libero de rienzo santa maradona 2
Marco Giusti per Dagospia
"Merde", "Sciacalli", "Fate vomitare", "Cafoni", "Pagliacci", "Lui era gentile e voi carta straccia senza vergogna". "Fate schifo". Questi sono solo alcuni dei commenti su Twitter alla pubblicazione di un'intervista inedita, probabilmente l'ultima, a Libero De Rienzo.
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Anche bella devo dire ("anarchico? No, sono un comunista"). La colpa di "Vanity Fair", che la pubblica solo adesso, leggo uno sciagurato "in omaggio" all'attore scomparso, è non averla pubblicata un anno fa, quando venne fatta e Libero era ancora vivo e vegeto.
Cioè era stata fatta e messa lì a prender la polvere, preferendo magari qualche nome più alla moda, magari vestito Gucci, e tirata fuori solo ora, con queste anche giuste reazioni. Con Libero vivo, mi sa, non sarebbe mai uscita. E sarebbe stato meglio per tutti.
Ora. Mi chiede Dago il perché di questa reazione di tanta gente, attori ma non solo attori, uniti solo generazionalmente, i trenta-quarantenni insomma, alla scomparsa di Libero e all'antipatico trattamento riservato al caso da cronaca della sua morte dai giornali.
Non si rende conto Dago, che non ha certo visto al tempo "Santa Maradona" ne' i suoi film successivi, che molto piu di tanti attori anche celebri e riconosciuti, penso a Stefano Accorsi o a Riccardo Scamarcio, Libero e il suo personaggio di Bart in "Santa Maradona" siano diventati di culto perché rappresentino per quella generazione l'esatta immagine di quel che stavano vivendo e sognando e non è mai stato realizzato.
Una generazione di orfani di tutto, a cominciare dell'ideologia, dal lavoro, passata per le botte di Genova e l'utopia repressa di un altro mondo è possibile che si è presto rinchiusa nel divano di Bart e Libero a far battute, guardare televisione adattandosi al disastro di una giovane borghesia che si frantumava nel precariato più orribile degli anni 2000.
Un precariato che la pandemia di questi ultimi due anni ha solo finito per santificare cone inutile martirio generazionale. Mentre i genitori si adagiavano nei territori ancora riconosciuti, le terribili pagine culturali di Repubblica, il rito serale di Lilli Gruber con Scanzi Travaglio Cacciari.
I talk del dopo Santoro che lanciavano Salvini e 5 stelle. Magari anche il buon cinema di una volta, da Ken Loach ai Dardenne ai bravi borghesi di Nanni Moretti. Niente di tutto questo rappresentava o puo' rappresentare oggi la generazione perduta dei Bart sdraiati sul divano e orfani anche della buona TV degli anni 90.
Che si rifugiano più facilmente nello tze tze antico e popolare di Bombolo, nei vecchi manga che nei mal di pancia morettiani e nei pazzi borghesi urlanti di Muccino, ormai vecchi come un film di Petri Rosi Scola trent'anni fa.
Al di là della cronaca, dello scivolamento nella droga, chi siamo noi per giustificare o spiegare i motivi di una morte prematura, il culto di Bart/Libero è qualcosa che tocca profondamente le corde di un disastro generazionale che non solo è passato sotto i nostri occhi, ma del quale siamo ampiamente responsabili.
A cominciare dalle botte di Genova, dal non rendersi conto di dove stava portando un atteggiamento succube nei riguardi della moda e delle mode, dal non aver cercato di cambiare le brutture della TV e dei giornali, precipitati nel disastro che vediamo tutti i giorni. Libero magari non era il James Dean che pensavano in tanti, ma certo rappresentava perfettamente tutto quello che la sua generazione stava perdendo e che oggi sembra aver irrimediabilmente perduto.
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