1.PETROLIO: IRAN, NON PAGHEREMO NOI IRRESPONSABILITÀ DI ALTRI
(ANSA) - L'Iran non ci sta a pagare il costo dell' "irresponsabile politica" petrolifera di altri paesi, che hanno approfittato dell'embargo contro Teheran per accrescere la loro produzione fino a 4 milioni di barili al giorno.
il ministro degli esteri zarif il presidente rohani e il capo di gabinetto nahavandian
"Se ci chiedono di diminuire la nostra produzione di petrolio, la risposta è no", ha detto stamane Mehdi Assali, direttore generale del Ministero del Petrolio della Repubblica Islamica per i rapporti con l'Opec, poco prima che cominciasse a Teheran un incontro trilaterale tra i ministri del Petrolio iraniano, venezuelano ed iracheno. Ieri, in un vertice a Doha, Russia, Arabia Saudita, Qatar e Venezuela avevano annunciato un accordo per congelare la produzione petrolifera ai livelli di gennaio scorso, in modo da contrastare la caduta del prezzo del greggio.
la quota di produzione di petrolio dell opec
Assali, in un'intervista al giornale online Sharg, ha spiegato che quando i prezzi del petrolio erano alti e l'Iran si era trovato sotto embargo ed aveva dovuto tagliare la sua quota di produzione da 2.5 milioni di barili al giorno a 1.2 milioni di barili, gli altri paesi avevano accresciuto la loro produzione fino a 4 milioni di barili, provocando il ribasso dei prezzi del petrolio.
la produzione di petrolio americano
"Ed ora - ha osservato - si aspettano che l'Iran paghi il costo di un riequilibrio". Subito dopo la fine dell'embargo, ha spiegato il dirigente iraniano "abbiamo chiarito che avremmo rioccupato la quota di produzione che avevamo prima delle sanzioni economiche". "Spetta agli altri Paesi tornare ai livelli di produzione che avevano prima dell'embargo anti-Iran", ha aggiunto. "In questa prospettiva il mercato dovrebbe stabilizzarsi ma, se ciò non avvenisse, saremmo allora pronti a cooperare".
2.PETROLIO, ACCORDO RUSSIA-ARABIA-QATAR E VENEZUELA PER CONGELARE PRODUZIONE. MA IL MERCATO È GIUSTAMENTE SCETTICO
Sissi Bellomo per www.ilsole24ore.com
re salman al saud arabia saudita petrolio
Stavolta non si tratta solo di voci. L'Arabia Saudita e la Russia si sono messe d'accordo per congelare - anche se non per tagliare - la produzione di petrolio. Con loro ci sono anche il Qatar e il Venezuela. Tutto ufficiale, con tanto di conferenza stampa per dare l'annuncio dell'intesa a Doha. È lì, nella capitale del Qatar, che i ministri del Petrolio dei quattro Paesi si sono riuniti a porte chiuse per discutere interventi a sostegno del mercato, dopo che in un anno e mezzo il prezzo del greggio si è ridotto di due terzi, finendo sotto 30 dollari al barile, ai minimi da tredici anni.
Nonostante l'enorme sofferenza dei produttori e nonostante siano stati cancellati almeno 400 miliardi di dollari di investimenti nel settore, il mercato non sembra ancora vicino a una vera svolta.
Fermare l'aumento della produzione è un passo avanti: meglio che niente. Ma c'è comunque la condizione - posta da sauditi, russi, venezuelani e qatarini - che anche gli altri membri dell'Opec facciano altrettanto, cosa non scontata, soprattutto da parte dell'Iran, che è appena stato sollevato dalle sanzioni internazionali. E comunque l'output, che nelle intenzioni dovrebbe fermarsi sui livelli di gennaio, è altissimo, tanto che sul mercato petrolifero c'è un eccesso di offerta vicino a 2 milioni di barili al giorno.
Il mercato è giustamente scettico. Così, invece che correre sulla notizia dell'accordo, il Brent - che prima volava oltre 35 dollari - ha ridotto il rialzo dal 6,5% a un punto percentuale, intorno a 33 dollari al barile.
3.PETROLIO, IL CONGELAMENTO DELLA PRODUZIONE BASTERÀ? TAGLIO NON PIÙ RINVIABILE
Roberto Bongiorni per www.ilsole24ore.com
Che ci fanno il potente ministro saudita del petrolio, Ali al-Naimi, e il suo omologo russo, Alexander Novak, seduti insieme a un tavolo con le loro nutrite delegazioni nella capitale del Qatar?
