Virginia Ricci per www.iodonna.it
Immaginate una bambina appassionata di cimiteri e ossari che, dopo aver visitato questi luoghi, soleva tornare a casa con la propria tata e… qualche ossicino ben nascosto in tasca: puntualmente rispedita a rendere il maltolto da una madre poco compiacente. Cos’avrebbe potuto fare da grande? C’è chi penserebbe l’artista oppure il medico. Lei, Elsa Peretti, designer che avrebbe segnato la storia del gioiello contemporaneo, scelse la prima strada. Per la cronaca non studiò mai medicina, anche se fra le sue più celebri collezioni spicca ancora Bone, fortunatissima serie di bracciali modellati intorno all’osso del polso, perché come spiegò: «Ciò che viene proibito, è impossibile da dimenticare».
L’argento diventò lussuoso
Nata a Firenze il 1° maggio del 1940, il nome di Elsa Peretti s’intreccia alla storia di Tiffany & Co: marchio che nel 1974 puntò sulla trentenne designer e i suoi gioielli in argento, materiale che con lei entrò nel mondo del lusso.
Le sue prime tre collezioni vennero esaurite in un solo giorno. «Stiamo cercando qualcuno che possa conquistare le giovani donne ma anche le più adulte, disegnando gioielli da portare con i jeans ma anche con un abito da sera» spiegò Henry Platt, al tempo amministratore delegato della maison. E così a Elsa è stato appena riconosciuto il Premio Internazionale “Leonardo da Vinci” alla Carriera nel corso della XII° Biennale di Firenze, che ospiterà anche la mostra The Modern Vision of Elsa Peretti, esponendo alcuni fra i suoi più iconici modelli (alcuni presenti nella nostra gallery).
Elsa, dopo un’adolescenza nell’upper class romana – il padre Nando Peretti fondò l’Anonima Petroli Italiana – a ventun anni scelse di abbandonare quella vita privilegiata. Scappò in Svizzera (dove per mantenersi insegnò italiano e persino sci a Gstaad) e poi a Milano, dedicandosi all’interior design. Forte di una figura slanciata e statuaria, diventare modella sembrò quasi inevitabile, scelta che provocò una forte distacco con la sua famiglia. Fatto sta che a Barcellona, Elsa arrivò a posare come suora persino per Salvador Dalì: «Mi presentai quando seppi dalla mia agenzia che gli serviva una modella. Nel tempo libero prendevo il sole, ma lui mi redarguì: “Le suore non si abbronzano”».
Il 1968 a Manhattan
Non poteva esserci anno migliore del 1968 per arrivare a Manhattan, dove tutto stava per accadere. Conquistò il cuore di stilisti celebri e l’amicizia di Roy Halston, fra i più acclamati designer americani degli anni Settanta; soprannominato spesso l’Yves Saint Laurent degli States, fu lui ad arruolarla per disegnare la sua linea di gioielli, attività già intrapreso da Elsa con lo stilista Giorgio di Sant’Angelo. Se per Halston disegnò persino la bottiglia del suo profumo (a lungo il più venduto in America, secondo solo a Chanel N. 5), in quegli anni ideò anche il primo ciondolo a forma di minuscola bottiglia che in Tiffany, con la linea Bottle, avrebbe fatto faville.
«La prima cosa che feci a New York, nel 1969, fu realizzare una piccola bottiglia d’argento… che mi rese famosa. Amavo l’idea di girare per le strade con un fiore in un vaso al collo». Di lei in quegli anni si è detto molto: le nottate allo Studio 54 (sui suoi litigi con Halston pare abbia scritto persino Andy Warhol nei suoi diari), la mondanità con il più sfrenato jet-set, o la consacrazione nell’Olimpo della fotografia che avvenne quando Helmut Newton la immortalò, su una terrazza, travestita da coniglietta di Playboy… uno scatto passato alla storia. Con il suo braccialetto Bone furono ritratte in tante, da Liza Minelli (che pur essendosi avvicinata all’argento con diffidenza, ammise poi di aver indossato a lungo solo monili della Peretti) a Sofia Loren; nel 1971 con le sue creazioni vinse il prestigioso Coty Award, l’Oscar del fashion system.
Una collana Tiffany’s a 160 euro
«Amo ciò che puoi indossare ma anche mettere sul tavolo come un oggetto d’arte». La democratizzazione avvenuta dal 1974 nello storico marchio fece il giro del mondo: ancora oggi, una collana Open Heart in argento è in vendita sul sito Tiffany a 160 euro. Elsa spiegava che i suoi modelli erano ispirati dal senso comune, eliminando ogni eccesso per riprodurre “i contorni morbidi che gli oggetti indossati ogni giorno conquistano nel tempo”.
Nel frattempo New York stava perdendo fascino ai suoi occhi, portandola a volgere lo sguardo altrove; per anni Elsa si impegnò a restaurare l’amato borgo spagnolo di Sant Martì Vell, dove tutt’ora la sua casa ospita una parte della sua collezione d’arte: «A New York tutto era già stato fatto… lavorare fra pietre e tetti mi allontanò dalla mia immagine di Jewelry designer».
Lunghe relazioni, nessun matrimonio, una creatività inarrestabile: sul suo banco di lavoro, l’impegno portato a modellare nella cera i suoi gioielli diede vita a molte forme ritenute un classico. Collane forgiate come serpenti intorno al collo («L’idea venne dal ricordo della coda di un serpente a sonagli che, a Losanna, mi fu regalata da un ragazzo texano»), i celeberrimi cuori forati da portare come ciondolo ma anche Diamonds by the Yard, dove lunghe catene d’oro esibivano singoli diamanti con essenziali montature a castone: «I diamanti montati in questo modo hanno una luce diversa. Sembrano gocce di luce, come un ruscello».
25 anni
In occasione del suo 25° anniversario con Tiffany, nel 1990, la maison creato la “Elsa Peretti Professorship in Jewelry Design” al Fashion Institute of Technology di New York: la prima cattedra sovvenzionata nella storia dell’Istituto. Ma per Elsa la vita non fu solo gioiello: grazie anche all’enorme eredità ricevuta alla scomparsa del padre, nel 2000 istituisce la Nando and Elsa Peretti Foundation, volta a tutelare e promuovere i diritti umani e civili e che, negli anni, ha supportato più di mille progetti in 81 paesi, per un valore di 50 milioni di euro. Si direbbe che una vita come questa possa equivalere ad altre cento. Ma al riguardo Elsa si è già dichiarata: «Quello di vivere, come diceva Pavese, è davvero un mestiere. Però lo puoi imparare. Spero di esserci riuscita».
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