GIANLUCA NERI, GUIA SONCINI E SELVAGGIA LUCARELLI RINVIATI A GIUDIZIO CON L’ACCUSA DI ESSERE ENTRATI NELLA POSTA DI FEDERICA FONTANA E AVER TRAFUGATO, TENTANDO DI VENDERLE, LE FOTO DEL COMPLEANNO DELLA CANALIS NELLA “VILLA OLEANDRA” DI CLOONEY
1 - “RUBAVANO FOTO E GOSSIP DALLE MAIL DEI VIP”, A PROCESSO SELVAGGIA LUCARELLI E GUIA SONCINI
Dove andavano a raccogliere le chicche più squisite del gossip, tra il 2010 e il 2011, le blog star italiane Selvaggia Lucarelli, Guia Soncini e Gianluca Neri alias Macchianera? In un nascondiglio molto fecondo e troppo segreto, almeno per la legge: la memoria dei telefonini che anche per i vip dovrebbe restare un fortino inespugnabile.
Stando al decreto di citazione firmato dal pm di Milano Grazia Colacicco che li ha mandati a processo, i tre giornalisti e blogger riuscivano a intrufolarsi nell’intimità dei vip ottenendo “fraudolentemente” codici e password, operazioni facilitate da domande segrete a basso livello di protezione per il recupero delle parole chiave (in un caso: “Come si chiama il tuo animale domestico?”).
Il cuore dell’inchiesta sono 191 fotografie scattate durante il party per il 32esimo compleanno di Elisabetta Canalis nella sfarzosa Villa Oleandra di George Clooney, sul lago di Como. Gli imputati entrano in possesso delle immagini tentando di venderle a un noto settimanale al prezzo di 120mila euro ma non riescono a chiudere l’affare perché qualcuno avvisa l’allora fidanzata del divo che sporge denuncia al commissariato Garibaldi / Venezia di Milano.
Nel processo davanti al giudice Stefano Corbetta dell’XI sezione penale, accanto alla Canalis sfileranno altre parti offese da copertina di cui gli imputati avrebbero letto le mail come se fossero una golosa rivista di pettegolezzi da sfogliare.
I blogger, si legge nel capo d’imputazione che Giustiziami vi permette di consultare (Blog star) , “al fine di procurare a sé o a altri un profitto consistente nella vendita di fotografie e di informazioni o conversazioni personali di cui erano venuti a conoscenza o comunque al fine di arrecare danno a Elisabetta Canalis e alle persone di seguito indicate, si procuravano, rispondendo alla domanda segreta per la password, i codici di accesso dell’indirizzo di posta elettronica di Federica Fontana, Mara Povoleri (Mara Venier, ndr), Sandra Bullock, Scarlett Johansson e altri”.
In particolare, il profilo di Federica Fontana veniva considerato un pozzo di segreti: gli imputati “lo monitoravano, ottenendo così indebite informazioni a loro non dirette, tra le quali l’indirizzo web, il nome utente e la password di accesso alla galleria fotografica che conteneva immagini della festa privata per il compleanno di Elisabetta Canalis”. In seguito Lucarelli, Neri e Soncini, sempre stando alle accuse, “fraudolentemente intercettavano comunicazioni relative a un sistema informatico o telematico e ne rivelavano in parte il contenuto.
In particolare, avendo fraudolentemente ottenuto gli accessi a vari account di posta elettronica, ne monitoravano la posta in entrata utilizzando un apposito account di posta elettronica come collettore unico di tutta la corrispondenza intercettata”.
I tre dovranno difendersi dalle accuse, a vario titolo, di concorso in intercettazione abusiva, accesso abusivo a sistema informatico, violazione della privacy, tutti reati aggravati dall’aver tentato di lucrarci. Il 19 luglio via al processo. Spegnete i computer e venite in aula.
2 - LETTERA DI SELVAGGIA LUCARELLI A DAGOSPIA
Leggo titoli fantascientifici su un processo legato a una vecchia indagine che purtroppo mi ha coinvolta nel 2011 e di cui spesso ho parlato a amici e giornalisti in questi anni, senza alcun problema. Tutto quello che è accaduto è che io all'epoca mi sono vista recapitare le foto di un compleanno della Canalis a casa Clooney. Non ho mai chiesto e ricevuto un euro da nessun giornale, rivista o editore, nè per quelle foto nè per qualsiasi altra foto o notizia in altri periodi.
GEORGE CLOONEY E ELISABETTA CANALIS
Non c'è mai stata neanche alcuna trattativa che mi abbia riguardata. Ci sono state perquisizioni, sequestri e intercettazioni come se fossi entrata in possesso di informazioni riservate alla Cia, ma negli atti non c'è un passaggio in cui risulti che io abbia mai venduto o contrattato una notizia o una foto. Dalle carte risulta in verità che la persona che le ha tentate di vendere abbia un nome e un cognome.
