Tobia De Stefano per “Libero quotidiano”
È davvero un peccato che nel maggio del 2018, due settimane prima di diventare premier, l' avvocato Giuseppe Conte non abbia avuto l' accortezza di indagare sui soggetti che si nascondevano dietro a un suo assistito, il fondo Athena. Non solo perché era suo dovere farlo - glielo imponevano le norme sull' antiriciclaggio - ma anche perché ne avrebbe scoperte delle belle.
Si sarebbe reso conto per esempio che in quel momento l' unico finanziatore del fondo di Raffaele Mincione era il Vaticano, che stava "sperperando" circa 150 milioni di offerte dei fedeli per l' acquisto di un immobile a Chelsea (Londra). E magari avrebbe potuto fare pure un po' di indagine storica su quel fondo - non servivano grandi investigatori bastavano delle banali ricerche su Internet - per vedere che Athena era lo stesso strumento finanziario nel quale, qualche mese prima, aveva bruciato un bel po' di milioni la banca popolare di Vicenza.
LA FATTURA DI GIUSEPPE CONTE ALLA FIBER 4.0 DI MINCIONE
Triste storia quella del crac di Bpvi. L' istituto gestito per diciannove anni da Gianni Zonin ha mandato in frantumi le ricchezze di migliaia di piccoli risparmiatori che hanno visto le azioni della banca dissolversi dai 62,50 euro a 10 centesimi. Motivi? Tanti. Dalla mancata vigilanza fino ai prestiti concessi senza controllare la reale consistenza degli beneficiari, per non parlare delle operazioni illecite.
LE BACIATE
Tra le numerose vicende poco chiare c' era il meccanismo delle cosiddette operazioni baciate che ormai erano diventate la prassi. Nella sostanza Bpvi concedeva finanziamenti molto vantaggiosi a clienti "amici" che poi con una parte di quei soldi acquistavano azioni della banca. In questo modo nel bilancio dell' istituto apparivano degli aumenti di capitale dove invece nella realtà c' erano dei debiti. Scontato che un certo punto i nodi sarebbero venuti al pettine e infatti così è stato.
giuseppe conte gualtiero bassetti assisi
Ecco, se il capo del governo si fosse premurato di scoprire che nella storia del fondo Athena c' era stata anche la Popolare di Vicenza forse non avrebbe prestato quel parere legale retribuito "positivo" a Fiber 4.0, società nella quale il fondo Athena di Mincione pesava per il 40%.
A fine 2012 la Popolare di Vicenza - il direttore generale dell' epoca era Samuele Sorato - aveva investito 100 milioni nel fondo lussemburghese del finanziere italo-londinese.
L' operazione rientrava in una politica di "diversificazione" dell' istituto di credito che prevedeva di destinare circa 450 milioni di euro in fondi speculativi.
L' INDAGINE
Sta di fatto che la Bce apre un' indagine sul finanziamento ad Athena - considerandolo un' operazione anomala - e che quattro anni più tardi la Popolare di Vicenza chiuderà quell' affare con una perdita di una ventina di milioni. In sostanza tornano indietro circa 80 dei 100 milioni investiti. Cosa sia stato fatto con quei quattrini non è dato saperlo. Di sicuro ci sono state anche delle operazioni immobiliari e non è da escludere che parte di quella liquidità sia servita a Mincione per comprare l' immobile londinese nel quale poi è rimasto incastrato il Vaticano.
Insomma tutto torna, tranne il comportamento di Conte prima da avvocato e poi da premier. Da legale, infatti, nel rispetto delle norme sull' antiriciclaggio, avrebbe dovuto sapere chi erano i principali quotisti del fondo Athena a cui stava prestando un parere pagato 15 mila euro. Da premier, invece, avrebbe dovuto evitare che tre settimane dopo quel parere il suo governo autorizzasse il golden power su Retelit, proprio in conformità a quello che lui aveva consigliato a Mincione e compagni. Conte si giustifica evidenzindo che non ha partecipato al Cdm incriminato perché era Canada. E quind