1. COME E PERCHÉ DE BENEDETTI HA DECISO DI CHIUDERE L’ERA EZIO MAURO A “REPUBBLICA” 2. MAURO CONTAVA DI RIMANERE AL COMANDO ANCORA UN ANNO, E FORSE UN ANNO E MEZZO. POI UN BEL GIORNO DELL’OTTOBRE 2015, CARLETTO CONVOCÒ UN IGNARO EZIO E GLI SILLABÒ: ORA PUOI ANCHE MOLLARE IL TIMONE DEL GIORNALE. IL SUCCESSORE E' MARIO CALABRESI
Melville per Dagospia
marco damilano ezio mauro carlo de benedetti luigi vicinanza bruno manfellotto
Ahi, poveri repubblicones di ‘Repubblica’ che cercano la quotidiana verità nel mondo, scordandosi di trovare almeno quella che riguarda il loro giornale.
Intanto, la verità non ancora detta è che Eziolo Mauro aveva messo a disposizione il suo mandato già due anni fa. Ma le ballerine condizioni politiche post-Berlusconi indussero Carlo De Benedetti a respingere l’uscita del soldatino di Dronero. Passa un anno, due, poi un bel giorno dell’ottobre 2015, Carletto convocò Ezio e gli sillabò: ora puoi anche mollare il timone del giornale. Amen.
ezio mauro luigi vicinanza carlo de benedetti
Mauro non sapeva nulla, ma proprio nulla, del cambio così repentino alla direzione di Repubblica, il giornale-giocattolo che dopo vent’anni di onorato servizio, abnegazione, ostinazione, sudore della fronte considerava a tutti gli effetti roba sua.
mario calabresi intervistato da ernesto assante e gino castaldofrancesco merlo mario calabresi
La brusca decisione dell’editore-padrone-ingegner l’ha lasciato frastornato per un giorno intero. Ne ha impiegati due a reagire. Lo ha fatto informando i suoi vice alla mattina e alla sera correndo da Fazio per dire alla vasta platea di Raitre, dentro la quale ancora qualcuno legge ‘Repubblica’, che era stato lui – lui personalmente, il Direttore - a prendere in solitudine la decisione dell’addio, ci mancherebbe, anzi era impaziente di farlo.
Di più: il 14 gennaio il giornale festeggerà i suoi primi quarant’anni, eccetera eccetera. E aggiungendo che per la successione aveva indicato a De Benedetti “i nomi dei miei dodici collaboratori” (dodici!) un po’ come quel tale all’ultima cena.
Ma senza dire – se tutto era partito da lui - come mai quei dodici nomi fossero rimasti lettera morta, poveri apostoli, surclassati dal santo prescelto Mariopio Calabresi, narratore di fabbricazione democristiana, alfaniano di fede, renziano di rito e di fatto.
Fazio Fabio non ha chiesto ragione dell’incongruenza. Ezio Mauro non l’ha spiegata. I motivi dell’addio non si sono capiti, né si è capita l’urgenza. Ma la recita è filata liscia. Poi c’è stata l’altra triste performance dell’antico Scalfari dalla Gruber, ma di quella ne parleremo un’altra volta e con tutta la grazia necessaria. In realtà CDB, sapendo già la risposta negativa, non ha chiesto a Mauro, né tantomeno a Scalfari, se erano d’accordo sul suo successore prescelto.
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Non solo. La decisione di De Benedetti di estromettere Ezio Mauro covava dal 2008, quando voleva allontanarlo in coppia con lo storico, onnipotente, amministratore delegato del gruppo Marco Benedetto che volò via dopo ventiquattro anni di duro lavoro, sostituito da quell’altro fiorellino di Monica Mondardini, regina delle umane relazioni.
Per tante ragioni politiche Mauro risultò inamovibile, era ben protetto, il giornale andava ancora benino, si era appena insediato il quarto governo Berlusconi e la defenestrazione di Mauro sarebbe sembrata una resa al Puzzone di Arcore.
L’ingegnere si sentiva già con le spalle scoperte e non aveva voglia di aggiungere un nemico alla sua lista.
Stavolta la scelta di farlo così all’improvviso è volata molto al di sopra della testa di Mauro, direttamente all’altezza degli occhioni innocenti di John Elkann a cui non sembrava vero di mettere una scarpa traforata Church dentro ‘Repubblica’, vedi mai in futuro, quando ci infilerà anche il portafoglio e la testa, visto che aveva appena scoperto di non contare nulla dentro al Corriere della Sera, in cima al quale la banda Bazoli-Della Valle aveva fatto accomodare un tale Fontana Luciano pescato direttamente nei corridoi dove da anni galleggiava in un operoso silenzio.
Ignaro di quel che accadeva alle sue spalle Ezio Mauro aveva dimenticato di aver messo a disposizione il suo mandato due anni prima e contava di rimanere al comando di Repubblica ancora un anno, e forse un anno e mezzo.
Lo diceva apertis verbis a scanso di equivoci. E nessuno dei numerosi pretendenti che gli volavano in cerchio osava fiatare, neppure il loquace Federico Rampini sempre spolverato d’azzurro dai suoi amati parrucchieri.
Non avendo al fianco un erede eccitato dal potere di carta, De Benedetti voleva e vuole un’alleanza con i riccioli di Elkann e le spalle di Marchionne. Esci dal Corriere, gli ha consigliato, comprati una quota di “Repubblica”, solo una quota così da evitare l’antitrust, finché non si troverà il modo di scorporare i quotidiani della Finegil, e facciamo un patto: quando la mia corsa sarà finita, diventerai unico proprietario del Gruppo. E nell'attesa, la nomina di Mario Calabresi è il ponte perfetto per il matrimonio Elkann-De Benedetti.
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