FACCE RIDE - LA APPLE PRESENTA LE EMOJI (FACCINE) MULTIRAZZIALI E I CINESI S’INCAZZANO: NON SIAMO MUSI GIALLI. IL “POLITICALLY CORRECT” CORRE PIÙ VELOCE DEGLI SMARTPHONE - CI SARÀ LA COPPIA GAY, MA GIÀ SI LAMENTANO LE DRAG QUEEN BARBUTE STILE CONCHITA WURST
1. LA COPPIA GAY E LE FACCINE MULTICOLORI: ORA L’EMOTICON È POLITICALLY CORRECT
Enrico Franceschini per “la Repubblica”
Il nostro alfabeto si arricchisce di nuovi termini: uomo bianco, donna bianca, uomo nero, donna nera, uomo asiatico, donna asiatica, uomo ispanico, donna ispanica, e poi famiglia composta da due papà gay e un bambino, famiglia di due mamme lesbiche e un bambino, per citarne qualcuno. A leggerli non ci vuole il tempo che avete impiegato ad arrivare fino a qui, ma molto meno: perché sono emoticon, non parole.
Riproduzioni stilizzate che esprimono emozioni, come le definisce il dizionario. La Apple le ha presentate al mondo, per ora in fase “sperimentale”, che non si capisce bene cosa significhi: forse teme che possano essere fraintese? Lo scopo è rendere le “faccine” più etnicamente e sessualmente diversificate: insomma, politicamente più corrette.
Magari qualcuno troverà da ridere sulla gamma dei colori selezionati, dal nero a un allarmante giallo itterizia: i colori sono basati, tuttavia, sulla “scala Fitzpatrick”, creata da un dermatologo di Harvard e internazionalmente riconosciuta. Dovremmo dunque celebrare l’evento, come commenta la stampa londinese, osservando che ormai siamo tornati al linguaggio dei segni, ai geroglifici: con uno smartphone fra le mani, si può scommettere che Cleopatra si troverebbe presto a suo agio.
Del resto è di qualche settimana fa la notizia che l’emoticon del cuoricino è l’espressione più popolare e più digitata del web, seguita a ruota dal sorrisino. Nei messaggini telefonici e sui social network, c’è chi comunica esclusivamente così, trovandosi benissimo a esprimere emozioni, ma pure concetti o sciocchezze, con una sfilza di iconcine: cuori, sorrisi, stelline, bottiglie di champagne, fuochi d’artificio, linguacce e chi più ne ha più ne metta.
In effetti se andate su Wikipedia alla voce di questo che sta diventando – altro che esperanto o inglese – il linguaggio universale del ventunesimo secolo, trovate un alfabeto così lungo che al confronto imparare il vecchio, antidiluviano “dalla a alla zeta” è un gioco da ragazzi. Esiste un sito, emojitracker.com per sapere in ogni dato momento quanti e quali faccine vengano usate su Twitter, sebbene non sia immediatamente chiaro che cosa fare di una simile statistica.
E in America esiste un signore, un certo Fred Berenson, che ha assoldato una squadra di scrivani (di emoticon, s’intende) per riscrivere tutto “Moby Dick” da cima a fondo soltanto con faccine: anche se il famoso incipit di Melville, “Chiamatemi Ismaele”, nella nuova versione rischia di essere letto come “Telefono-uomobaffuto- yacht-balena-okay”, ed è dubbio che avrebbe lo stesso successo.
Più o meno seriamente, in ogni modo, il mese scorso il quotidiano Guardian ha “tradotto” in emoticon l’intero discorso del presidente Obama sullo stato dell’unione; e qualche giorno fa il ministro degli Esteri australiano Julia Bishop ha risposto a colpi di emoticon alle domande di un’intervista scritta. Non è stato affatto difficile. Come sono i rapporti con gli Usa? Sorrisino. Che pensa di Vladimir Putin? Broncio. Ha qualche irrinunciabile vizio privato? L’icona di tacchi a spillo e quella dei biscotti “brownie” al cioccolato.
In attesa che fra qualche mese, terminata la fase sperimentale, entrino sul web i nuovi emoticon politicamente corretti, diversificati per razza e orientamento sessuale, già si levano richieste di ulteriori addizioni alla lingua digitale: quanto dovranno aspettare gli uomini e donne con i capelli rossi? E gli uomini con la barba? E le drag queen barbute come Conchita Wurst? E gli hipster? E Kim Kardashian? Abbiate pazienza: avanti di questo passo e prima o poi ci sarà una faccina per ciascuno di noi. Speriamo soltanto che fra cinque-seimila anni qualcuno ritrovi una qualche “stele di Rosetta” per interpretare i nostri geroglifici. E per capire come comincia “Moby Dick”.
2. CON QUELLE ICONE È CAMBIATA LA COMUNICAZIONE
Stefano Bartezzaghi per “la Repubblica”
EMOTICON depositphotos Emoticons emotion Icon Vectors
Estensione del dominio delle emoticon: così si potrebbe intitolare la cartella in cui archiviare gli aggiornamenti sull’argomento che giungono di continuo. Dalle prime faccine stilizzate, assemblate con segni di interpunzione, sino agli emoji. che sono figurine vere e proprie e belle e buone, non è cambiato poco. Il colore segna l’ulteriore distacco dalla scrittura verso gli orizzonti della figura. Inoltre è diventata più ampia la disponibilità di tastiere a loro volta sempre più ampie, tavolozze con cui dare appunto tocchi di colore al bianco e nero delle nostre parole.
Così quello che all’inizio pareva più che altro un linguaggio adolescenziale ora è entrato in un uso (quasi) generalizzato. Capita cioè di leggere messaggi corredati di emoticon e inviati dai più austeri corrispondenti. I primi sms (o analoghi) composti da soli emoji sono pure già arrivati, e hanno mostrato come la successione di figure non sia affatto di più agevole lettura della scrittura ordinaria, ma richiede un minimo di arguzia.
In questo processo di diffusione e allargamento di questi conviventi figurativi della scrittura era tutt’altro che inaspettata la comparsa di faccine non bianche. L’Italia vive ancora nell’illusione che la pelle bianca sia lo standard, ma nelle altre culture, e innanzitutto nelle anglosassoni, il melting pot è una realtà banale (anche se tutt’altro che priva di problemi). Il successo di ogni linguaggio è funzione dell’estensione delle cose che si possono dire e rappresentare per suo tramite.
Non è cioè affatto una questione di politicamente corretto (o di «Pittore ti voglio parlare, mentre dipingi l’altare», per chi si ricorda), ma di linguisticamente efficace. E ora possiamo farne un uso più esteso, con il permesso di Apple e delle altre entità che ci consentono questo genere di espressione. Con l’avvertenza che la parola scritta, rispetto agli emoji, non ha bisogno di qualcuno che l’abbia formata prima per noi.