Grazia Sambruna per www.linkiesta.it
A fine anni Novanta sui giovani d'oggi ci scatarrava su. Poi gli è passato il raffreddore. Forse. Manuel Agnelli, classe 1966, è stato tra i protagonisti della prima edizione del Festival di SkyArte a Napoli. Ospite d'onore per parlare di ciò che gli è più congeniale, la musica, il frontman degli Afterhours si è dimostrato abilissimo anche in quello che è il suo secondo talento principale: non suscitare simpatia nel prossimo. Del resto, non ne ha, e probabilmente non ne ha mai avuto, bisogno.
Manuel Agnelli è esattamente come lo si dipinge: l'equivalente del tizio che, nei film d'azione, cammina imperturbabile, come nulla fosse, mentre dietro di lui è esploso un grattacielo. Ma Manuel Agnelli non è un cliché. Scrive e canta per fare male, sapendo chirurgicamente quali tessuti nervosi incidere per ottenere una reazione sincera, vera. Se di repulsione o accettazione, poi, è un problema di chi ascolta.
Di chi ascolta dischi come l'ultimo degli Afterhours, Folfiri o Folfox, di una ferocia lucidissima nel descrivere il dolore. Non ama i Queen, apprezza Bowie - nonostante qualche taglio di capelli del tutto sconsiderato, a suo parere -, depreca i Duran Duran. Forse tanto quanto disprezza la musica italiana che gira sui vostri Spotify negli ultimi tempi. Se tornerà ad X Factor, però, ancora non lo sa. O non può dire di saperlo.
Andiamo con ordine, facciamo incazzare una fazione di fan alla volta. Ti dico solo un nome: Freddie Mercury.
Le cose stanno così: i Queen non hanno cambiato la storia della musica. Sono, anzi ormai erano, quattro talenti straordinari a livello musicale ma non avevano le stesse possibilità di racconto di un Lou Reed, per quanto Lou Reed fosse sicuramente meno dotato a livello musicale. C'è una differenza tra chi ha qualcosa da dire e chi sa come dirlo. Anche perché qualcosa da dire ce l'abbiamo tutti, non è che sia una gran cosa, di per sé.
MICHAEL JACKSON FREDDY MERCURY
David Bowie si è presentato al mondo come messaggero degli alieni, aveva un progetto, un'idea precisa, prima di averne ancora tante altre. In quel periodo storico, in cui a Londra era in atto una grandissima rivoluzione culturale soprattutto dal punto di vista delle libertà sessuali, il suo essere pansessuale raccoglieva un'istanza che gli girava intorno, un'urgenza che la gente avvertiva senza però aver trovato una voce precisa, chiara, per esprimerla pienamente. Ed ecco che arriva Bowie, l'alieno, il messaggero. Perfetto.
Senti, vediamo di essere un po' più pratici: vuoi dire che se a X Factor ti si presenta davanti uno che canta come Freddie Mercury e uno che ti dice di essere un messaggero degli alieni, tu punti tutto sul messaggero degli alieni?
Sì, perché secondo me è molto più importante in questo momento storico rappresentare dei contenuti piuttosto di avere delle doti tecniche o fisiche precise. A meno che non si voglia diventare attori porno.
Per valutare l'opzione ufo, però, dovresti essere a X Factor. Quindi ci torni?
Non è assolutamente detto.
Perché?
Perché...sono solo fatti miei.
Questa l'abbiamo già sentita. Dopo X Factor, punti alla vittoria dell'Isola dei Famosi?
Mi piacerebbe molto ma no, non me ne frega un cazzo.
Torniamo sulle cose che ti interessano, allora, oltre ai Queen hai altri sassolini negli stivali per linciare qualche mito del panorama musicale mondiale?
I Duran Duran. Uno dei gruppi che disprezzo di più sono i Duran Duran. Quando ero ragazzo e volevo prendere in giro qualcuno che suonava gli dicevo "Suoni come i Duran Duran". Ora pare che siano tornati di moda, se ne parla come se fossero stati un gruppo significativo. È inconcepibile: stiamo parlando di un gruppetto di ragazzi che davano più importanza al parrucchiere che ai contenuti. Socialmente hanno rappresentato il vuoto degli anni Ottanta, questo sì, in modo perfetto.
Sono diventati piuttosto famosi, però, se vogliamo proprio stare a mettere quei proverbiali puntini sulle i...
