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DE GUSTIBUS: LA STORIA SOCIALE DELL’ITALIA ATTRAVERSO IL CIBO - DALLA PAPPA DEI GLADIATORI ALLA RIVOLUZIONE DI ARTUSI: ARRIVA IN TV IL PROGRAMMA DELLO STORICO INGLESE JOHN DICKIE: "OGGI SI GUARDANO TROPPO I CUOCHI IN TIVÙ E SI CUCINA DI MENO”

DICKIEDICKIE

Egle Santolini per “La Stampa”

 

Non prendetelo per il solito show di cuochi spadellatori. Perché, se è vero che a un certo punto (seconda puntata) Fulvio Pierangelini riproduce un manicaretto rinascimentale, se nella quinta addirittura spunta Bruno Barbieri di «Masterchef», però a cucinare con un budget da soglia di povertà, e se è innegabile che le incursioni ai fornelli più disparati punteggino il programma, «De Gustibus» di John Dickie, dal 1° gennaio alle 22 su «History» per sei venerdì, è una storia sociale dell' Italia attraverso il cibo.
 

Raccontata da uno scozzese cresciuto nel Lancashire, docente di Studi Italiani alla London University, che del nostro Paese, da lui definito «bello ed esasperante», è caduto innamorato negli Anni Ottanta; e che dopo aver dedicato libri e corsi alla criminalità organizzata, al nazionalismo,

 

alla rappresentazione del Sud, ha intrapreso il viaggio nelle tavole degli italiani con un mix perfettamente britannico di humour e autorevolezza accademica. Basandosi su un altro dei suoi volumi, intitolato «Con gusto» nell' edizione italiana (Laterza) e «Delizia!» (proprio così, e col punto esclamativo) in quella inglese.
 

JOHN DICKIE JOHN DICKIE

Il punto di osservazione è quello «di uno che fino ai diciott' anni non aveva mai assaggiato né l' olio d' oliva né l' aceto di vino. Tutto quello che so di cibo l' ho imparato nel vostro Paese. A cominciare da Torino, dove sono stato da ragazzo, in epoca Juventus di Platini. Se lo immagina l' impatto della bagna caôda su un provinciale come me? ». Ma Dickie ha imparato in fretta, «in un percorso insieme personale e accademico».

 

La pappa dei gladiatori

Soprattutto, l' ha sostenuto una curiosità inarrestabile. Quella che per esempio gli fa chiedere, e siamo solo alla prima puntata, che cosa diavolo mangiassero i gladiatori prima della fatale esibizione (risposta: una pappa di cereali e poco più, non valeva la pena di sprecare proteine animali per i morituri).

 

O quanto ci sia di vero nello stereotipo da peplum hollywoodiano del patrizio stravaccato sul triclinio con il grappolo d' uva (poco; e bocciato come storicamente inattendibile anche il ricorso al vomitarium).
 

DICKIE DEGUSTIBUSDICKIE DEGUSTIBUS

Si passa poi all' influenza della Chiesa sui menu, dall' ossessione per i giorni di magro alle raffinatezze vaticane, alle corti estensi e bolognesi con le loro sciccherie intrise di violenza, alla Napoli dei magnamaccheroni, via via fino all' Italia unita e alla rivoluzione di Pellegrino Artusi, il vero fondatore della cucina nazionale, «il primo a ricomporre il mosaico, e anche il primo a dare spazio alla sapienza culinaria delle donne». Per poi affrontare le autarchie e le ristrettezze della guerra, fino alla rinascita anche alimentare del boom.
 

L' elemento unificante

Nella convinzione che, lungo i secoli, il cibo è stato l' elemento unificante, «all' incrocio perfetto di politica, cultura, economia, spettacolo. La pasta è la metafora migliore dell' identità nazionale, nella grande bipartizione geografica tra fresca, con Bologna al centro, e secca, lungo la dorsale tirrenica fra la Liguria e il profondo Sud. Pensi ai maccheroni mangiati con le mani dal Re Lazzarone per farsi vedere vicino al popolo, pensi a quelli regalati da Achille Lauro a fini elettorali».
 

Notevole, poi, come quella che è di certo la cucina più imitata al mondo sia stata considerata fino a Settecento inoltrato come pessima, se non rivoltante: «Ed è tutta responsabilità degli aristocratici inglesi del Grand Tour, che arrivavano a Roma sentendosi gli eredi dell' impero romano, ma schifavano i cibi di strada troppo unti». Eppure il biscotto Garibaldi, sconosciuto da noi, è un' invenzione inglese a base di frutta secca, battezzato in onore all' Eroe e uno dei pochi reperti di cucina risorgimentale.

DE GUSTIBUSDE GUSTIBUS

 

Eppure - ironizza Dickie - «fino a pochi anni fa, dagli spot che nei Paesi anglosassoni pubblicizzavano prodotti alimentari italiani, il Paese risultava abitato per il 95 per cento da contadini e per il restante 5 per cento da gondolieri». «De Gustibus» aspira a spazzare via un po' dei pregiudizi residuali, visto che è destinato anche al pubblico di lingua inglese. Per concludere l' affresco, Dickie, che ne pensa della gastromania dei nostri giorni? 

 

«L' orizzonte è contraddittorio, come spesso capita. La mediatizzazione di sicuro aiuta a radicare l' apprezzamento per il cibo, anche se non mancano gli eccessi. Si va in caccia della sagra inesistente del fagiolo, ma l' impressione è che più si guardino i cuochi in tivù e meno si cucini». Messa così, sa un po' di pornografia.

 

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