Il vertice a porte chiuse che si è svolto stamattina a Doha, a cui hanno partecipato anche il ministro venezuelano dell'Energia, Eulogio Del Pino e quello del Qatar, illustra con efficacia il drammatico momento che stanno vivendo i maggiori esportatori mondiali di petrolio. Secondo le prime indiscrezioni la decisione sarebbe stata un congelamento degli attuali livelli produttivi (quelli toccati lo scorso gennaio). In modo da evitare che l'attuale eccesso di offerta, la principale causa del crollo delle quotazioni, si ampli ulteriormente accelerando la caduta dei prezzi.
il re salman al saud dell arabia saudita
È bastata comunque la sola notizia dell'incontro a porte chiuse a far balzare le quotazioni del greggio Wti, petrolio di riferimento in Nord America, del 5,1 per cento a 30,9 dollari al barile. Poi, dopo la diffusione dei dettagli, il greggio si è sgonfiato.
ali al naimi ministro saudita del petrolio
A parole sono sempre stati tutti d'accordo. Occorre fare qualcosa per fermare la disastrosa caduta delle quotazioni petrolifere. E agire subito, affinché il prezzo del barile si risollevi dai minimo degli scorsi giorni, sotto i 30 dollari al barile, e si assesti su valori più accettabili.
Il problema, semmai, era cosa fare. In teoria sarebbe necessario un taglio concertato – e sostenuto - della produzione petrolifera mondiale, deciso non solo dai Paesi dell'Opec ma anche dai principali produttori esterni al Cartello, in prima linea la Russia. Nessuno, tuttavia, se l'è mai sentita di iniziare per primo.
La situazione sta diventando insostenibile per le casse di molti esportatori di greggio, molti dei quali alle prese con disastrosi deficit dei rispettivi budget governativi (quello saudita nel 2015 ha sfiorato i 100 miliardi di dollari) ed altri, come Russia e soprattutto Venezuela, sprofondati in una pericolosa recessione.
Ecco perché, dopo mesi di tentennamenti e tentativi falliti, oggi, a Doha, in Qatar, russi e sauditi, i due maggiori produttori mondiali, si sono incontrati per decidere sul da farsi.
Rimuovere quell'eccesso di produzione (almeno due milioni di barili al giorno) che pesa come una zavorra sui mercati internazionali del greggio è ormai una priorità non più rinviabile.
C'è troppo petrolio ,oggi, rispetto all'anemica crescita dei consumi. Un taglio produttivo sarebbe stato dunque la decisione più ragionevole. Riad era anche d'accordo, ma ha puntualizzato: tutti, e proprio tutti, dovranno contribuire alla riduzione. Un obiettivo troppo ambizioso. Ecco perché avrebbe prevalso – ma la notizia non ufficiale è da prendere con cautela - la proposta venezuelana: se non proprio dei tagli alla produzione, quantomeno congelare gli attuali livelli.
Il problema è che la disciplina non è mai stata il punto di forza dei paesi membri del Cartello. Già nel 2015 l'Opec aveva aumentato la produzione di 2,6 milioni di barili al giorno, attribuendo l'aumento a Iraq, Arabia Saudita e alla ripresa delle esportazioni iraniane.
Se Caracas preme da mesi per un'azione decisa finalizzata a risollevare le quotazioni petrolifere, altri Paesi non ne vogliono proprio sapere di stringere i rubinetti.
Dopo anni di sanzioni internazionali, l'Iran sta ora cercando di aumentare le esportazioni. L'obiettivo è riversare sui mercati un milione di barili al giorno nell'arco di sei mesi. Per Teheran è indispensabile riconquistare la sua quota di mercato – vendendo, come starebbe facendo, anche il petrolio a prezzi inferiori a quelli già bassi – pur di riprendersi i clienti. L'Iraq, da parte sua, ha disperato bisogno di liquidità per finanziare la costosissima guerra contro l'Isis. Per non parlare dei produttori africani come Nigeria e Angola, disperatamente in cerca di risorse economiche per placare il malcontento delle loro rispettive popolazioni, di cui una buona parte vive sotto la soglia di povertà.
In verità un'intesa tra i russi e i sauditi non sarebbe una novità. Quindici anni fa, nel 2001, si arrivò a un accordo tra produttori Opec e produttori esterni al Cartello per frenare la produzione globale. Mosca manifestò la sua volontà a partecipare alla decisione, ma poi non mantenne scrupolosamente il suo impegno.
Igor Sechin, il capo della major nazionale russa Rosfnet e uno dei personaggi più vicini a Vladimir Putin, si era più volte pronunciato contro un taglio produttivo. La scorsa settimana ha però annunciato che sarebbe sensato per tutti i produttori petroliferi rimuovere un milione di barili al giorno dai mercati. Senza peraltro specificare se Mosca sia disponibile a contribuire a “questa necessità” .
Il problema comunque resta. Due domande, senza risposta, pesano come macigni; basterà un congelamento della produzione – sempre che la decisione sia stata veramente presa - a risollevare i prezzi? E soprattutto: i maggiori paesi esportatori tradurranno veramente in realtà gli impegni presi?