Ugo Bertone per “Libero Quotidiano”
La crisi del petrolio mette alla frusta le società dei servizi petroliferi, alle prese con un taglio «brutale» (definizione dell' ad di Saipem Stefano Cao) delle commesse. Ma la risposta dei colossi non si è fatta attendere.
Ieri Schlumberger (capitale franco-americano, sede legale a Curaçao) ha annunciato l' acquisizione della concorrente Cameron: 14,8 miliardi di dollari. Un megacontratto che impallidisce però al cospetto del deal Halliburton-Hughes, 38 miliardi di dollari (in attesa del via libera dell' antitrust) o la creazione della divisione apposita di General Electric.
L' eco dell' operazione, però, ha messo subito le ali ai titoli europei del settore, a partire dalla francese Technip, il gruppo Tenaris (+3,4%) e, più di tutti, Saipem.
La società, controllata dall' Eni con il 43%, ha segnato ieri in Piazza Affari un massimo a 8,135 euro (+12%), per poi limitare in chiusura il rialzo al pur ragguardevole 5% che serve a contenere le perdite accumulate in Borsa (-14%) dall' inizio del 2015, anno segnato tra l' altro da nuove contestazioni giudiziarie (vedi tangenti Petrobras in Brasile). Niente male in una seduta debole, segnata tra l' altro da altri ribassi del petrolio.
Ma, al di là delle oscillazioni dell' oro nero, settembre promette di essere un importante, se non decisivo per quella che è, in termini di fatturato, la sesta industria italiana, attiva in 65 Paesi ove realizza il 90% dei ricavi. A settembre, innanzitutto, la società presenterà il nuovo business plan all' insegna della riduzione dei costi, della concentrazione nelle aree di business più profittevoli.
Ma le decisioni più impegnative dovrà prenderle l' azionista di riferimento, cioè l' Eni. La prima preoccupazione riguarda il capitale. Lo stesso Cao, tornato alla guida del gruppo ad aprile, ha dichiarato di recente che la struttura del capitale «non è coerente» con le dimensioni dell' azienda, un modo elegante per denunciare la necessità di un intervento sul patrimonio.
Un aumento di capitale? Probabile, ma al cane a zei zampe tengono aperte altre opzioni dopo la reazione rabbiosa dei soci internazionali, ormai in maggioranza. La ragione? Fondi e hedge vogliono incassare i quattrini con una vendita o un' operazione di M&A, non versare altri capitali nelle casse di una società che negli ultimi due anni, tra revisioni al ribasso del valore degli ordini ad altri tagli, ha riservato non poche delusioni. E il balzo a Wall Street della "preda" Cameron, schizzato su del 40% abbondante dopo l' offerta di Schlumberger, ha senz' altro confortato questa opinione.
Proprio l' ostilità degli azionisti istituzionali ha provocato, almeno per il momento, lo stop all' ingresso della Cassa Depositi e Prestiti nel capitale, con una quota attorno al 20% attraverso un aumento di capitale riservato. A complicare il quadro, infatti, gioca la volontà dell' Eni di ridurre la quota sotto il 2%, in modo da non dover più contemplare i debiti di Saipem nel consolidato. Per questi motivi, molti analisti mettono in dubbio che Saipem possa restare indipendente a lungo.
Potrebbe maturare una proposta secca di acquisto oppure un aumento di capitale potrebbe rappresentare il primo passo verso un' alleanza forte (o una cessione mascherata). Intanto Stefano Cao tira dritto. L' autunno sarà molto importante per il portafoglio ordini che oggi ammonta a 31 miliardi (primo cliente Aramco, secondo Total, Eni figura solo al terzo posto). Sono in corso trattative avanzate in Mozambico e nel Nord Europa.
Ma la partita più importante riguarda il dossier Gazprom, ovvero i contratti di cui l' ad Eni Claudio Descalzi ha parlato la scorsa settimana con il collega russo Alexei Miller. È questo, naturalmente, una delle ragioni che fanno di Saipem un oggetto di grande desiderio.