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CIME DI RAPPER - PARLA GUÈ PEQUENO: “LE RADIO TOLGONO SPAZIO AL RAP E PREFERISCONO SPINGERE CANTANTI 70ENNI CHE VENDONO LA METÀ DI NOI. PERCHÉ QUESTO RIMANE UN PAESE PER VECCHI” - GLI SCATTI CON LA MINETTI? STORIA VECCHIA...”

Marco Mathieu per “la Repubblica”

 

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«Piacere, Cosimo», si presenta così, stretta di mano e mezzo sorriso, davanti alla gioielleria che ha appena aperto qui in centro a Lugano. Gué Pequeno, ovvero Cosimo Fini, nato 35 anni fa a Milano. Colori distintivi: nero e oro, ciò che indossa, cappellino, maglietta e tuta, monili e orologio, tutto griffato ( «sono un edonista: mi piacciono le belle macchine, tra le altre cose»), secondo l’estetica del rapper di successo. E scorretto.

 

Perché questo è Gué Pequeno, sia con il Club Dogo (7 album dal 2003), sia come solista (al terzo disco con Vero, in uscita il 23 giugno per Universal/Def Jam e già record di prenotazioni): centinaia di migliaia di copie vendute, attività frenetica («vivo al ritmo dei social, non sto mai fermo ») e una reputazione controversa per gli eccessi dentro e fuori le rime («politicamente scorretto, sempre e per scelta»),

 

nicole minetti pequenonicole minetti pequeno

milioni di visualizzazioni a ogni video pubblicato online , tra ostentazione e spirito imprenditoriale: prima di questo negozio, un marchio di streetwear e l’etichetta (Tanta Roba) con cui ha lanciato altri nomi dell’hiphop italiano (da Salmo a Fedez, per esempio). «Ma dopo il boom degli ultimi due anni le radio italiane sono tornate a limitare lo spazio per il rap: preferiscono spingere cantanti settantenni che vendono metà di noi. Perché questo rimane un Paese per vecchi».

 

Come ribadito in Vero, album segnato da ospiti importanti (Akon e Joke), basi iper-curate. E parole ruvide.

«Un disco crudo, soprattutto per i testi. Ma la mia è un’ignoranza sofisticata: dietro le rime più truci c’è un’elaborazione. Trovo deprimente che in Italia non si consideri la qualità della scrittura, soltanto per l’uso di certe parole. Non puoi leggere le mie rime come testi di un cantautore, senza contare le esigenze ritmiche e fonetiche dell’hiphop ».

nicole minetti gue pequeno vacanzenicole minetti gue pequeno vacanze

 

Rivendicazione di stile?

«Ho lavorato anni per creare il mio lessico, sono quello che dico e non mi importa di piacere a tutti».

 

Nell’immaginario delle nuove generazioni rapper e calciatori sono le vere rockstar...

«Siamo diventati punti di riferimento. Ma non vogliamo essere giudicati per questo. Lavoro con amici che vengono dalla strada, cresciuti con me, nel bene e nel male».

 

Torniamo lì, alla Milano nella quale siete cresciuti.

«Ho vissuto quella città a 360 gradi: dai centri sociali che frequentavo perché mi piaceva il reggae, alle storie criminali, fino alle ragazze ricche che mi hanno introdotto in mondi che nemmeno immaginavo... Diciamo che ho visto tutto».

 

Con una formazione classica, giusto?

«Sì: liceo, poi dodici esami a Filosofia e scuola di teatro. Prima che la strada, l’hiphop e il Club Dogo mi portassero via, da altre parti».

 

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Nella vostra narrazione, sembra esserci un grande assente: la criminalità organizzata. Eppure, su Milano la presa della ‘ndrangheta era forte.

«Se sei un rapper ti ritrovi anche esposto a conoscenze strane, giri l’Italia e magari fai pure pezzi con i neomelodici napoletani. Poi certo, a Milano quella era la situazione, ma...».

Ma?

«Ma un rapper è in realtà un cronista: vive e racconta, la visuale è quella della strada. Se non vivi, le cose non le sai e allora cosa racconti? Quel che è certo è che non voglio essere un mafioso».

 

gue pequeno sul social posta foto da barcellona 0327gue pequeno sul social posta foto da barcellona 0327

Il gossip invece: gli scatti con la Minetti...

«Storia vecchia, quella. Ma esperienza utile, per rendermi conto che in Italia conta più il contorno della musica. Tutti parlano sempre di politica: a me non interessa, non è la mia storia. In questo Paese se sei un artista sembra che tu debba sempre giustificarti, spiegarti. All’estero non funziona così».

 

A proposito: mai cercato dalla politica?

«No e spero che non mi cerchino mai».

Da molti testi traspare un senso di solitudine...

«Ho attraversato momenti difficili ed è vero: i miei pezzi più famosi sono quelli che hanno a che fare con la depressione: toccano l’anima di chi ascolta che ci si riconosce».

Oggi come si sente Gué Pequeno?

«Rispettato. E i soldi non rappresentano più un valore assoluto».

 

Il futuro, quindi?

«Voglio spostarmi, sperimentare altri linguaggi. Il cinema, forse. E altri progetti da imprenditore, ci sto prendendo gusto».

Guardando indietro, invece: cosa manca di quando era un ragazzo?

«Niente, perché in fondo sono rimasto quel ragazzino che ero allora. Prima del successo, prima di tutto il resto. Me lo dicono i miei genitori, me lo ricordano le fidanzate. Ed è vero: sono sempre lo stesso Cosimo».

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