asta il 10 novembre, e venduto per 170 milioni di dollari a un intelligente collezionista cinese. Un altro capolavoro perduto per l’Italia.

 

In verità, rispondendo a una interrogazione parlamentare indirizzata al ministro dei Beni culturali, il sottosegretario Borletti Buitoni aveva cercato di fornire una plausibile spiegazione facendo riferimento, per il dipinto italiano venduto probabilmente al prezzo più alto nella Storia, al regime della “temporanea importazione”, che consente la libera circolazione di un’opera di cui è nota una permanenza in Italia, come è in questo caso. Ma la risposta non convince perché il dipinto, ceduto nel 1917 da Modigliani al grande mercante Léopold Zborowski, passò al collezionista Jonas Netter e da lui in Italia, tra il 1923 e il 1928 ( su suggerimento di Lionello Venturi), a Riccardo Gualino, la cui raccolta fu dispersa dopo la bancarotta e il confino a Lipari nel 1931.

 

amedeo modigliani 3 amedeo modigliani 3

Il Nudo di Modigliani fu acquistato da Pietro Feroldi di Brescia, presso cui era già nel 1935. Fu pagato 52.000 lire. Al tempo non era ancora stata concepita la legge di tutela del 1° marzo 1939, n. 1089, che regolamenta la materia. Dunque, quando, nel 1949, l’opera, con tutta la collezione, rifiutata dal Comune di Brescia cui era stata offerta, fu venduta da Feroldi ( e non da Cesarina e Riccardo Gualino, come indicano fonti devianti) a Gianni Mattioli, per circa 5 milioni di lire, non poteva avere avuto nessun certificato di “importazione temporanea”, non perché non fossero occhiuti i funzionari delle Soprintendenze, nei cosid- detti, preposti e temutissimi, ”Uffici esportazione”, ma semplicemente perché l’opera era già in Italia.

 

vittorio sgarbi vittorio sgarbi

Logico, no? E allora perché il sottosegretario ha detto, con virtuosistici distinguo sul « preciso e delicatissimo punto di equilibrio fra due valori, entrambi di rango costituzionale, quali la tutela del patrimonio culturale e il diritto di proprietà privata » , una cosa non vera, prospettando una posizione giuridica costituzionalmente legittima ma, nel caso, impossibile?

 

Dovremmo ipotizzare una ( poco) “temporanea importazione” in Italia, prolungata per quasi un secolo, rinnovata dal 1923 ogni cinque anni, come chiede la legge. Il sindaco di Livorno e i deputati di Cinque Stelle non mollino, dunque; si dichiarino insoddisfatti della risposta del ministro, e incalzino carabinieri, magistrati, funzionari delle Soprintendenze. Anche se non dello Stato, il Modigliani deve stare in Italia, garantendo la proprietà nei limiti stabiliti dalla legge.

 

laura mattioli laura mattioli

Che non valgono solo per i modesti quadri di piccoli antiquari, trivellati di notifiche e bloccati, agli Uffici esportazione, da funzionari capricciosamente zelanti. Il Nudo disteso di Modigliani, invece, in Italia ininterrottamente per 90 anni, libero come l’aria.

alessandro feroldi ottavia casagrande ed alessandra cravetto alessandro feroldi ottavia casagrande ed alessandra cravetto

ottavia casagrande e alessandro feroldi ottavia casagrande e alessandro feroldi

 

FEDERICO RAMPINI FEDERICO RAMPINI

 

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