Angelo Allegri per “il Giornale”
Quando Vladimir Putin parla di Ucraina, l'ideologia vince sulla razionalità e sulla competenza. Le digressioni storiche dell'articolo che pubblicò l'anno scorso, la premessa dell'attacco di febbraio, furono giudicate, a suo tempo, come l'esercizio di un dilettante un po' approssimativo.
Per il gas è tutto diverso. Di energia Putin si intende davvero. Quando lavorava per l'amministrazione di San Pietroburgo prese un master in Scienze Minerarie: lui, laureato in legge, scrisse una complicata tesi piena di grafici e formule chimiche. Più tardi si scoprì che metà era copiata da un testo americano appena tradotto in russo e che l'altra metà era stata scritta niente di meno che dal rettore dello stesso Istituto minerario (che, poi, non si sa come, si rivelò proprietario di centinaia di milioni di dollari in azioni del maggiore produttore di fertilizzanti del Paese, PhosAgro).
Plagi a parte, racconta l'ultimo biografo di Putin, Philip Short, l'inquilino del Cremlino ha sorpreso in passato più di un interlocutore per la sua perfetta, professionale, conoscenza del settore. Anche per questo una cosa è sicura. Putin sa benissimo che chiudere a oltranza i rubinetti del gas, come Gazprom sembra aver deciso di fare, equivale ad usare la bomba atomica: si può fare una volta sola.
Perso quello che un tempo veniva considerato un fornitore affidabile (perfino nei momenti peggiori della Guerra fredda i leader comunisti si erano sforzati di conservare questa fama) all'Europa non resta che cambiare per sempre fonti di approvvigionamento. Sarà complicato e difficile, bisognerà prima di tutto far crescere i flussi dai fornitori alternativi via gasdotto (dall'Algeria alla Libia) e aumentare la capacità degli impianti di rigassificazione (che rendono liquido il metano per trasportarlo con le navi).
Alla fine gli esperti ritengono che l'Europa potrà riacquistare la sua indipendenza energetica. E sui tempi lunghi il cerino rimarrà in mano alla Russia. Il gas non è il petrolio: per trasportarlo bisogna costruire i tubi. Per andare verso la Cina dai giacimenti che oggi «servono» l'Europa ci vorranno anni, e Pechino saprà a quel punto fare leva sulla sua posizione di forza, riducendo gli introiti di Mosca.
Oppure sarà necessario costruire gli impianti di rigassificazione. Ammesso e non concesso che la Russia abbia la capacità tecnologica di farlo, a chi venderà il gas, visto il regime sanzionatorio sempre più severo? Senza gli introiti del petrolio e soprattutto del gas, la Russia è, dal punto di vista economico, un'entità insignificante: materie prime a parte, negli ultimi anni l'export di Mosca era, fatte le dovute proporzioni, inferiore a quello della scalcinata Unione Sovietica. Senza il gas e il petrolio sui tempi lunghi la guerra è già persa.
Chiudere i rubinetti sembra dunque la mossa del giocatore di poker che tenta di rimediare a una serata sfortunata giocando il tutto per tutto nell'ultima mano. Un gesto temerario, per certi versi disperato. L'Europa ha paura di avere freddo, ma dal punto di vista di Putin, che ha deciso di giocare in un colpo solo tutto quello che gli rimane, la situazione sembra ancora peggiore. Il precario consenso che i russi gli riservano (ammesso che si possa chiamare consenso il silenzio di un popolo che vive in gabbia) si regge su un compromesso: tu non ci coinvolgi nella tua guerra, noi non protestiamo.
Il Cremlino non dichiara la mobilitazione generale, le città rimangono tranquille. Così al fronte finiscono i poveri tra i poveri delle repubbliche più lontane: buriati, dagestani, ceceni, pagati dieci volte lo stipendio medio. Oppure i carcerati a cui viene promessa la libertà in cambio di sei mesi di servizio in trincea.
Putin centro di recupero per volatili in Kamchakta
Ma tutto ciò non basta. E la stessa cosa si può dire delle armi: la Russia non ha la capacità di colmare gli arsenali che si stanno svuotando, i micro-processori delle armi più moderne sono ben al di là delle competenze tecnologiche degli impianti russi. Mosca può solo procurarseli sul mercato nero internazionale e giorno dopo giorno diventa più difficile. A Putin non resta che un giro di carte. E la speranza che l'avversario abbia paura
Putin centro di recupero per volatili in Kamchakta vladimir putin a kaliningrad 2 vladimir putin a kaliningrad 1 vladimir putin a kaliningrad 3