1. «ENIGMA» BALTHUS, UNA RETROSPETTIVA CON OLTRE DUECENTO TRA QUADRI E DISEGNI
Edoardo Sassi per Corriere della Sera - Roma
Data esatta da definire, ma aprirà a ottobre, e proseguirà fino a gennaio, la mostra «Balthus», alle Scuderie del Quirinale e a Villa Medici (l’esposizione si sposterà poi a Vienna, Kunstforum, da febbraio). La rassegna è firmata da Cécile Debray, curatrice del Musée National d’Art Moderne-Centre Pompidou, con la consulenza scientifica di Jean Clair (massimo esperto mondiale del pittore, nonché curatore della mostra Balthus a Palazzo Grassi nel 2001) e di Matteo Lafranconi.
Una mostra monografica divisa in due sedi con cui Roma celebra, a quindici anni dalla scomparsa, uno dei più enigmatici maestri del Novecento (e anche uno dei più contestati: per i nudi e le scene erotiche con bambine e adolescenti; nel 2014 una sua personale di foto in Germania fu chiusa per «contenuti pedofili»).
Circa duecento le opere attese nella capitale, tra quadri, disegni e fotografie, «provenienti dai più importanti musei europei e americani oltre che da prestigiose collezioni private». Alle Scuderie del Quirinale una completa retrospettiva organizzata intorno ai capolavori più noti; a Villa Medici invece un’esposizione che attraverso le opere realizzate durante il lungo soggiorno romano del maestro mette in luce il suo metodo e il suo processo creativo: la pratica di lavoro nell’atelier, l’uso dei modelli, le tecniche e le modalità di ricorso alla fotografia.
2. PITTRICE E GIARDINIERA: IL RITORNO DI LELIA, L’ULTIMA PRINCIPESSA CON LEI SI ESTINSE LA DINASTIA DEI CAETANI DI SERMONETA
L a definizione icastica, perentoria: «A personality of the utmost elegance» ; ovvero un artista, e uomo, di estrema , assoluta eleganza. E a definirlo così non fu uno qualsiasi, bensì un altro esponente di quella ristretta cerchia che ancora oggi compone il pantheon degli uomini più raffinati del XX secolo.
Così Gianni Agnelli ebbe a descrivere Balthus, all’anagrafe Balthasar Klossowski de Rola (Parigi 1908-Rossinière 2001), pittore francese d’origine polacca tra i più grandi, misteriosi, fascinosi (e perché no, anche discussi e odiati) artisti della contemporaneità; proprio lui che la contemporaneità la detestava, peraltro ricambiato: «Io non sono contemporaneo», amava dire di sé, «sono atemporale».
E proprio Balthus sarà protagonista di un’imminente mostra (due sedi in contemporanea) che da ottobre inaugurerà la stagione espositiva delle Scuderie del Quirinale e di Villa Medici, quell’Accademia di Francia di cui Balthus fu direttore dal 1961, su invito di André Malraux, e per 17 anni (ancora Agnelli, e Federico Fellini, tra i pochi «giganti» ammessi a relazionarsi con questo eremitico creatore nell’atelier-rifugio di Trinità dei Monti).
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All’insegna della lentezza: tutto sommato pochi quadri dipinti in una vita (con qualche vero capolavoro, soprattutto negli anni ’30) e una ristretta cerchia di ammiratori e collezionisti privati che però, per dirla con le parole di chi sta organizzando l’esposizione, «spazia praticamente dall’iperuranio in su» (la stessa famiglia Agnelli possiede «La Chambre» e «Le Chat», Picasso gli comprò «Les enfants Blanchard»).
Pochi quadri ma dietro ciascuno dei quali si cela una storia che val la pena di raccontare. Come quella, appunto, del ritratto di Lelia Caetani, ultima principessa di una delle tre grandi famiglie feudali di Roma (con Colonna e Orsini), esponente di un casato che proprio con la sua scomparsa, nel 1977, si estinguerà definitivamente.
La tela, oggi nelle collezioni del Metropolitan di New York, è una di quelle che giungeranno a Roma per l’imminente retrospettiva. E benché dipinta a Parigi nel 1935 (Lelia visse buona parte dela sua giovinezza a Villa Romaine , residenza di famiglia a Versaille), segna un po’ un grande ritorno, sia pur in effige: quello dell’ultima discendente di papa Bonifacio VIII, figlia di don Roffredo Caetani e dell’americana Marguerite Chapin, principessa di Bassiano, nobildonna che fondò e diresse due tra le riviste letterarie più importanti del Novecento, «Commerce», a Parigi, e «Botteghe Oscure», a Roma, la cui testata (da Bassani a Pasolini, ad animarla il meglio della cultura italiana tra il 1948 e il 1960) prende il nome dal luogo dove si trovava, e si trova, il Palazzo di famiglia.
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Ma chi era Donna Lelia, o Mrs Howard come amava essere chiamata con understatement, quella «spilungona — così la descrive Balthus in una lettera — molto più alta di me, poco aggraziata ma dal viso non privo di un certo stile, abbastanza sedicesimo secolo italiano»?
Nonna inglese, mamma americana, discendente del grande islamista Leone Caetani e di sua moglie Vittoria Colonna (celebre la relazione di quest’ultima con il futurista Umberto Boccioni), nipote dell’archeologa Ersilia Caetani (prima donna a entrare nell’Accademia dei Lincei), figlia di un musicista e di un’intellettuale, Lelia oltre che erede di un’immensa fortuna fu pittrice (non un genio, ma nemmeno dilettante), amica e musa di artisti come André Derain ed Eduard Vuillard (fu quest’ultimo a presentarle nel 1933 una personale a Parigi, mentre a Roma Lelia entrò nella cerchia della galleria L’Obelisco di Irene Brin e Gaspero del Corso).
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Ma fu anche, al fianco di sua madre Marguerite, giardiniera, inventrice di quel parco, Ninfa, che per alcuni è il più bel giardino del mondo, sorto ai piedi del Castello di famiglia a Sermoneta. E fu, Lelia, consorte di Hubert Howard dei duchi di Norfolk, aristocrazia britannica. Insieme, tra i tanti ambienti, la coppia frequentò anche un gruppo di appassionati giovani e meno giovani — da Bassani a Desideria Pasolini dall’Onda, da Elena Croce ad Antonio Cederna — con i quali nel dopoguerra si discuteva di come contrastare le devastazioni del patrimonio o di salvaguardia del paesaggio. Nasceva così Italia Nostra. Ma questa è un’altra storia.
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