Francesco Verderami per il Corriere della Sera
«Non è giornata», diceva ieri mattina Padoan. E non si capiva se l' umor nero fosse conseguenza della riunione con i parlamentari del Pd o dell' eliminazione dalla coppa Italia della sua Roma, per di più per mano della Lazio. Tutti dispiaceri condensati il giorno prima. Ma un conto erano stati gli errori dei giallorossi all' Olimpico, altra cosa le «posizioni non corrette» dei deputati democrat sulla linea di politica economica, e che - a suo modo di vedere - «se venisse portata avanti, rischierebbe di provocare una situazione di stallo. Vorrebbe dire che non si può fare più niente». Significherebbe mettere in fuorigioco il ministro e con lui il governo.
Le voci riprese a circolare sulla tentazione di Padoan di uscire dal campo, non fanno tuttavia pendant con la sua determinazione a varare la manovra correttiva e il Def, nel quale - ribadisce il titolare di via XX Settembre - verranno inserite le privatizzazioni, il punto di maggior conflitto con Renzi. E che si tratti del nodo cruciale della contesa, lo si capisce dal modo in cui il sottosegretario Giacomelli si raffigura «sdraiato sulle rotaie» pur di evitare che si proceda all' operazione sulle Poste.
Di lì non si passa, lo ha compreso alla fine anche Caio, ex ad dell' azienda, che addebita la sua recente estromissione a questo tema: «Alla Cgil hanno dato l' abolizione dei voucher, alla Cisl la mia testa».
Quella di Padoan non può essere messa sul piatto, per quanto il Pd continui a chiedere che venga allungata la moratoria sulle privatizzazioni iniziata un anno fa. Il ministro però è fermamente contrario, e non soltanto perché «siamo sotto la lente di osservazione dell' Europa sull' attuazione delle riforme che abbiamo promesso ai tempi del governo Renzi», ma soprattutto perché «avremmo problemi con i mercati», vissuti ormai dai renziani - con un approccio molto di sinistra - come un moloch senza volto e senza nome, eretto a Cassazione dell' economia e delle finanze degli Stati.
Di qui la volontà di ribellarsi, e la domanda posta a Padoan: «Rinviamo di un anno. Che ci costa?». «Ci costerebbe la credibilità», è stata la risposta: «E la credibilità vale moltissimo per un Paese come il nostro». Esposto com' è per via del suo debito pubblico. Ma questo l' ha fatto capire senza dirlo. Perciò la giornata che «non è giornata», il ministro l' ha iniziata con una stoccata pubblica contro le «scorciatoie che spesso vengono evocate». A Renzi saranno fischiate le orecchie, a Padoan giravano dal giorno prima.
Certo, la Roma, la sua eterna condizione di seconda, ma soprattutto quell'«indirizzo non serio e non corretto» che da tempo alberga in un pezzo (maggioritario) del Pd. Sia chiaro, il tempo per trovare una mediazione c' è, magari sfruttando la Cassa depositi e prestiti, «ma le privatizzazioni si devono fare e si faranno», verranno inserite nel Def, per non passare dalle scorciatoie ai vicoli ciechi.
Non è che il responsabile dell' Economia non capisca la situazione, a un passo dalle urne. E non è nemmeno questione di casacca, perché da tecnico o da uomo di partito «un ministro è un ministro», ha detto al gruppo del Pd. Dunque gioca per una squadra. Il punto è che Padoan non vuole diventare strumento di una partita tutta politica. Ed è chiaro che se si è alzato un polverone per una manovrina di pochi spiccioli per il bilancio dello Stato, figurarsi cosa accadrebbe se il governo dovesse varare la legge di Stabilità con quei diciassette miliardi di clausole di salvaguardia da coprire. Così com' è chiaro che Renzi non vuol farla fare a Gentiloni, che sta cercando l' incidente pur di non firmare la cambiale, che prova persino a sfruttare l' elezione di un presidente di Commissione al Senato per andare al voto. Si vedrà se ci riuscirà.
Però non c' è dubbio che la stagione della caccia ai tecnici serve a questo scopo. L' attività venatoria è in pieno svolgimento. Colpi (ma con il silenziatore) sono stati avvertiti tra Palazzo Chigi e il ministero dell' Economia, anche se sono stati derubricati al solito e fisiologico braccio di ferro che periodicamente contrappone - in ogni governo - la presidenza del Consiglio a via XX Settembre. Verso Calenda, ribattezzato dai suoi avversari interni «il piccolo Napoleone», si sente invece il rumore di ripetute schioppettate.
L' ultimo colpo, distinto, è stato indirizzato contro il suo provvedimento sulla Concorrenza: il ministro per lo Sviluppo economico aveva ricevuto l' autorizzazione a porre la fiducia per superare le secche del Senato. Ma l' esame dell' Aula, previsto per questa settimana, è slittato a dopo Pasqua. E se per Padoan ieri non era giornata, per Calenda da tempo «sono giorni complicati».