Gianluca Di Feo per Affari&Finanza – La Repubblica
La corsa agli armamenti lanciata da Donald Trump rischia di sorprendere le industrie italiane in una posizione un po' scomoda. Leonardo e Fincantieri - le due realtà di maggiore peso nel settore militare hanno un piede negli States e l' altro nei paesi arabi, ma se dovessero scivolare si ritroverebbero senza un cuscinetto europeo per attutire la caduta. Il mercato bellico non è mai apparso così dinamico: tutta l' Asia è in cerca di caccia, missili, elicotteri, fregate. Se ne ha un' idea dal salone Idex di Abu Dhabi dello scorso febbraio.
Una fiera sterminata, con 1.235 società di 57 paesi che esibivano ogni genere di ordigno. Solo in Medio Oriente l' import è schizzato dal 2012 al 2016 dell' 86 per cento: nel 2015 lo shopping del Qatar ha raggiunto i 17 miliardi di dollari e l' Arabia Saudita ne ha spesi 12. Ma i prossimi budget saranno ancora più ricchi. La concorrenza però è feroce. E c' è una sola certezza: gli affari importanti, quelli che valgono miliardi, sono appannaggio di pochi e non vengono discussi con le aziende ma con gli Stati. Inoltre si tratta di pacchetti completi: oltre le macchine, i compratori chiedono addestramento, assistenza e tecnologia da gestire in patria.
DUE CONTRATTI D' ORO
Per i produttori italiani il presente è roseo. Nel 2015 l' export bellico è arrivato 8 miliardi e 247 milioni, il 197 per cento in più rispetto al 2014, mentre il bilancio dello scorso anno dovrebbe essere altrettanto munifico. Sono stati vinti due contratti d' oro. Quello con il Kuwait per 28 caccia Eurofighter vale circa 8 miliardi (di cui il 60 per cento andrà a Leonardo). E quello con il Qatar per un' intera flotta da guerra: 4 corvette, una nave comando tuttoponte, due pattugliatori, più un assortimento di radar e missili con un importo superiore a sei miliardi spartiti tra Fincantieri e Leonardo. La cura di Mauro Moretti ha rivoluzionato Finmeccanica, tornata al dividendo: conti ripuliti e organigramma razionalizzato nel segno della One Company. Nome nuovo, vita nuova e una serie di piani che ora passano nelle mani di Alessandro Profumo.
Anche Fincantieri ha riscoperto l' attivo e adesso si concentra sulla gara per le fregate australiane da 30 miliardi di dollari. E di questi risultati a cascata beneficiano un migliaio di società, spesso piccolissime, con 159 mila occupati - 80 mila esclusivamente nel militare - che generano 11,6 miliardi di euro di valore aggiunto e garantiscono 4,9 miliardi di entrate allo Stato.
Ma il futuro appare grigio. In teoria, da qui al 2020 c' è una torta che potrebbe toccare i 50 miliardi - tra vendite dirette e licenze - che però va protetta da rivali agguerriti. Una sfida che evidenzia la questione delle dimensioni: Leonardo rischia di essere troppo piccola per sfidare le holding globali come Lockheed, Boeing, Airbus o i colossi statali di Mosca e Pechino. E c' è il peso delle scelte dello scorso decennio, con le risorse maggiori non investite nella ricerca ma nello shopping di altre compagnie negli Usa, rimaste però separate dalle case madri italiane.
Così Fincantieri realizza con Lockheed negli scali del Wisconsin le Littoral Combat Ship per l' Us Navy che poi si ritrovano potenzialmente concorrenti delle fregate made in Italy, mentre i 4,6 miliardi con cui Finmeccanica nel 2008 ha rilevato a carissimo prezzo Drs non gli hanno permesso di accreditarsi globalmente sul mercato statunitense.
Oggi il rapporto con l' America è lo snodo fondamentale. Da vent' anni l' Italia si tiene fuori dai programmi europei prediligendo la collaborazione con Washington. Se l' Aeronautica ha così ottenuto subito mezzi validi a costi contenuti, l' industria ha perso occasioni per alimentare innovazione, allontanandosi dal triangolo aerospaziale che unisce Parigi, Londra e Berlino. Il simbolo è il supercaccia F-35, un progetto Lockheed che sarà il domani dei nostri piloti ma riporta all' altroieri i nostri ingegneri, ridimensionati a sub-fornitori e assemblatori di velivoli Usa.
IL RAPPORTO CON GLI USA
L' analisi di Guido Crosetto, passato da sottosegretario berlusconiano a presidente dell' Aiad, l' associazione delle imprese del settore, è lapidaria: «La nostra industria ha sempre dato molto agli Stati Uniti, ma in cambio ha ricevuto poco o niente», ha dichiarato al sito Analisi Difesa. In America si gioca pure la partita più importante per la produzione aeronautica tricolore: la gara del Pentagono da 16 miliardi di dollari per 350 aerei da addestramento. Leonardo ha uno dei mezzi migliori, erede della leggenda Aermacchi: l' M346 Master, acquisito pure da Israele.
