1 - SEMPRONI E LA NERCHIA
2 - «HO FATTO PURE IL GIGOLÒ», PAROLA DI SEMPRONI
Simona De Leonardis per http://ilcentro.gelocal.it
È diventato un personaggio interpretando se stesso, trainato dalla fama dei suoi tormentoni (da «stai sul pezzo» a ’ndundì) e delle sue invettive (memorabile quella contro i tedeschi “nzapete manghe che è lu timbal”). Sparate che, dagli studi di Telemax, dove l’opinionista Gianfranco Semproni porta avanti da dieci anni la sua trasmissione a “Muso duro” con il giornalista Sergio Mancini, continuano a raccogliere decine di migliaia di visualizzazione su youtube, con commenti da ogni parte del mondo.
Semproni, è finito su Striscia la notizia, su Radio 24 alla Zanzara, ha una pagina facebook come personaggio pubblico, un’altra sui suoi aforismi. È un personaggio, ok, ma ci fa o ci è?
Tutte le battute che faccio mi escono all’istante, non me le scrivono Castellano e Pipolo, mi escono in diretta.
Anche quello sfogo contro i tedeschi? Perché ce l’aveva con loro?
La Merkel ci offese dicendo che eravamo tutti come Schettino e non ci ho visto più. Io sono ancora quello che quando sente l’inno italiano piange, si emoziona, soprattutto quando dice “siam pronti alla morte”. Poi che ne so, c’è sempre qualcuno che appena sente le mie battute le ficca sul computer, che non so neanche usare. Mi dicono che mi cliccano a livello mondiale.
Ma prima di diventare Semproni chi era, che faceva?
È lunga la storia.
Partiamo dalla famiglia.
Padre di Roccamorice e madre sarda, della Barbagia. Papà stava lì a fare il soldato, era bellissimo ma in Sardegna soffriva. Si mise con questa ragazza benestante, che gli assicurava sempre da mangiare, da lavarsi. Ma quando decise di tornare in Continente si trovò i suoi tre fratelli con il fucile puntato dietro il cozzetto, che se la doveva sposare. E suo malgrado se la sposò. Io sono nato in Sardegna, ad Anela, il paese di mia madre in provincia di Sassari. Ho una sorella più grande di due anni. Mia nonna paterna, una D’Alimonte, aveva le poste private e gestiva la zona di Scafa, San Valentino e Roccamorice e quando le Poste divennero statali ottenne di avere un posto per tre generazioni della famiglia. Anche mio padre fu impiegato alle Poste, prima a Bussi, poi a Torre de’ Passeri e poi a Città Sant’Angelo, dove ho vissuto dai 6 ai 14 anni prima di arrivare a Pescara. Solo io non sono voluto entrare alle Poste.
E che cosa ha fatto?
Volevo fare il documentarista. Sono perito fotografo, mi sono diplomato alla Di Marzio. Poi andai a Roma per diventare operatore cinematografico. Tra i miei maestri c’era l’attore Antonio Cifariello. Poi morì e arrivarono persone nuove. E dovetti andarmene.
Perché?
Perché mi successe come succede alle donne. Una checca si era innamorata pazza di me, e alla fine ho lasciato perdere. Però poi successe che in via Veneto mi fermò uno di un’agenzia. Ero un bel ragazzo, mi propose di fare l’accompagnatore delle turiste, donne molto ricche ma di una certa età. Mi davano 250mila lire alla giornata, ci sceglievano sul catalogo, facevo il gigolò. Come Richard Gere nel film American gigolò. Ma il dramma mio è che non accettavo di fare sesso con loro, erano vecchie, 45-50 anni di una volta, mica come quelle palestrate di oggi. E me ne tornai a Pescara.
A fare che?
Feci un colloquio con la Plasmon e presi il lavoro da rappresentante. Andai subito fortissimo: fui premiato a Milano come miglior agente d’Italia, capii che potevo farlo. Poi vennero la Buitoni, Yomo, Perugina, Burgo Scott. Con quest’azienda di pannolini fui premiato all’Empire di New York come miglior agente mondiale per rapporto tra numero di abitanti e vendite. Ho girato l’Italia come ispettore, capo area, direttore vendite, direttore commerciale di tante aziende. Oggi sono in pensione ma lavoro ancora con la partita Iva.
E il calcio che c’entra?
Il calcio è la mia passione. Io stesso giocavo. Ho iniziato con l’Angolana, poi con il Pescara Portanuova, nei Dilettanti. Ma ho fatto pure arti marziali e ho giocato a pallanuoto a metà degli anni ’70. Giocavo con il figlio di Tanino La Porta, con Paolone, Baldacci, i fratelli D’Ercole, c’era Gabriele Pomilio. Ero un nuotatore esperto. Mi piace il mare. Quando ci andavo con mio padre, da bambino, mi diceva sempre che lo dovevo chiamare zio. Era un “acchiappone”, ma aveva ragione, assomigliava a Clark Gable, dieci volte meglio.
E lei, com’è andata con le donne?
