Carlotta Scozzari per Dagospia
john elkann e sergio marchionne consegnano la lancia thema presidenziale a giorgio napolitanoAll'apparenza può sembrare che, con l'accordo appena raggiunto col socio di minoranza Veba, Fiat stia comprando la Chrysler, di cui entro gennaio rileverà il 100 per cento. Ma in realtà non è così; è l'esatto opposto. E quindi è la società del Lingotto che viene acquisita da quella statunitense, con tutte le ripercussioni, negative, che ne derivano per il mercato italiano ed europeo, anche in termini di occupazione.
A vedere le cose così è Giorgio Cremaschi, ex presidente della Fiom (Federazione impiegati operai metallurgici) e ora esponente della minoranza congressuale della Cgil "Il sindacato è un'altra cosa".
MONTI-MARCHIONNECome mai, Cremaschi, sostiene che sia in realtà Fiat a essere rilevata da Chrysler?
Essenzialmente per due motivi. Il primo è che tra i due gruppi c'è una sproporzione produttiva a vantaggio di quello americano. E il secondo è che la Fiat ormai da anni ha rinunciato a investire in Italia. Basti pensare al progetto Fabbrica Italia, lanciato in pompa magna dall'amministratore delegato Sergio Marchionne nel 2010, che prevedeva 20 miliardi di investimenti, di cui è stato effettuato meno di un ventesimo.
Insomma, l'Italia conterà sempre meno nel gruppo...
E' così e per rendersene conto basta osservare quel che è successo con Fiat industrial, che ha trasferito all'estero (in Olanda, ndr) la propria sede legale.
Accadrà anche con la Fiat, e dunque con il cuore del business dell'auto?
L'operazione di spacchettamento del gruppo avviata da Marchionne, che va ricordato che paga le tasse in Svizzera (dove è residente, ndr), ha come risultato lo spostamento del baricentro a svantaggio del'Italia. E' successo con la divisione industriale e adesso, con l'operazione Chrysler, si sta discutendo del trasferimento della sede legale della Fiat dall'Italia agli Stati Uniti. Ai francesi di Renault non sarebbe mai venuto in mente, dopo l'acquisizione di Dacia, di spostare la sede in Romania.
Ma da noi, si sa, si ragiona in maniera diversa...
Ma in questo modo, con il centro finanziario e produttivo trasferito oltre oceano, l'Italia per la Fiat rischia di diventare quel che la Opel è per la General Motors: un'area del gruppo di serie B. Il nostro paese diventerà l'unico in Europa, a parte l'Inghilterra che comunque segue dinamiche proprie, senza una propria fabbrica di automobili.
Quindi, l'operazione che porta Fiat al 100% di Chrysler, oltre che il possibile trasferimento della sede legale, potrebbe implicare lo spostamento del baricentro produttivo del gruppo negli Stati Uniti?
Tenderei a escludere che la Fiat non abbia fornito al governo e ai sindacati americani garanzie circa il fatto che la parte del gruppo che conta in termini di produzione sarà negli Stati Uniti.
Che cosa comporterà questa possibilità in termini di occupazione nel nostro paese?
Prevedo inevitabili ripercussioni negative sulla forza lavoro in Italia. A Mirafiori (dove lavorano oltre 5mila dipendenti, ndr), ad esempio, ci sono troppi tecnici e impiegati. Non mi stupirei se entro un anno Marchionne annunciasse degli esuberi adducendo come motivazione lo spostamento della ricerca oltre oceano. Del resto, da noi la Fiat da tempo non studia più nuovi modelli. Per questo l'operazione Chrysler può essere considerata una dismissione sia dall'Italia, sia dall'Europa.
In che senso?
Per essere competitivi in Italia e in Europa bisogna mettere a punto modelli ad altissima tecnologia e ad altissimo risparmio energetico, perché così sarà l'auto del futuro nel vecchio continente. Ma su questo autobus la Fiat non è salita. Più che sulla qualità, ha preferito investire risorse in una operazione politico-finanziaria come quella su Chrysler.
Quindi prevede che se Fiat investirà in ricerca e sviluppo lo farà negli Stati Uniti, dove c'è un mercato dell'auto indubbiamente diverso dal nostro?
Ritengo che se ci sarà innovazione, sarà solo in Usa e per quel mercato.
E in Italia cosa resterà?
Solo briciole. Credo che rimarranno da noi le produzioni di Maserati e Ferrari, modelli peraltro rivolti a un mercato di nicchia. E in ogni caso non mi stupirei se alla prima difficoltà del gruppo Chrysler-Fiat i due marchi venissero usati per fare cassa. A quel punto, l'uscita dall'Italia sarebbe definitiva.