Lo ha ammesso sia la persona stessa che il giornale che ha trattato con lui, non capisco come mai questa persona sia stata poi estromessa dall'indagine. È agli atti, non è una mia versione, così non fosse verrei sbugiardata. Misteri della giustizia italiana. Aggiungo che non ho mai violato un account di posta elettronica in vita mia, neanche quello di ex fidanzati (purtroppo, perché mi sarei risparmiata un sacco di sorprese in seguito) e che da miei telefoni e computer non è risultato alcun accesso abusivo su altri computer o telefoni.
Non sono capace neanche di fare un aggiornamento al computer, chi mi conosce lo sa, figuriamoci se potrei mai essere un hacker. Questo è tutto. Da qui è partita l'indagine. La Soncini, con la quale secondo i giornali avrei messo in piedi una specie di associazione a delinquere, non l'ho mai sentita in vita mia ne' al telefono nè via mail. Chi ha analizzato computer e telefoni dovrebbe averlo notato che non siamo mai entrate in contatto in 40 anni. Non ho neanche mai avuto il suo numero di cellulare.
A dirla tutta mi sta anche sulle palle e credo sia un sentimento reciproco, come parecchi amici della rete avranno notato visti i suoi continui attacchi. Aggiungo che alcune delle persone citate come parte lesa (ad esempio la Venier) conoscono questa vicenda, hanno letto la mia posizione e si sono sentite così lese da essersi rifiutate di sporgere querela. La verità la stabilirà il processo. E ora scusate ma devo hackerare la posta di Ryan Gosling.
3 - LA VOLTA IN CUI SUONARONO ALLA PORTA ALLE 7 DEL MATTINO, ANDAI A SENTIRE CHI ERA, E DA DIETRO LA PORTA RISPOSERO: “POLIZIA”
Gianluca Neri per il suo blog, www.macchianera.net
AVVERTENZA: Questo è un post-in-progress. Significa che lo sto scrivendo mentre lo stai leggendo. Se ricarichi la pagina è possibile che ci sia roba nuova.
Per chi ha tanta voglia di leggere una cosa lunga e noiosa tanto quanto io ne ho di scriverla, ecco il succo: certo, come no. E poi andavamo anche a spiare gli Snapchat di Topo Gigio e le bollette di Justin Bieber.
Era una mattina di dicembre qualunque di un anno qualunque (credo il 2011) ma me la ricordo per due motivi: il primo che è era l’ultimo giorno lavorativo prima del ponte di Sant’Ambrogio. Il secondo è che avevo nuovamente trascorso la notte in piedi a causa dell’insonna e stavo trascorrendo il tempo che mi separava dalla prima agognata botta di sonno guardando un telefilm orrendo (qui c’è la confessione più imbarazzante di questo pezzo: si trattava di “Heart of Dixie”; eh, lo so, lo so, me ne vergogno abbastanza già da solo).
Alle 7:01 in punto qualcuno suona al campanello della porta di casa. Che è strano. Non solo per le sette del mattino, ma soprattutto per il fatto che, per arrivare alla porta bisogna superare un cancello e una porta a vetri che non si aprono se non citofonando. Ma vabbé. Mi accosto alla porta e chiedo chi è, e la risposta non è di quelle che ti aspetti a meno che, appunto, tu non sia un personaggio di un telefilm. La voce dietro la porta dice: “Polizia, signor Bianchi, deve farci entrare”. Non hanno sbagliato nome. Sono io, il signor Bianchi, Gianmaria Bianchi: cercano proprio me.
Quindi apro. E quindi mi trovo davanti tre agenti in borghese capitanati da un signore brizzolato dai modi piuttosto gentili, che devo ringraziare per aver compreso subito che in quella casa abitava una famiglia e, nella fattispecie, anche un neonato addormentato nella sua cameretta, e cercato di fare quel che doveva in un modo abbastanza discreto.
La prima cosa che mi disse fu:
– Lei è un fotografo.
– No.
– Lei non è un fotografo?
– No, non sono un fotografo.
– Io devo sequestrarle le macchine fotografiche e i teleobiettivi.
– Guardi: Gianmaria Bianchi sono effettivamente io, ma deve esserci un errore, perché io non sono un fotografo.
– Noi però cerchiamo un fotografo.
– Eh.
– Lei ha delle macchine fotografiche?
– Sì, ho questa piccola digitale che utilizziamo in famiglia e questa giocattolo, ma che fa foto per davvero, per il bambino.
– Gliele devo sequestrare.
– Eh, va bene.