Ero un bel ragazzo, mi piacevano. Poi ho incontrato mia moglie, Abelsavia Baldacci, famiglia di protestanti luteranensi, pescarese dei Colli.
Come vi siete conosciuti?
Li so stuppat’ per la strada lungo la salita che da via Ferrari porta a via del Santuario. Siamo stati insieme per un paio di anni ma era molto gelosa, io volevo fare un po’ di esperienza e ci siamo lasciati. Ci siamo rimessi insieme 4, 5 anni dopo nel 1972 e abbiamo avuto nostro figlio Igor.
La carriera televisiva: chi l’ha lanciata?
Enrico Rocchi. 25-30 anni fa telefonavo sempre alle sue trasmissioni, ero molto tosto, e iniziarono a invitarmi. Da lì sono stato dappertutto. All’Aquila, con Giulio Nardi con la trasmissione Stadium erano impazziti ma poi la televisione è stata venduta. Allora mi sono registrato un marchio mio, mi trovo la pubblicità da solo e mi finanzio la trasmissione su Telemax almeno fino a dicembre. Il titolo, a Muso duro, l’ho inventato pure io, ci ho messo 25 secondi.
Ha anche il tesserino da giornalista.
Sì, 3-4 fa ho preso quello da pubblicista quando l’addetta stampa del Pescara non mi fece partecipare a una conferenza di Zeman. Ci rimasi molto male, quella tessera fu una rivalsa.
La prima volta allo stadio?
13 agosto 1960: eravamo andati ad abitare in via D’Avalos, a 200 metri dallo stadio. Da casa si sentiva un macello, scesi, andai, scavalcai l’inferriata e da allora sono sempre andato allo stadio. Sono un tifoso biancazzurro da 55 anni.
Qual è, secondo lei, il più bel Pescara di tutti i tempi?
Quello di Tom Rosati, un grande padre di famiglia, un uomo eccezionale, ci ha portato dalla serie D alla B. È stato il più grande, non esiste paragone. Il suo centrocampo - Orazi, Nobili, Zucchini e Repetto - è stato il più grande di tutti i tempi: con loro ci potevi mettere chi ti pare in campo.
Il giocatore preferito?
Gaudenzi, per forza fisica e onore della maglia. Non ha fatto tanti gol ma quando usciva dal campo aveva la maglia sudata.
Il difetto dei tifosi.
La mancanza di rispetto tra di noi, invece ci vorrebbe per la sofferenza calcistica che ci accomuna. Ma sono contrario ai gemellaggi, sono ipocriti: se ti posso battere, ti batto.
Scaramanzie?
Nessuna.
Fuori dagli studi tv com’è?
Sono buono, caro e meraviglioso, ma se m’accimenti divento di una violenza inaudita. Mi piace il rispetto.
È credente?
Sono un cristiano non cattolico. Cerco di rispettare in tutti i modi i dieci comandamenti, prego ogni giorno.
Ma in tv litiga spesso. O no?
Mai litigato con nessuno. Il fatto è che nello sport non ti perdonano: lo sport vuole da te rinunce, sacrifici, applicazione. Solo dopo ti premia. Se non c’è questo, lascia perdere. Questo pretendo dai giocatori.
Di che partito è?
Sono sempre stato di destra, ma la destra di Almirante. Quando è morto, non mi sono più riconosciuto in nessuna idea. L’unica alternativa adesso sono i 5 Stelle.
Le hanno mai chiesto di candidarsi?
Tante volte, sempre da destra, ma non ho mai accettato. Sono della destra che ama il popolo, quella di Almirante, non di Fini.
Un pregio e un difetto.
Il pregio, l’onestà. Il difetto, non lo so: non bevo, non fumo, non sono invidioso, i sette vizi capitali non ce l’ho. Non ce l’ho un difetto.
Bugie ne dice?
Quelle che non fanno male. Ma nel calcio mai.
Un rimpianto?
Di non aver fatto il calciatore pur avendo tantissime doti. Potevo rassomigliare a Boninsegna. E poi di non aver mai fatto parte di una società di calcio. Io sono di quelli che pensa che se si punta sui giovani, nel calcio si guadagna.
Ma l’espressione “sul pezzo”, da dove arriva?
Dal periodo del militare, nell’artiglieria leggera, a 18 anni e mezzo, a Palermo. Era estate, marciavamo a 50 gradi.
Le hanno mai chiesto l’autografo?
Se avessi preso un centesimo per ogni foto o autografo, avrei un conto in banca che non finisce mai. Ora mi fanno le riprese con i telefonini: i genitori mi mettono vicino il figlio e mi dicono “Digli qualcosa”. Diciamo che per i giovani Semproni è un po’ come Sacco e Vanzetti.
In realtà com’è?
La gente mi vede allegro, gioviale, sempre generoso, ma lo so io quante amarezze, quanti sacrifici: dentro è durissima. Per tanti motivi.
Dica la verità, domani compie 69 anni: per quale squadra tifa, oltre al Pescara?
Solo e sempre Pescara, l’amore si può dare solo e sempre a una persona.