Luca Beatrice per “Il Giornale”
New York è la città nel mondo in cui la geografia dell'arte cambia di continuo e c' è il rischio, da un anno all' altro, di perdere le coordinate se non si è più che informati e attenti. All' inizio degli anni '80 tutto si svolgeva downtown , dove cresceva la cultura alternativa tra gli spazi di Soho in cui è cresciuta la Graffiti Art e i locali post punk tipo il leggendario CBGB' S. Poi sono arrivati i negozi di moda, gli affitti sono decuplicati e le gallerie, soprattutto le più giovani, hanno dovuto cercarsi altri quartieri, a cominciare da Tribeca.
Ma la vera e propria migrazione c' è stata dalla fine dei '90 in poi, con i primi pionieri ad aprire in Chelsea, fino a poco prima luogo di magazzini e depositi in riva all' Hudson. Rapidamente l' arte ha conquistato interi edifici, mentre i più ricchi si sono comprati degli spazi giganteschi da far concorrenza ai musei: Gagosian, Matthew Marks, Andrea Rosen, Luhring Augustine, 303, giusto per citarne alcuni.
Oggi, a detta di chi New York la conosce e la vive, Chelsea è il supermercato dell' arte, attraente per l' alta società e i vip ma del tutto priva di quel fascino sperimentale che ne aveva caratterizzato gli esordi. Prezzi inarrivabili e mostrare i muscoli, questo il comandamento: il 10 settembre le principali gallerie hanno inaugurato tutte insieme, il che dimostra come lo spirito di concorrenza funziona di più se coeso.
Dal vate pop Roy Lichtenstein al fenomeno della pittura americana Dana Schutz, dal fotografo tedesco Wolfgang Tillmans al concettuale Mike Kelley, le proposte messe in campo per aprire la nuova stagione sono davvero impressionanti, soprattutto se confrontate alle difficoltà che ancora si avvertono in Europa, segno che qui la crisi è davvero alle spalle.
Chi cerca il nuovo ha bisogno di freschezza e di avvertire un clima meno ingessato, non si accontenta di Chelsea ma va sulla Bowery, un tempo quartiere fuori gioco per la sua pericolosità. Una vera e propria operazione di bonifica è stata compiuta dalla nuova sede del New Museum, cui sono seguite decine di gallerie molto interessanti, con proposte che vanno dal «sotterraneo» al pop.
Gli spazi costano ancora relativamente poco, anche se qualcuno afferma che la moda di Orchard Street e delle vie limitrofe sta facendo lievitare i prezzi, dunque non è escluso un ulteriore trasferimento di massa, magari a Brooklyn.
Proprio ai confini della Bowery vediamo da Postmasters una delle mostre più interessanti del settembre newyorkese, la personale di Federico Solmi, dimostrazione che anche per un italiano, pur non incensato come Cattelan e Vezzoli, è possibile farcela se ci si sforza di integrarsi con il tessuto cittadino e di proporsi non come un transfuga, ma come un artista internazionale.
Solmi, 42 anni, che a Bologna faceva il macellaio, ha deciso di giocarsi la carta New York con i suoi video d' animazione molto complessi, inseriti dentro quadri oggetto molto colorati. In questa sua seconda mostra ha disegnato un' allegoria del potere: uno stile davvero originale che gli ha permesso di conseguire il John Simon Guggenheim Memorial Fellowship e di ottenere una cattedra alla Yale University. Storie che possono capitare solo nel nuovo mondo.
Altro pezzo d' Italia è alla Scaramouche di Daniele Ugolini, che per la prima volta presenta in America il lavoro concettuale di Antonio Scaccabarozzi, seguendo il successo della linea analitica della nostra arte che comincia a incuriosire anche oltre oceano. Un autore sottile, delicato. Chissà se crescerà di prezzo come è stato per Castellani o Scheggi.
Dietro molte gallerie pare esserci il supporto della finanza e infatti per questa ragione si vedono artisti crescere improvvisamente di prezzo. Di norma la scommessa è prendere un venticinquenne e portarlo da 20 a 200mila dollari in pochi mesi. Se poi non funziona, avanti un altro. Capita anche che il mercato, nelle sue imperscrutabili logiche, vada a riscoprire il talento di un artista di cui si erano perse le tracce, come la pittrice astratta Jackie Saccoccio, da 11 Rivington, la quale dopo un lungo isolamento oggi va di gran moda.
Uno spazio molto potente è Salon 94, specializzato nella pittura che peraltro non passa mai di moda: si dice che i proprietari abbiano un particolare fiuto per gli affari e le scoperte e che possano permettersi il lusso anche di rilanciare il lavoro dell' aborigeno dal nome impronunciabile Warlimpirrnga Tjapaltjarri. Sorge a pochi palazzi dalla nuova sede di Sperone Westwater, sempre un' istituzione, che ha scelto di riaprire con l' inglese Richard Long.
La cosa più divertente è la «fauna» che affolla le inaugurazioni della Bowery: c' è di tutto, dal finanziere all' alternativo, dal punk al vecchio figlio dei fiori. Insomma sembra di essere tornati ai tempi di «New York New Wave», senza la pesantezza seriosa che contraddistingue gran parte delle fiere internazionali.