Ma a fine gennaio ha rotto con il partner locale Raytheon: sono pochi adesso a scommettere sulle chance di battere il T-50 Golden Eagle, frutto delle nozze tra Lockheed e la Kai coreana. Sarebbe un bel guaio, visto che l' M346 è stato il perno della strategia di Moretti. Gli altri aerei nel catalogo infatti sono datati. Per quanto aggiornato e potenziato, l' Eurofighter è stato disegnato negli anni '80 mentre l' ultimo prototipo di addestratore - il piccolo jet M-345 - è basato sulla cellula del Siai 211 concepita addirittura negli anni '70.
Certo, ormai velivoli, navi e tank contano meno degli apparati elettronici installati a bordo. E su questo fronte le cose vanno meglio: la scelta di Selex Es - una divisione di Leonardo - di puntare sui radar "piatti" con tecnologia Aesa si è tradotta in ottime vendite. Persino i francesi - i nostri rivali più spietati - hanno scelto per i loro droni il Picosar: pesa solo 10 chili e sorveglia tutto nel raggio di 20 chilometri. Il segno che quando un sistema funziona si riesce a venderlo a chiunque.
CARTE VINCENTI
Eppure ci sono altre carte vincenti che non sono state giocate. Dal 2003 l' azienda di piazza Monte Grappa ha un prototipo unico: un convertiplano, che decolla come un elicottero e vola alla velocità di un aereo. Ma lo sviluppo dell' Agusta-Westland 609 è rimasto fermo fino al 2011 e ha ricevuto impulso solo dal 2015: si spera di completare la certificazione il prossimo anno, dopo tre lustri sprecati. I fondi pubblici si sono rarefatti e sempre più raramente i lenti programmi delle nostre forze armate danno vita a bestseller. Invece un elicottero concepito in casa Agusta come l' AW-139 è stato un successo: pochi giorni fa Piazza Affari ha premiato il nuovo ordine del Pakistan e c' è un accordo con Boeing per proporlo all' Us Air Force.
Chi ha saputo trasformare l' inventiva in un trionfo commerciale, rischiando in proprio, è l' Iveco Defence: ha venduto quasi 4000 esemplari della camionetta Lince, primo veicolo tattico progettato per salvare l' equipaggio dalle mine. La società Fiat adesso punta molto sulle varianti dell' autoblindo Freccia. Il Guarani a sei ruote motrici è stato adottato dal Brasile: una commessa da 2,5 miliardi per oltre 2000 mezzi. E il SuperAv è finalista nella competizione per il blindato anfibio dei Marines americani: il vincitore intascherà mezzo miliardo e credenziali senza pari.
La differenza però viene dagli accordi che impegnano l' intero "sistema paese", coinvolgendo aziende, governo e forze armate. Nel 2009 ci siamo riusciti con gli Emirati: per sostenere l' acquisto di 48 M-346 l' Aeronautica ha persino allestito una copia locale delle Frecce Tricolori, poi è sfumato tutto, pare per l' incapacità di Finmeccanica di mantenere le promesse sulle compensazioni tecnologiche. Con Kuwait e Qatar lo sforzo collettivo sembra andato a buon fine. Mentre l' onda lunga degli scandali ha chiuso le porte dell' India, il maggior acquirente mondiale, incenerendo la prospettiva di commesse per 5 miliardi e mettendo in luce un altro problema.
L' introduzione del reato di corruzione internazionale, unita all' obbligatorietà dell' azione penale, di fatto si sono trasformati in un handicap per le imprese italiane. In campo bellico le tangenti sono un vizio senza frontiere: l' ultimo caso riguarda la Rolls-Royce britannica. Ma altrove le indagini restano segrete fino alla sentenza o vengono bloccate dal controllo governativo sulla magistratura, mentre da noi tutto esplode al primo avviso di garanzia.
IL PESO DEI GOVERNI
Una soluzione possibile è quella di affidare le trattative allo Stato, tagliando fuori mediatori e furbetti. In questi giorni la Commissione Difesa del Senato sta proprio cercando di definire un modello normativo per intese "governo-governo".
«Si tratta di trovare strumenti analoghi a quelli che altri paesi concorrenti hanno adottato e che attualmente li pongono in una posizione di vantaggio sui mercati internazionali », spiega il presidente Nicola La Torre: «Sempre più nazioni infatti invocano la garanzia dello Stato italiano al momento della stipula dei contratti. Per questo occorre implementare un approccio alle esportazioni basato sull' assunzione di responsabilità del Paese, costruendo una credibilità che superi le singole vendite e accordi, con strumenti di garanzia e tutelando a tutto campo l' immagine italiana». Perché in competizioni miliardarie e senza esclusioni di colpi, la credibilità conta quanto la qualità.