Diventare famoso è l'ultimo dei motivi per cui ho iniziato a fare musica.
E qual è stato il primo?
Il primo era riuscire a trovare un linguaggio per esprimere me stesso. Ero un ragazzo molto introverso e timido, per questo facevo fatica ad essere sincero. Fare musica mi ha liberato perché il palco rappresenta una parte di me che io non posso esprimere socialmente. Una parte violenta, non per forza empatica, forse non del tutto bella in modo canonico. Una parte che però esiste ed è una grande fortuna poterla liberare da qualche parte.
A proposito, possiamo stare sereni sul futuro degli Afterhours?
No. E non avete mai potuto esserlo.
afterhours disco hai paura del buio
Ti andrebbe di argomentare?
La band per struttura è un nucleo di individui giovani e allo stesso tempo è un ambiente protettivo. Due o tre persone che la pensano come te e diventi eroico, puoi fare qualunque cosa, andare in giro per il mondo, contro tutti. Però quando diventi adulto si suppone che un punto di vista sulla vita tu te lo sia costruito, se no sei un imbecille.
O comunque hai qualche mancanza. Le uniche band che stanno in piedi tuttora con membri ultraquarantenni sono formate da gente che lo fa per potersi permettere sei o sette piscine. A me le piscine non interessano. L'anagrafe ti impone delle domande, prima o dopo. Io me le sto facendo adesso.
Questo discorso non suona molto bene.
Suonerà come ti pare ma non vuol dire niente. Vuol dire solo che da sempre e come sempre ci mettiamo in dubbio e non abbiamo ancora finito di farlo. Non per niente sono cambiate venti formazioni nel corso degli anni.
Una cosa che non cambiava quasi mai, quantomeno ad X Factor, erano i tuoi spietati "no" a wannabe cantanti di belle speranze. Anche solo per contrappasso, raccontami di quella volta in cui qualcuno ti ha detto di no, il no più grande...
Il no più grande non lo dico perché non è una cosa pubblica e non voglio mettere in imbarazzo nessuno, men che meno me stesso.
Almeno è stato doloroso?
Sì, molto.
Bene. Allora possiamo accontentarci anche del no che sta sul secondo gradino del podio dei no...
È proprio una cosa di cui non mi va di parlare. I no che ho preso sono stati tantissimi e mi hanno dato fastidio. Dalla sofferenza, però, si impara sempre qualcosa.
Proveremmo a trarre un insegnamento anche dal no che ci stai dando adesso, allora. Non siamo i primi e di certo non saremo gli ultimi. Comunque sì, fa male. A proposito: cosa ne pensi della musica italiana che gira in questo momento?
Mi fa cagare.
Potresti scrivere un manuale di eufemismi. Però la fazione più "indie", se vogliamo ragionare per etichette, al momento sta avendo un ottimo riscontro...
Sì, perché non è indie, è musica leggera italiana camuffata da indie solo perché non è prodotta da una major. Quella roba lì, però, non è indie nei contenuti, non è indie nell'attitudine. Ed è un vero peccato che in Italia funzioni così.
Com'è che funziona?
Qui o sei un tamarro o sei intellettuale, non c'è una via di mezzo. Da noi i Rolling Stones non sarebbero mai nati. Loro sono molto ricercati musicalmente ma allo stesso tempo dei completi debosciati. Per fare il rock'n'roll a certi livelli bisogna essere un po' ignoranti. In questo periodo di crisi per il nostro Paese, poi, dovremmo tornare ad avere più libertà. Il mood ideale sarebbe: "Possiamo fare quello che vogliamo, tanto non funziona niente". Invece la musica italiana finto "indie" che gira adesso è praticamente il peggior Venditti. Anzi, è il peggior Venditti fatto male perché lo fa gente che non sa cantare e non sa suonare.
Stai pensando a qualcuno in particolare?
Sì.
Nomi?
Tutti. Non c'è nessuno che si salvi veramente.
Quindi non possiamo immaginare Manuel Agnelli in casa, con le cuffie, che si ascolta Calcutta o Tommaso Paradiso?
No, non potete immaginare una cosa del genere.
C'è qualcosa che ti piace?
Questa intervista.
E il sarcasmo. Ho letto sul Corriere che da piccolo pensavi che non saresti mai stato felice. Ti sbagliavi?
No.