ECCEZZIUNALE VERAMENTE - ABATANTUONO: “NON VINCO MAI UN PREMIO MA NON HO RIMPIANTI. LE CARRIERE BELLE SONO QUELLE CHE DURANO E IO SONO SU PIAZZA DA 40 ANNI’’ - “STRAORDINARIO TROISI, NON CONOSCEVA L’INVIDIA DEL CINEMA, DELL’OSCAR A ‘’MEDITERRANEO’’ ERA PIÙ CONTENTO LUI DI NOI”
Valerio Cappelli per “il Corriere della Sera”
Il festival del cinema di Roma fa un’inversione a «U» e inchioda davanti a Diego Abatantuono. Da Aspettando il mare dell’impronunciabile regista Bakhtiar Khudojnazarov, nato nel Tagikistan, a Soap Opera del milanese Alessandro Genovesi. Come a dire, dalla Corazzata Potëmkin a un film leggero italiano. Abatantuono è uno dei protagonisti (con Fabio De Luigi, Cristiana Capotondi, Chiara Francini, Ale e Franz) del film che il 16 ottobre apre la rassegna. «Ma non bisogna essere diffidenti verso la nostra commedia, vedrete che non è del tutto tradizionale, per la storia e per il tipo di umorismo».
Quante volte ha indossato la divisa al cinema?
«Tante. Ho fatto Carabbinieri , Il commissario Corso ... Meglio la guardia o il ladro? Dipende dal film. Tra le mie esperienze più belle, metto “Il giudice Mastrangelo” e Io non ho paura , dove sono cattivissimo. Il personaggio che mi piace di più è il cialtrone, in senso buono, che mi riporta a Sordi. L’ho fatto spesso con Gabriele Salvatores».
Hanno detto che, per la sua aria monumentale e fragile, lei può ricordare Vittorio Gassman.
«Mi ha fatto molto piacere anche se non sono stupido, la tara la metto da solo. Non sono di quelli che dicono: Totò mi considerava il suo erede. Tanto non può smentire. Però Gassman era molto carino con me.
Abbiamo avuto un periodo storico di registi, attori e sceneggiatori impareggiabile nel mondo: nessuno, della mia generazione, può competere con loro, e naturalmente aggiungo Mastroianni e Volonté. In America, col bacino che ha, c’erano solo Jack Lemmon e Walter Matthau. E Jerry Lewis, che è un’altra cosa, lo vedevo da bambino».
Claudio Bisio ricordava giorni fa il divario tra il cinema popolare e i festival.
«Sono andato a Venezia diverse volte. Con Regalo di Natale di Pupi Avati mi dicevano che avrebbero dato un ex aequo a me e a Carlo Delle Piane: vinse lui. Anni dopo, con Il Toro di Mazzacurati, stessa storia: vinse Roberto Citran. Per amore, solo per amore di Veronesi ebbe 12 nomination ai David: io ero San Giuseppe e Penelope Cruz la Madonna. Il premio lo diedero a Haber, che faceva il mio servo muto. Nirvana , stesso numero di nomination, vinse il fonico».
Tirando le somme...
«Mi ritengo contento, non ho rimpianti. Sono su piazza da 40 anni, sto arrivando ai 60. Le carriere sono quelle che durano. Ho fatto film comici e drammatici, le commedie brillanti, il ciclo con Salvatores. Il cruccio è quando non lavori, se non ritiri un premio, pazienza».
Virzì ce la può fare agli Oscar?
« Il Capitale umano è un bel film, fare pronostici è difficile, glielo auguro, anche a Fabrizio Bentivoglio, l’unico del gruppo di Salvatores che non c’era quando prendemmo l’Oscar per Mediterraneo ».
Lei andò a Los Angeles?
«Andammo tutti. Stavamo girando Puerto Escondido in Messico, il produttore Maurizio Totti generosamente interruppe le riprese per qualche giorno. Eravamo in forma, abbronzati, c’era una bella allegria. Negli ascensori degli hotel di Los Angeles entrano 30 persone, pieni di attori. Vidi Burt Reynolds, all’epoca era una star. Si ventilava che avesse il parrucchino e che fosse omosessuale.
In testa, effettivamente, portava una specie di banana aperta. Mi sorrideva come se mi avesse riconosciuto, guardandomi dall’alto in basso. Mi sono chiesto, possibile che abbia visto Attila ? Mi giro e non vedo nessuno. Mi rigiro una seconda volta e alle mie spalle mi accorgo della presenza di Danny DeVito, che non è un gigante. Allora ho capito, mi ero fatto un film in testa, Burt Reynolds guardava lui, si conoscono, sono amici. Ho altri aneddoti di quei giorni».
Ce li racconta?
«Mi ero rotto un dito. Chiunque mi desse la mano, mi piegavo in avanti, e la cosa veniva percepita come un gesto di sudditanza. La verità è che ero piegato dal dolore. Poi ci raggiunse Massimo Troisi, stavamo pensando di fare un film insieme, la storia di due camerieri bloccati in un ristorante da una banda. Massimo era una persona straordinaria, non conosceva l’invidia del cinema, dell’Oscar era più contento lui di noi».
A 60 anni si fanno i bilanci.
«Oh, ne ho 59, a quest’età gli anni si centellinano. Se mi rivedo? Sì, capita, ne danno tanti in tv. Talvolta mi prende un po’ di malinconia. Ho messo da parte la diffidenza per la tecnologia e ho creato un bel sito, parlo di cucina e di calcio, i miei figli da piccoli. Non riesco mai a pensare a un film, ma a come eravamo».