– …
– …
– Senta: inutile che ci giriamo intorno: noi stiamo cercando delle foto. Delle foto dell’attore Giorgio Clone a villa… villa… Gelsomina, sul lago di Como.
– Uhm, ho capito. Sì, sono lì, su quel computer, in una cartella di un programma chiamato Dropbox.
– Me le faccia vedere.
E qui la storia deve fermarsi un attimo. Perché ce le ho, quelle foto? Lo dico subito agli agenti e lo ripeterò successivamente in questura: parecchi mesi prima le trovai in un file zip condiviso da qualcuno su 4chan, in un periodo in cui era un pullulare di frequentatori del sito che condividevano e-mail, documenti e foto di svariate personalità hollywoodiane che avevano in qualche modo hackerato. Nella fattispecie, il link su cui io avevo cliccato faceva parte di uno stralcio di una e-mail che la showgirl Fernanda Sorgente aveva inviato alle proprie amiche allegando una larga quantità di foto scattate appunto presso la villa Gelsomina in occasione del compleanno della sua amica e collega Emanuela Banalis in compagnia del suo fidanzato nonché padrone della villa, il famoso attore Giorgio Clone.
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C’è da dire che se in quel periodo su 4chan e Anon-IB si vedevano i prodromi di quello che, qualche anno dopo, sarebbe stato il “Fappening”, le foto di Clone e Banalis erano di un’innocenza che faceva quasi tenerezza: lei che spegne le candeline, una brutta torta, brutti soprammobili tra cui una cornice che contiene una foto in cui Giorgio Clone è abbracciato al Presidente degli Stati Uniti in carica, condizionatori a vista accesi, spoglie stanze degli ospiti fotografate dagli ospiti, bridisi con le braccia incrociate, e gli amici a cantare “tanti auguri a te”.
Aperto il file e fatte scorrere velocemente le foto penso: bah. Tu immagina il tempo che qualcuno ha impiegato per arrivare a questo risultato, e ora si ritrova in mano delle interessantissime foto dei telecomandi con le istruzioni stile albergo che Clone mette a disposizione dei suoi ospiti.
Prima di buttarle penso alla mia amica nonché blogger, giornalista e scrittrice Barbara Lucarini, che nutre una particolare passione per l’attore brizzolato, incurante delle insistenti voci che parlano di una eterosessualità che non ha pari se non in Valerio Scanu, e le mando le foto su Dropbox, commentando: “Hai visto? Forse hai ragione tu: stanno ancora insieme”.
E qui, teoricamente, avrebbe dovuto concludersi la storia. Invece no. Ora diventa divertente per voi sebbene lo sia stata molto meno per noi che l’abbiamo vissuta. Succede questo: il giorno dopo Barbara Lucarini è a pranzo in un ristorante di via Vittor Pisani, a Milano, in compagnia di alcuni colleghi e di uno in particolare: Raffaele Scompiglia, braccio destro (nonché cane da tartufo del gossip) del potente direttore del settimanale “Quando”, Adolfo Signoracci.
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Barbara, scherzando sul mobilio della villa, fa l’errore di mostrare di sfuggita una delle foto a Scompiglia, il quale – letteralmente – perde la testa. Dice – in preda all’esaltazione – che quella è Villa Gelsomina, che non l’ha vista mai nessuno, che è uno scoop con la esse, la ci, le due “o” e la “p” maiuscole. Dice anche “Dammele”, e lei risponde “No”. Le chiede come le ha avute, se le ha fatte lei e se era ospite, e Barbara racconta la semplice storia che c’è dietro: le ha trovate un amico su un sito non molto per la quale. Dice: “Dammele, te le faccio vendere a Signoracci“, e Barbara ringrazia ma rifiuta categoricamente: “Ma ti sembro una che vuole fare il mestiere di Corona?”.
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E a quel punto Scompiglia le propone: allora regalamele. “Ma che te ne frega di quella villa?” gli chiede Barbara, e lui le risponde: “Tu non hai idea di quanto potresti farci con quelle foto”. Lei obietta: “Ma sono scattate all’interno di una proprietà privata: non potrai mai pubblicarle”, e lui ribatte che “un modo si trova”. Barbara ribadisce di non essere interessata, ma Scompiglia si fa insistente e non smette fino a che non riesce a copiarsi le foto su una chiavetta USB.
Barbara torna a casa e anche lei, mentalmente, si dice “Bah!”, e pensa sia finita lì. Invece no.
Nello stesso pomeriggio Barbara Lucarini riceve una chiamata da Raffaele Scompiglia, il quale, in modo molto concitato, le comunica che Adolfo Signoracci, il direttore di “Quando”, è impazzito alla vista delle foto e vuole incontrarla quella sera stessa.
(continua…)